64.ma mostra internazionale d'arte cinematografica

 

INTERVISTA A

ALEXI TAN

REGISTA DI  “BLOOD BROTHERS”

 

di Gabriele FRANCIONI

 

KINEMATRIX: Com’è stato passare così rapidamente dalla direzione di videoclip a quella di un lungometraggio, per di più così impegnativo e, anche, come ci si adatta alla differente quantità di tagli di montaggio che richiedono i due formati?

ALEXI TAN: Non è stato affatto facile, ma trovo stimolanti entrambi i mezzi espressivi. I videoclip sono molto divertenti e interessanti da girare, anche se sono comunque due cose molto diverse. Ero anche un po’ preoccupato, perché avevo visto come la stampa aveva attaccato alcuni miei colleghi, anche loro registi di pubblicità e video, quando erano diventati autori di film, accusandoli di aver trasferito uno stile troppo velocizzato a un’arte dotata di altre regole interne. Dopo aver conosciuto John Woo, mi sono fermato per due o tre anni, smettendo  di fare video o commercials. Come avrai notato nel film io non uso nessun movimento strano della m.d.p., ispirandomi semmai al Sergio Leone di C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA, ai suoi carrelli lenti…e comunque la pubblicità mi ha insegnato tutto ciò che costituisce le basi della formazione di un regista: l’uso della macchina da presa, il controllo delle luci, dei costumi, della scenografia.

Mi sono dato una formazione tale che, all’inizio della produzione di B.B., non avevo quasi più nulla da imparare in questo senso e potevo finalmente partire con la direzione di attori.

 

Alexi Tan tra Shu Qi e Lulu Li

 

Come nasce la tua attività e la tua collaborazione con John Woo, visto che è abbastanza raro trovare qualcuno che esordisca con una grande produzione come B.B.

Io ho iniziato come fotografo di moda, attività che mi ha occupato per diversi anni, poi ho capito che volevo fare film e ho iniziato con un cortometraggio autoprodotto. Da lì sono passato alla pubblicità e ai video, sempre però pensando ai lungometraggi. La cosa non è facile e per un po’ ho pensato di non farcela! Da Los Angeles mi sono dovuto trasferire a Hong Kong, ma il problema era incontrare le persone giuste e solo finché John Woo non ha visto un mio video e io sono stato presentato a Terence Chang, non ho pensato che la cosa potesse funzionare. Sono tornato a Los Angeles, dopo uno scambio d’email con Woo, che incredibilmente mi voleva conoscere, finché John, nel suo ufficio, mi disse che avrebbe voluto lavorare con me, lui che è uno dei miei idoli!

Addirittura era disposto a produrmi il primo lavoro… Il tutto è accaduto per caso, anche perché nello stesso periodo John stava preparando dei videoclip a Pechino, facendo il percorso inverso al mio. Abbiamo entrambi un’attitudine occidentale a fare cinema ed è strano perché adesso la Cina sta crescendo così tanto che presto supererà la Corea, ma c’è ancora una certa mancanza di film commerciali che non siano wu-xia-pian. Tra il film d’autore e i film di arti marziali diretti da registi di grande fama non c’era niente in mezzo. Con Woo abbiamo pensato a chi, tra gli attori delle nuove generazioni, avrebbe potuto essere il nuovo Tony Leung o Chow Yun Fat. Ci siamo domandati chi fossero i migliori attori delle generazioni successive, tra i 20 e i 30 anni, e il mio sogno era proprio quello di avere con me le persone che vedete sedute qui. Nessuno di loro è una seconda scelta e anche loro speravano di poter lavorare insieme. Scelte Shu Qi e Lulu Li, dovevamo trovare attori maschili che reggessero il confronto con star di questa grandezza. Allo stesso tempo volevo che fosse chiaro come questa nuova ondata di attori non avesse il carattere “eroico” delle precedenti. Il nostro era un approccio diverso e Woo mi ha spinto a fare qualcosa di più sperimentale.

 

BLOOD BROTHERS è una gangster story: come mai hai deciso di esordire con un film di genere e se in questa scelta ha avuto un ruolo importante John WOO. Hai voluto mettere nel film riferimenti ai suoi gangster-movie preferiti?

Sì, entrambe le cose, perché B.B. è direttamente ispirato a BULLET IN THE HEAD di Woo, anche se non è un remake. Ho trovato nel film di W. degli ottimi personaggi, che si sarebbe potuto riutilizzare, e oltre a ciò ho sempre desiderato realizzare un film sulla Shangai degli anni ’30, nella quale aveva vissuto mia nonna, cantante d’opera. La Shangai di quel folle periodo aveva elementi del western, con questi personaggi che arrivano a Shangai alla ricerca di fortuna. B.B. non è però un vero gangster-movie, alla stregua del PADRINO, che infatti è principalmente un film sulla famiglia.

 

 

Riguardo al ritorno del cinema cino-hongkonghese ai temi degli anni ’80, come amicizia virile, importanza dei vecchi valori, piuttosto che ai valori formali dell’epoca, non pensi che ci sia dietro un’esigenza quasi socio-politica di spingere verso queste tematiche?

Per quanto mi riguarda personalmente non c’è stato niente d’intenzionale o che provenisse dall’esterno… Lo scopo era quello di ricreare un’atmosfera, quella di Shangai anni ’30, per cui il lavoro si è svolto più che altro sul piano dei costumi e della scenografia. Ho cercato di inserire io qualche elemento o considerazione politica, ma senza forzare troppo il tono generale della pellicola, che risiede altrove. Il film è più che altro una combinazione di elementi che mi hanno ispirato per ricreare principalmente un’atmosfera, come ad esempio il personaggio di Kang (Liu Ye), vicino per certi versi ad Al Pacino in SCARFACE. Abbiamo preso un po’ qui e un po’ là, ma cercando di appropriarci della materia, ripresentandola in modo personale.

 

Sul rapporto tra regista e attori, vorremmo sapere come è stato questo approccio con loro, se c’è stato qualche timore iniziale di fronte a tali giovani star…

L’approccio iniziale è stato sicuramente quello di una grande eccitazione. Mi chiedevo se stava realmente accadendo, perché questi ragazzi hanno preso parte a film veramente favolosi e molto importanti, diretti da registi fantastici e sia Liu Ye che Lulu Li e Shu Qi hanno vinto i Golden Horse Awards nelle loro categorie (i Golden Horse sono gli Oscar asiatici e vengono assegnati durante una manifestazione che si svolge a Taipei, capitale di Taiwan, N.d.R.), in particolare Liu e Lulu come migliori esordienti e Shu come migliore attrice protagonista per THREE TIMES di Hou Hsiao Hsien, nel 2005. Non avevo neanche il tempo di pensare se essere nervoso o meno di fronte a loro: volevo solo iniziare a lavorare, perché sapevo che avrei potuto solo imparare dalla collaborazione che stava iniziando.

è stata un’incredibile esperienza e credo che nessuno abbia avuto la fortuna di lavorare con un cast di tale grandezza, i migliori attori del triangolo Cina-Hong Kong-Taiwan.

 

 

Spazio “Pagoda”, Lido di Venezia, 08/09/2007

 

 

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La recensione