62.mo film
festival di locarno
Locarno, 05 / 15 agosto
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di Chiara TOGNOLI
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> Intervista a Nada e Costanza Quatriglio
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Incontri con Pippo delbono
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Roberta Torre e Ruggero Sintoni
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Rassegna Manga Impact
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Le Recensioni
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VITUS di Fredi M. Murer
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Tehran without permission
di Petra Seeger
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FROM SOMEWHERE
TO NOWHERE
di Villi Hermann
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(500) DAYS OF SUMMER
di Villi Hermann
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Les ArbitreS di
Cédric Hinant
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el milagro del papa
di Josè Luis Valle
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vitus
di Fredi M. Murer
Svizzera
2006, 97'
Eventi
Speciali: Vitus in concerto
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28/30 |
di Chiara TOGNOLI
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Evento speciale che ha fatto
da “aperitivo” all’inaugurazione del 62° festival di Locarno. Il film,
prodotto e distribuito nel 2007, viene presentato quest’anno in occasione
del “Centenario della musica da film” in versione breve rimontata
appositamente per il festival.
Il regista stesso, presente in sala dice: ”Tutti I registi allugano nei
director’s cut i propri film, io l’ho accorciato!”.
Il film racconta la storia di Vitus, bambino prodigio destinato a diventare
un grande pianista, interpretato da un giovanissimo pianista, Teo Gheorghiu.
Altra grande interpretazione quella di Bruno Ganz nei panni di un nonno
sognatore che aiuterà il bambino a nascondere le proprie strabilianti
facoltà intellettive per poter condurre una vita “normale”.
Il regista riesce a cogliere tutta la sensibilità di un ragazzino che tenta
di crescere nel modo più sereno possible e che escogita con grande audacia
il modo di sfruttare le proprie doti, come un piccolo mago che compia dei
prodigi all’insaputa dei propri genitori.
In bilico tra realtà e fantasia il film è una gradevole incursione nel mondo
della musica grazie alle sorprendenti performance del protagonista che con
le sue piccole dita ci lascia incantati all’ascolto di Schumann.
Al termine del film una piacevole sorpresa, il giovane Teo Gheorghiu
accompagnato dall’Orchestra della Svizzera Italiana diretta da Mario Beretta
si cimenterà nell’esecuzione della colonna sonora del film.
è l’occasione non solo per
conoscere questa magnifica orchestra ma anche per scoprire che rischia di
scomparire a causa dei tagli previsti
dalla SRG SSR idée Suisse. Al termine del concerto I musicisti sollevano
orgogliosi lo striscione “Giù le mani dall’Orchestra della Svizzera
Italiana”.
Il film ha vinto il Premio del Cinema Svizzero come miglior film di finzione
2007 e ha concorso lo stesso anno agli Oscar ottenendo grande successo di
pubblico. |
Tehran without permission
di Sepideh Farsi
Francia 2009, 83'
Ici et
Ailleurs
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28/30 |
di Chiara TOGNOLI
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Tehran, immagini sgranate di
una città piena di contraddizioni, uomini, donne, automobili, donne col
velo, colori, piazze, taxi, metropolitana, frutta, bambini, cortei.
Sono le riprese fatte con un telefono cellulare dalla regista iraniana di
adozione francese Sepideh Farsi (nata a Tehran nel 1965), che lasciò la
patria a 19 anni e che oggi propone una visione originale, nel vero senso
della parola, della sua città natale.
Un documentario istituzionale avrebbe avuto bisogno di troppi permessi,
magari non concessi, per entrare in contatto in modo così intimo con un
mondo di cui scopre vizi e virtù.
Le immagini sporche e mosse del cellulare non infastidiscono, anzi,
permettono di apprezzare da vicino la realtà di una metropoli che ci viene
presentata in modo fazioso dai media, sotto il cliché della città
perennemente in guerra. è
vero, ma è anche vero che sotto quella realtà pulsano una miriade di
situazioni di vivace intensità, che la regista riesce a restituirci con il
racconto delle persone che la animano.
Il film non ha uno sviluppo narrativo preciso, si nutre delle storie di
svariati personaggi che, grazie alla discrezione del telefonino, si
presentano per quello che sono: una madre, un tassista, un improvvisato
escapologo/uomo forzuto che fa spettacoli in piazza.
Attraverso la loro esperienza emerge il ritratto di una città in costante
evoluzione, una città che non basta più a se stessa e che cerca di risolvere
le contraddizioni politiche che la opprimono con la resistenza quotidiana
dei suoi cittadini.
Nessuno fa riferimento apertamente alla situazione politica, tranne un
ragazzo, seduto in un locale, che afferma chiaro e tondo: “Io penso che in
qualsiasi città si possa essere felici, vivere bene e serenamente, eccetto a
Tehran. E questo per colpa della classe dirigente”.
Ed è quello che ci mostra la regista con le immagini dei movimenti di piazza
che dal giugno 2009 scuotono una città ancora alla ricerca della propria
libertà.
La regista aveva presentato a Locarno nel 2007 "Harat", documentario sulla
sua famiglia; ha appenda concluso le riprese del lungometraggio
La maison sous l’eau. |
FROM SOMEWHERE TO NOWHERE
ON THE ROAD IN CHINA WITH PHOTOGRAPHER ANDREAS SEIBERT
di Villi Hermann
Svizzera
2009, 86'
Appellations Suisse
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28/30 |
di Chiara TOGNOLI
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Presentato nella sezione
Appellations Swisse, inaugurata otto anni fa dal Centro svizzero del
cinema e dal Festival del film di Locarno per promuovere film elvetici di
rilevanza internazionale, il film è stato introdotto dal regista Villi
Hermann che, ridendo, dice di non voler aprire la solita polemica sulla
mancanza di fondi e ringrazia chi ha creduto fino in fondo al progetto.
Progetto che si rivela estremamente interessante, sia per il tema che per la
forma. Il regista decide di seguire attraverso la Cina il fotografo Andreas
Seibert, svizzero ma residente a Tokio e collaboratore di importanti riviste
internazionali, per documentare la vita dei lavoratori “mingong”, impiegati
nelle fabbriche, nelle miniere e nei cantieri. Percorso doppiamente
stimolante perchè ci fa scoprire sia le condizioni di vita degli operai, sia
il modus operandi del fotografo.
Un viaggio condotto che estrema delicatezza e rispetto per le persone,
attraverso un territorio immenso di cui ci vengono mostrate distese di
prati, valli e colline, metropoli e villaggi.
Il montaggio è sapiente nello sviluppare un percorso fluido e coinvolgente,
il regista ci fa avvicinare umanamente alla gente indugiando sui visi, sulle
espressioni, sulle mani e sugli occhi. Mescola le immagini filmate agli
scatti fotografici, che sembrano immortalare per sempre nella mente dello
spettatore gli sguardi che la telecamera lascia fuggire via. Il mix di
linguaggi si fonde in modo calibrato, la fotografia non ripete ma
sottolinea, arricchisce il racconto filmico grazie alla potenza dell’attimo
colto e bloccato, da cui non si può eludere, evidente in particolare nei
bellissimi ritratti delle famiglie incontrate.
Famiglie che si dimostrano accoglienti e disponibili, che raccontano con
disarmante semplicità una vita fatta di fatiche che risultano ai nostri
occhi al limite del disumano.
Al termine del film le domande al regista e al fotografo.
Quanto il film era strutturato e quanto avete dovuto improvvisare?
V.HERMANN L’unica cosa decisa era di seguire il percorso di Andreas.
Mi limitavo a stare dietro ai suoi passi. Il problema è che I tempi del
fotografo sono diversi, lui imprime in uno scatto un’ immagine che ha già in
mente. Il mio lavoro invece richiede tempi, anche tecnici, più dilatati.
è
importante essere “invisibili” e viaggiare con una troupe leggera?
VH è fondamentale.
è molto importante non essere
invasivi e quindi il fatto di non avere tecnici intorno o materiale
ingombrante come un boom ci faveva passare quasi come turisti, rendendo le
riprese molto naturali.
Come vi siete approcciati alle persone intervistate?
A.SEIBERT Prima di tutto non bisogna dimenticare che la nostra
prospettiva è molto diversa dalla loro. Certe situazioni per noi
inaccettabili sono vissute in modo diverso. Per questo non do mai soldi, è
una situazione che devono risolvere le persone nella loro quotidianità.
L’avvicinamento era accuratamente preparato. Prima di scattare una foto o di
filmare ci fermavamo a parlare, chiedevamo loro della famiglia, del lavoro,
ogni scatto è singolo e preparato, non filmiamo o scattiamo in continuazione
per avere più materiale possibile. Non è questo il nostro approccio, anche
perchè io lavoro su pellicola in quelle condizioni non è possibile andare in
un negozio e comprarsi materiale fotografico quando si vuole.
Il film verrà visto in Cina?
VH L’abbiamo proposto a due festival ed è stato rifiutato, non so quanto
dipenda dal fatto che non sia piaciuto e quanto dalla censura.
Perchè Seibert diceva alle persone di non sorridere?
AS Perchè per I cinesi è un segno di cortesia, io dicevo loro di non
sentirsi costretti a sorridere, di essere se stessi.
Avete mai pagato le persone fotografate o intervistate?
AS Nel mio lavoro non ho mai pagato nessuno, non paghiamo le persone per
darci dieci minuti del loro tempo. Cambierebbe completamente il rapporto.
Non voglio persone in posa. Abbiamo pagato solo una famiglia per motivi
personali, non c’entra nulla col lavoro.
Il film si conclude dopo I titoli di coda con una considerazione di Seibert
sul valore della fotografia di reportage, un genere quasi dimenticato che
lui giudica particolarmente importante perchè riesce a dare una visione del
mondo profondamente diversa da quella degli altri media.
Il film è stato presentato quest’anno al festival di Soletta, Roma,
Amsterdam e Innsbruck.
è possible vedere le
fotografie presenti nel documentario sul
sito di Andreas Seibert |
(500) Days of Summer
di Marc Webb
Stati
Uniti 2008, 97'
Piazza
Grande
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28/30 |
di Chiara TOGNOLI
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Presentato in anteprima
europea alla serata inaugurale nella magnifica Piazza Grande di Locarno,
(500) Days of Summer è stata
una deliziosa apertura di festival.
Frederic Maire, direttore
artistico del festival, ha introdotto davanti a un pubblico di circa 5100
spettatori, il regista Marc Webb (autore di celebri videoclip che gli hanno
valso numerosi MTV Awards) e lo sceneggiatore Michael H. Weber che hanno
raccontato come è nata l'avventura di questa ironica commedia romantica.
Webb spiega quanto l'idea di
girare un film di questo tipo non lo allettasse affatto, tanto che dimenticò
la sceneggiatura nel suo zainetto per tre settimane. Il titolo però lo
stuzzicava, e, una volta letto il soggetto, capì come gli autori avessero un
approccio differente al genere della commedia romantica, e decise infine di
fare il film. Alla domanda: “Cosa prova a presentare il suo film in una
serata d’estate davanti a questo pubblico Webb risponde: ”Sto per svenire!”.
Passa la palla quindi al
giovane sceneggiatore Michael H. Weber: "La commedia romantica è uno dei
miei generi preferiti, ma che da qualche anno aveva perso di vitalità ed
aveva assunto una formula stereotipata. Noi speriamo di aver dato un tocco
in più al genere".
La vicenda si svolge con una
cronologia atemporale, come nei nostri ricordi, le immagini non seguono per
forza un continuum narrativo, ed è caratterizzata da trovate visive e
stilistiche che ammiccano al passato del regista, trovate che restituiscono
al genere della commedia romantica la sagacia, l'umorismo e quel pizzico di
sdolcinato romanticismo indispensabile per farci sognare.
Il tutto immerso nel mondo
della giovane generazione dei trentenni d'oggi, intenta a lottare per la
carriera ma ancora dedita ai videogiochi, desiderosa d'amore ma disillusa,
tanto che proprio Summer dichiara con disinvoltura di non essere lesbica ma
di non credere più nell'amore. Ed è così che le passeggiate all'Ikea
assumono un amarognolo senso altro, da
Fight Club.
Il regista ci culla
magistralmente tra i romantici cliché delle panchine del parco e le sfuriate
per cui ognuno torna nel proprio letto, tra le giornate in libreria a
scoprire gli stessi gusti e le mani messe avanti “Io non cerco una storia
seria”.
In un andirivieni di sì e
no, di m’ama non m’ama, l’unica cosa certa è che il vero, imperterrito
innamorato è l’uomo. |
Les ArbitreS
di Cédric Hinant
Francia 2009, 77'
Ici et
Ailleurs
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26/30 |
di Chiara TOGNOLI
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Documentario dedicato al
mondo dell’arbitraggio, Les Arbitres
è un’interessante incursione nei campi da calico da un inedito punto di
vista, quello dell’arbitro.
Il film segue sul campo alcuni arbitrei del Campionato Europeo 2008 tra i
quali Howard Webb, arbitro inglese che in quell’anno fu minacciato di morte
su internet da alcuni tifosi polacchi incattiviti. Seguiamo la sua vicenda
accompagnata dalla famiglia che segue il figlio sia dal vivo che in
televisione.
Anche per la storia dell’arbitro italiano Rosetti il regista ha la felice
intuizione di inserire i momenti in cui la moglie con la figlia e le amiche
guardano le gesta del marito in tv.
Spettacolari sono le scene girate in campo durante le quail ci si immedesima
nei suoni e nelle parole degli arbitri che, dotati di microricevitori,
comunicano tra loro generando a volte momenti di autentica ilarità, altre di
tensione ed euforia.
Il regista Yves Hinant dichiara: "Volevo guardare laddove gli sguardi non si
erano ancora posati, vivere il più vicino possibile ai loro dubbi, alle loro
certezze e ai loro interrogativi in quanto uomini, e non solamente come
arbitri".
Si scopre un mondo fatto di trasferte, plurilinguismo, alberghi,
allenamenti, riunioni tattiche, un mondo che vive su un gioco ma che si
prende estremamente sul serio, procurando nello spettatore una sensazione di
continua, e forse anomala, fibrillazione.
Per la presentazione ufficiale del film si sono presentati a Locarno proprio
loro, gli arbitri Howard Webb (Inghilterra), Enrique Gonzalez Mejuto
(Spagna), Roberto Rosetti (Italia), Peter Fröjdfeldt (Svezia), Massimo
Busacca (Svizzera), Olegario Benquerença (Portogallo) e il noto arbitro
italiano Pierluigi Collina. |
El milagro del Papa
di Josè Luis Valle
Messico
2009, 78'
Settimana della critica |
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27/30 |
di Chiara TOGNOLI
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Nel 1991 Heron Badillo si
ammalò ancora bambino di leucemia. Il suo caso fu considerato disperato
tanto che l’ultima speranza dei genitori fu far incontrare al bambino Papa
Giovanni II, in visita proprio quell’anno in Messico. Il miracolo avvenne e
il piccolo Heron guarì.
Il documentario di Josè Luis Valle si apre con una carrellata storica per
riportarci all’anno 1990 ricordandoci quail furano gli eventi, politici,
sociali, musicali e folkloristici di quell’anno attraverso un mix di filmati
di repertorio, animazione e grafica molto piacevole.
Arriviamo così in Messico dove il regista interroga alcune persone del paese
natale del miracolato Heron per poterlo incontrare. A quanto pare nessuno se
ne ricorda, il miracolo ha lasciato intatto il paesino bruciato dal sole i
cui abitanti sono imperturbabilmente sereni come 18 anni fa.
E tale pare rimasto Heron, un ragazzotto sano e robusto che racconta una
vita con tutti i cliché di una persona della sua età che ha studiato, si è
ubriacato con gli amici, ha trovato lavoro, ha cambiato lavoro, si è
fidanzato e si è felicemente sposato. Unico momento particolare della sua
vita un anno di seminario quand’era adolescente e aveva creduto di aver
ricevuto la fatidica Chiamata. Ma, come testimoniano i sacerdoti del
seminario e le foto di Heron a feste e gite abbracciato alle amiche, il
giovane non era destinato al sacerdozio.
La storia del miracolo del Papa ci viene raccontata dalle parole dei
genitori di Heron ed assume un sapore magico quando vediamo le immagini di
repertorio del Santo Padre che accarezza Heron e il padre del bambino che
lascia volare una colomba.
Numerose e altrettanto surreali risultano le dichiarazioni di medici e
psicologi che parlano di riti da stregoneria e vermi che uscirono dal corpo
del bambino.
Ma ciò non stupisce in un paese dominato dalla luce abbagliante del sole,
dove la gente si barcamena tra consumismo e mito, osservando le funzioni
religiose tra una birra e una cavalcata al ranch e collezionando statuette
della Madonna trovate come sorpresa nei pacchetti delle patatine.
Fantastiche le riprese della rievocazione storica della crocifissione di
Cristo in cui il povero paesano che interpreta Gesù viene truccato e
pettinato di tutto punto, ma rimane pur sempre mesicano, e si piglia pure
delle martellate sulle dita!
Nel frattempo il miracolo sembra essersi perso nella notte dei tempi ed il
solo Heron rivivrà il momento fatidico, per un attimo, sulla pista di un
aeroporto. |
SITO UFFICIALE |
62.mo festival di
locarno
Locarno (CH), 05 - 15
Agosto 2009
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