
Cinema e non solo. Dopo essere stato promosso a festival “vero” solamente
dalla terza edizione in avanti (risale infatti al 2001 l’esordio in una sala
del centro cittadino, proprio ai piedi della Mole), il TO-HORROR, pur tra
mille difficoltà, fa ogni anno un piccolo passo in più verso la propria
identità: invece di proporsi come la solita rassegna di film, amatoriali e
non, la piccola manifestazione torinese fa coincidere la propria crescita
con l’esplorazione via via più accurata delle svariate forme in cui l’orrore
può presentarsi agli occhi del pubblico. Un grosso spazio è stato quest’anno
occupato dal teatro in due singolari varianti: il gruppo CARMILLA lo
ha integrato alla musica nel corso di una rappresentazione decisamente
suggestiva, mentre la compagnia LONTANI DAL CENTRO lo ha affiancato
alle creazioni dei veejay di VIDEOPUNTOZERO nel notevole KILLERS: DUE
MONOLOGHI ASSASSINI; e non poteva mancare una sezione dedicata alla cronaca,
con le note gesta di Charles Manson analizzate da due criminologi di
spicco come Massimo Picozzi, conosciuto tra l’altro per la conduzione
del programma televisivo S.K. - PREDATORI DI UOMINI, e Guglielmo Gulotta,
davvero illuminante nel delineare la diabolica personalità dello psicopatico
forse più famoso (e celebrato) di tutti i tempi in occasione di un
apprezzato intervento in sala.

Poi, ovviamente, tanto cinema, che cinque giorni di proiezioni hanno dato
modo di apprezzare in tutte le sue possibili espressioni: oltre a prodotti
realizzati sia in video che in pellicola, corti d’animazione e documentari,
a stuzzicare la curiosità del pubblico ci ha pensato anche un’opera
intitolata MACBETTO, rivisitazione verdiana, qui vincitrice del primo premio
nell’apposita sezione “Experimental & Mutation”, che adotta l’arcaico
tragavisore per ottenere inusuali effetti.
La retrospettiva che rendeva omaggio al grande Vincent Price
includeva tre titoli (LA MASCHERA DI CERA, L’ESPERIMENTO DEL DOTTOR K, I
MAGHI DEL TERRORE), mentre quella dedicata al cinema tedesco veniva
annullata, e dell’annunciata rassegna di pellicole orientali rimaneva
solamente il mediocre GAWI (internazionalmente noto come NIGHTMARE), che ha
fruttato un grande successo in patria al regista coreano autore in seguito
di PHONE,
quest’ultimo distribuito di recente anche in Italia.
La proiezione di NON APRITE QUELLA PORTA in occasione del suo trentennale
faceva registrare un buon afflusso di pubblico, ed era interessante
constatare come il capolavoro di Tobe Hooper sia ancora in grado, dopo tutto
questo tempo, di suscitare negli spettatori genuine reazioni di sorpresa e
disgusto. Invecchiato molto bene, nonostante il bianco e nero, anche DANZA
MACABRA di Antonio Margheriti: scelto per omaggiare una seconda volta il
regista recentemente scomparso (la scorsa edizione fu il turno di BLOOD FOR
DRACULA prodotto dalla factory di Andy Warhol), questo piccolo gioiello di
uno degli autori preferiti di Quentin Tarantino ha finito col rappresentare
un ideale trait d’union con la celebrazione del “cinema segreto” italiano
che ha avuto luogo all’ultima Mostra di Venezia, appena conclusasi.

Per
la verità, senza voler essere irriverenti e tenendo in considerazione le
ovvie differenze di obiettivi ed importanza delle due manifestazioni, un
festival minuscolo come il TO-HORROR ha saputo andare per certi versi oltre:
mentre l’imponente kermesse veneziana rendeva omaggio in modo tutto sommato
silenzioso ai “re italiani della serie b”, gli organizzatori di un piccolo
evento come quello di Torino hanno infatti dato voce al maestro degli
effetti speciali
Sergio Stivaletti, uno dei pochi che nell’agonizzante
panorama del cinema italiano di genere tenta ancora di produrre qualcosa in
prima persona.

Sergio Stivaletti
Interrogato in sala, prima della proiezione del film che segnò il suo
esordio alla regia (M.D.C.-MASCHERA DI CERA), sullo “stato di salute
dell’horror in Italia”, Stivaletti ha fornito una risposta un po’ ironica ma
al tempo stesso indicativa del proprio amore per un genere da troppo tempo
in difficoltà qui da noi: “Non so se sono proprio io il più adatto a fare
una “diagnosi”, dal momento che mi sento io stesso ammalato della stessa
malattia che lo ha colpito, e quindi non posso rendermene più di tanto
conto,” ha affermato sorridendo; e poi ancora: “Molte critiche che hanno
fatto al mio ultimo film (I TRE VOLTI DEL TERRORE, nda) riguardano il
fatto che io sembrerei un po’ l’ultimo dei Giapponesi che ancora sta
sull’isola aspettando che la guerra finisca, e veramente qualcuno ha detto
proprio questo! Ma in un certo senso io mi sento anche onorato, perchè se
devo finire la mia carriera insieme all’horror, vorrà dire che sarò uno
degli ultimi che lo avranno accompagnato alle esequie, per così dire. Ma non
credo questo: io credo che, in qualche modo, le nuove tecnologie stiano
invece risvegliando nell’animo di tanti ragazzi la voglia di fare qualcosa.
è chiaro che, secondo me, c’è
un po’ il rischio proprio per questo di una certa inflazione: tutti prendono
la cinepresa e fanno qualcosa, così nel calderone ce ne saranno alcuni che
faranno belle cose, ed altri meno. Si creerà insomma una certa confusione,
ed il mercato ne subirà inizialmente le conseguenze, anche se credo che da
tutto ciò alla fine nascerà un bene.”

Ancora Stivaletti

CUSTODES BESTIAE
E non potrà che nascere sicuramente un bene, per usare parole dello stesso
Stivaletti, da giovani come il friulano Lorenzo Bianchini, presente
al festival con RADICE QUADRATA DI TRE, già recensito su
KINEMATRIX, e CUSTODES BESTIAE, vincitore del primo premio nella
sezione lungometraggi; girate in formato DV con risultati ottimi,
parlate nel dialetto della regione d’origine e provviste perciò dei
necessari sottotitoli in italiano, le produzioni di Bianchini fanno ben
sperare, riallacciandosi direttamente a quel filone gotico che ebbe nel
nostro paese il grande Mario Bava, Riccardo Freda e lo stesso
Margheriti quali autori di spicco. Da non trascurare nemmeno BIANCO
SCARLATTO di Gabriele e Vittorio Magrì, un fantasy orrifico, delicato
ed ironico, nobilitato dalla partecipazione speciale di Franco Nero, ed il
per nulla pretenzioso METAMORFOSI DI UNA PROFEZIA, con cui il torinese
Giancarlo Granata conferma quanto di buono aveva già fatto vedere anni prima
con il thrilling L’ALTRA FACCIA DELLA LUNA.

BIANCO SCARLATTO
Buone notizie anche dalla sezione dedicata ai corti, dove si è fatto
particolarmente onore il sud della penisola con l’inquietante DEADLINE di
Massimo Coglitore, coraggiosamente girato in 35 millimetri, e con 100
MHZ di Sergio Ruffino, nel quale le ottime riprese, esaltate anche da
un buon uso della steady-cam, sopperiscono ai limiti di una sceneggiatura
prevedibile; purtroppo, in questo settore, la concorrenza estera era
particolarmente agguerrita: vinceva alla fine il belga DAS
FANTASTICHE NACTH, sanguinoso ed esilarante, ma si distinguevano anche lo
spagnolo AGOBIADO Y DISTRAIDO EN UN MOTEL DE CARRETERA,UNA CALUROSA NOCHE DE
PRIMAVERA CON SEIS PREGUNTAS Y TRES MUERTOS, titolo-fiume di un piccolo e
spesso divertente noir nello stile dei fratelli Coen, realizzato in
35 millimetri con competenza estrema, e lo svizzero CLONAZIONI INC., tratto
da un racconto di Ray Bradbury e molto in sintonia con certi episodi di
TWILIGHT ZONE.
Completamente assente l’Italia, invece, dal concorso animazione, riservato a
quel settore che si conferma essere un’altra delle più grosse lacune nella
produzione cinematografica nazionale: la competizione veniva vinta dal
canadese MAJK, ma momenti di grande divertimento erano assicurati anche
dal sanguinossimo ARAKY, realizzato dagli allievi di una scuola danese, e
dal francese SANG FROID, una storia di vampiri dove attori ed animazioni
vanno a braccetto con risultati talora sorprendenti.
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A
cosa possano servire le belle figure racimolate dagli Italiani nella giungla
delle produzioni indipendenti è però ben difficile dirlo, dato che lo stesso
Sergio Stivaletti, con ogni probabilità miglior conoscitore dei
problemi dell’ambiente cinematografico nostrano rispetto al più preparato
dei videomaker, affermava: “I meccanismi sono tali per cui non capita che,
se uno ha una bella idea, la porta in giro e trova un produttore, perchè
questo quasi mai succede: è una favola a cui penso non creda quasi più
nessuno”.

Una presenza illuminante e significativa, quella di Stivaletti, che ha
finito per diventare un po’ l’emblema stesso di un festival molto autarchico
e sempre al limite della sopravvivenza; parlando del suo ultimo I TRE VOLTI
DEL TERRORE, proiettato in chiusura della penultima giornata, l’autore di
tanti memorabili effetti speciali è stato davvero eloquente circa le
condizioni in cui si ritrovano costretti a lavorare tutti coloro che in
Italia abbiano ancora voglia di cimentarsi con l’horror in qualsiasi sua
forma: “Le riprese di M.D.C. durarono cinque settimane e mezza: considerate
che il film che Veronesi sta girando adesso dura dieci settimane, ed è un
film che racconta di due che chiacchierano; poi c’è un altro che fa una
battuta, un altro che fa una pernacchia, un altro che scherza... Dieci
settimane per tutto questo... I film nostri, invece, dove ci sono anche gli
effetti speciali da gestire, durano cinque settimane, cinque e mezza al
massimo; l’ultimo che ho fatto è durato addirittura quattro settimane.
Quindi, cominciamo anche a dare un valore a queste cose, e non a dire che i
film son tutti uguali, perchè in realtà non lo sono assolutamente: il
rapporto tra costo e risultati andrebbe sempre tenuto presente. Quando
vediamo un film fantastico italiano, pensiamo anche alla sua genesi, se
possibile.”

Poi si addentra maggiormente nei particolari, e ne saltano fuori delle
belle: “Sì, il mio film è stato mal distribuito e mal pubblicizzato –
esordisce rispondendo ad una specifica domanda del pubblico – però la verità
è che in Italia non sei tu a decidere quando uscire con un film.
I TRE VOLTI DEL TERRORE è uscito il venti agosto ed è stato nelle sale
una settimana perchè, pur avendo circolato in cinquanta copie, in pieno
agosto sfido chiunque a scegliere tra il mare ed il cinema.

I 3
VOLTI DEL TERRORE
è bello uscire a ottobre o
novembre, ma tu non esci, perchè sono altri ad uscire in quei mesi lì. Ci
sono i film americani, anzitutto, con cui fare i conti: tra CATWOMAN, o più
semplicemente OPEN WATER, ed il mio, qualsiasi esercente scommette a priori
su OPEN WATER, che sarà pubblicizzato in un certo modo, magari con un grande
battage. Il mio, in fondo, è un film povero: è stato girato in Dv-Cam
con soltanto centomila euro di budget, e, tra le spese aggiuntive finali, la
maggior parte di esse (una cifra non irrilevante, tra l’altro) sono servite
a gonfiarlo in 35 millimetri”.
Una sorta di critica ai critici, insomma, o almeno a quelli, come il
sottoscritto, che in estate lo valutarono con severità eccessiva, certi che
i soldi e i mezzi a disposizione, vista la natura professionale del
prodotto, fossero di ben altro livello.
Ma per Stivaletti il fatto di essere stato costretto ad utilizzare il
digitale sembra non rappresentare affatto un problema: “La pellicola non è
un bene assoluto, così come non lo è il digitale. Per I TRE VOLTI DEL
TERRORE è stata una scelta obbligata, altrimenti nemmeno l’avrei potuto
fare; ma con più soldi a disposizione forse continuerei ad usarlo,
altrimenti perderei un vantaggio spendendo i soldi in più per ricorrere alla
pellicola: rischierei infatti di tornare a fare lo stesso film con gli
stessi limiti, e col solo vantaggio di averlo girato in pellicola. Se avessi
il doppio o il triplo dei soldi userei quindi ancora il digitale. Solo se
avessi un budget molto più notevole userei la pellicola, perchè potrei
utilizzare il cosiddetto “digital intermediate”, che consiste nel girare in
pellicola, trasferire tutto in digitale e poi tornare in pellicola. Girare
in pellicola senza poter passare in digitale non ha senso, perchè uno si
abitua a certe cose, nel senso che se uno si mette a montare un film alla
moviola, sia pure elettronica, quello che vede su software dedicati, tipo
“Premiere”, se lo sogna: fare una dissolvenza, una retromarcia, virare il
positivo in negativo, ribaltare un’inquadratura, rimpicciolirla o allargarla
sono tutte possibilità alle quali oggi è impossibile rinunciare; e facendo
tutto in truka, ricorrendo cioè agli effetti speciali ottici, si
andrebbe incontro a problematiche che farebbero notevolmente lievitare il
costo rispetto al digitale. Credo in fondo che il digitale sia il futuro:
basti pensare che con una Dv-Cam si fa ormai un film che in alcune parti è
quasi come un 35 millimetri, o almeno come un 16 gonfiato; alcune novità che
marche come la Sony si apprestano ad introdurre dovrebbero poi migliorare
ulteriormente la situazione.”
Il vero ostacolo, per Stivaletti ma non solo, è rappresentato ormai da anni
dalle logiche assurde dei produttori, o presunti tali: “Sembra che i
produttori, in Italia, siano diventati questuanti di ministeri, televisioni
e quant’altro. Io esorto che se c’è qualcuno che vuole ancora sentirsi
produttore, si metta a fare ciò che facevano i produttori una volta: cioè,
il produttore produce, non chiede i soldi per fare qualcosa. Se i soldi li
mette qualcun altro, il produttore non può più definirsi tale.”;
“Nel mio film nessuno ha configurato nulla, a parte me. Se avessimo chiesto
a qualcuno di configurare qualcosa (parla al plurale perchè ha prodotto il
film assieme a Lorenzo Von Lorch della Pulp Video, nda), non
avremmo trovato nessuno in grado di farlo, tra la gente preposta, e non
facciamo nomi, sennò finisce che poi mi mettono in galera! (ride). Qui non
c’è nessuno in grado di fare ragionamenti di questo tipo: voglio dire,
insomma, che le belle idee in Italia non servono proprio a un tubo. Questa è
la verità: servono altre cose, e se ci sono quelle, uno può portare sullo
schermo per lo meno un prodotto finito; ma all’interno del meccanismo al
quale si potrebbe attingere per avere queste cose, non esiste qualcuno che
abbia idee di questo tipo: quelli fanno la televisione, gli sceneggiati, e
tutta una serie di cose del genere, così quello che piace fare a me non
rientrerà mai nei loro progetti. Ma fare cose per la televisione non sarebbe
neache un male: vedo all’estero meravigliosi prodotti fatti per il piccolo
schermo, mentre in Italia in televisione ci sono soltanto poliziotti,
monache, preti...
Ma io poi non ho niente contro poliziotti, preti e commissari: il guaio è
che ci si ripete sempre, perchè la formula è sempre quella, e non si fa, che
so, un X-FILES; tanto poi, anche se lo fanno, chi lo fa è il regista dei
poliziotti di prima, per giunta con gli stessi attori. Non capita mai che
chiamino chi ha già fatto qualcosa in quel genere lì: insomma, non pensiate
che mi arrivi una telefonata se decidono di fare uno sceneggiato, che so, su
DYLAN DOG”.
A chiosa del giusto sfogo arriva poi, puntuale, un aneddoto gustoso che
conferma quanto detto sin qui: “Un po’ di tempo fa ho avuto un’altra delle
mie folli idee: ho tentato di rifare TERRORE NELLO SPAZIO di Mario Bava.
Sono andato da Fulvio Lucisano, che ha i diritti del film perchè lo
produsse lui, e stranamente lui mi disse che era una bella idea. Scrissi un
soggetto che andasse bene per fare un film di fantascienza con pochi mezzi:
a Lucisano piacque, ma lui a chi voleva farlo girare? A Joe Dante! Ma
all’estero TERRORE NELLO SPAZIO non l’avevano già rifatto con ALIEN? Quindi,
se lui si fosse rivolto a Joe Dante, cosa avrebbe ottenuto se non un altro
ALIEN, magari un po’ più frizzante? Della serie: “Andiamo dagli Americani,
perchè noi un film così non lo possiamo fare”. Ma quel film lì lo aveva
prodotto lui! Penso che tutto ciò sia eloquente: nemmeno i produttori
credono più a loro stessi, a ciò che fecero in passato. Oppure non
considerano quei film come noi li stiamo considerando: pensano di avere
fatto delle stronzate, perchè quei film, per loro, sono evidentemente film
da dimenticare. Prendiamo, ad esempio, Galliano Juso, con cui ho
parlato ultimamente: lui ha prodotto un sacco di film riscoperti ultimamente
da Tarantino, eppure adesso pensa di dover fare film intellettualoidi
per riscattarsi di troppi di quei “filmetti” di cui è stato responsabile in
passato”.
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Il quadro che emerge da queste dichiarazioni è senz’altro poco
incoraggiante; ma il momento, per l’horror, è propizio (basti pensare alla
new-wave orientale, al rinnovato interesse per gli zombie-movie, o ad un
piccolo grande film come il tesissimo ed angosciante OPEN WATER): auguri
quindi ad un genere che merita di sopravvivere anche in Italia, dove vanta
una tradizione invidiabile. Auguri pure al TO-HORROR per una sesta edizione
con gli stessi pregi e con meno difetti, nella speranza che due tra gli
organizzatori (Davide Saggiorato e Anna Mondelli) proseguano
sulla stessa strada mantenendo intatti l’impegno e l’entusiasmo sin qui
dimostrati, mentre gli altri due (Marco Gasparino e Pino Chiarappa)
si ravvedano, evitando per lo meno di scambiare la serata finale per
un’occasione adatta a propagandare in maniera inopportuna ed imbarazzante le
proprie discutibili produzioni video. E auguri infine a Sergio Stivaletti,
affinchè i propositi di girare non uno ma addirittura tre nuovi film,
esternati nel corso di una lunga intervista concessa a KINEMATRIX ed
allegata a questo articolo, possano diventare realtà: siamo tutti quanti
sicuri, in fondo, che il cinema italiano possa fare un grande favore a se
stesso continuando a puntare solo ed esclusivamente su elementi come i
Muccino e i Vanzina?
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