|
|||
![]() |
|||
Dalle creazioni di PHENOMENA e DEMONI alle recenti esperienze registiche,
passando per gli effetti speciali di produzioni quali NIRVANA e TITUS:
riflessioni, ricordi e sogni nel cassetto di
un maestro degli effetti speciali dalla lunga, fantastica carriera. SERGIO STIVALETTI: Mah, concordiamo sul fatto che si tratti di qualcosa di paradossale, mentre concordo meno sul fatto che coincida con DEMONI l’inizio della fine. Io DEMONI, più che vederlo come il punto di inizio di qualcosa, lo vedo come la conferma che anche in Italia avremmo potuto fare grossi passi avanti dal punto di vista tecnico, almeno per quanto riguarda la mia professione, ovvero relativamente agli effetti speciali: avremmo cioè potuto affrontare anche noi un discorso che in America e in Inghilterra stavano già portando avanti, anche se sicuramente con film a budget di gran lunga superiori. DEMONI servì a testimoniare che anche in Italia si poteva tentare una strada di questo tipo: la verità è che secondo me non fu realmente imboccata questa strada, ma si trattò soltanto di un test, positivo, al quale la produzione italiana non ha saputo dare un seguito altrettanto valido.
SS:
Se andiamo a vedere, DEMONI credo che si possa sicuramente collocare in un
momento in cui il cinema, in ogni caso, aveva una serie di problemi che non
aveva ancora mai risolto: primo fra
tutti - penso - il problema della convivenza con la televisione. Parliamo
ovviamente sempre
dell’Italia, non so se dell’Europa perchè io conosco poco il fenomeno se
non qua in Italia, dove sono spettatore sia cinematografico che televisivo:
credo che qui da noi i problemi non erano risolti, e DEMONI andava a colmare
una lacuna al cinema, che avevamo perchè non eravamo ancora in grado di fare
determinate cose mentre altre cinematografie le stavano già facendo; allora
DEMONI diceva ad un certo tipo di pubblico e ad un certo tipo di produttori
che c’erano delle potenzialità: queste potenzialità andavano soltanto
sfruttate. Infatti, se facciamo l’eccezione di una serie di film prodotti
alla fine, se andiamo a vedere, dallo stesso Argento con la sua factory
(quelli di Michele Soavi e Lamberto Bava), ci furono alcuni imitatori che
secondo me avrebbe anche potuto fare qualcosa di buono (mi riferisco ad
esempio a due film a cui collaborai all’epoca, che sono IL NIDO DEL RAGNO e
SPETTRI) a conferma di ciò.
KMX:
I due film che hai citato arrivarono però già in piena fase calante... SS: Io torno a dire che non ho l’impressione che si trattasse di una fase calante: credo che si trattasse di eccezioni in un panorama che non cambiava. Io l’ho sentita così. è vero che sembrava inizialmente di aver trovato la giusta dimensione, o la giusta strada: io e altri colleghi, vedendo LA CASA e altri film in cui c’erano trasformazioni a vista, tentammo una risposta, non fine a sè stessa, ma se non altro per fare un film anche noi (dove con “noi” intendo Dario, Lamberto, e ovviamente io stesso come realizzatore degli effetti speciali). Ma questa sfida è stata raccolta solo in parte: perchè quali sono poi, se andiamo a vedere, i meccanismi che sono scattati? Non sono scattati dei meccanismi che poi hanno portato alla parabola discendente: non sono proprio scattati affatto dei meccanismi, se non troppo pochi per poter poi giustificare, a mio avviso, un vero sviluppo di questo tipo di cinema.
KMX:
Pensi quindi che il monopolio di Reteitalia (prima) e di Fininvest (poi),
che ha messo in primo piano un mezzo (quello televisivo) dove purtroppo
imperava la censura, possa avere avuto effetti molto negativi? SS: Assolutamente il discorso televisivo ha determinato grossi handicap, che forse non ci hanno permesso di sviluppare un cinema che in sala avesse il successo dei film americani, e continuasse poi ad averne al di là del fatto che la televisione cominciava a diventare, ammesso che non fosse già diventata, l’unico meccanismo per produrre un film.Chiaramente se vuoi fare un film che in sala funzioni, devi farlo per la sala; invece questa volontà di confezionare ibridi, ovvero film che andassero bene per la televisione, ma anche per la sala, ha portato a risultati sempre più scadenti e deludenti, e ha spinto i produttori a chiudersi, e a pensare solo a quali fossero i veri sistemi che avrebbero dato i soldi al film; e questi sistemi consistevano ovviamente in film che andassero bene in prima serata, così questo abbiamo fatto. Ripeto: la non evoluzione, o meglio l’involuzione, di cui sopra credo di poterli attribuire a molti meccanismi innescati dalla televisione. Se a questo aggiungiamo poi che il cinema ha funzionato, da quel momento in avanti, solo con finanziamenti pubblici e statali, che a loro volta avevano tutta una serie di parametri secondo cui venivano giudicati idonei o meno ad essere erogati, ecco che tutto questo ha decretato la morte di un genere che invece avrebbe potuto essere ampiamente di successo.
KMX:
Esperienze televisive ne hai comunque avute, specialmente con Lamberto Bava.
Ne hai un buon ricordo? SS: Se parliamo di cose tipo FANTAGHIRò devo dire che erano produzioni abbastanza diverse dagli horror a cui collaboravo per il cinema, e mi davano soddisfazioni di un altro tipo: sì, sicuramente mi davano soddisfazioni che non avevo al cinema per certe cose, mentre qui le avevo perchè erano prodotti di genere più strettamente fantasy, e quindi riuscivo meglio a sviluppare un certo tipo di temi di fantasia, di cose che non riuscivo forse a fare con l’horror, in quanto l’horror alla fine bene o male, se fatto come l’abbiamo sempre fatto noi, propone sempre un po’ le stesse trovate. Non si trattava infatti di un horror più di tanto fantastico, come lo è invece l’horror che vorrei fare io oggi, magari, ovvero quell’horror fantastico che non deve per forza essere troppo legato alla realtà. Invece i registi con cui ho lavorato al cinema non sono mai stati troppo propensi a fare un horror un pochino più “all’americana”,se vogliamo, dove viene sempre fuori un mostro piuttosto che qualche altra creatura; e questo è anche un altro importante aspetto del discorso: i produttori hanno cominciato ad un certo punto ad avere una sorta di complesso d’inferiorità, che li ha fortemente condizionati. Mi capitava spesso di andare nelle produzioni, magari appositamente chiamato per risolvere problemi, a proporre alcune particolari tecniche, e non di rado, quando trovavo un produttore particolarmente meno intelligente di altri (cosa che non era difficile), mi sentivo dire: “Ma queste cose le fanno gli Americani... Che stai dicendo? Non è possibile farle qui da noi!”
KMX:
A questo proposito, visto che tuoi colleghi come Carlo Rambaldi e Giannetto
De Rossi l’hanno fatto veramente, non hai mai pensato di andare a lavorare
in America, oppure in qualsiasi altro posto dove le cose funzionano meglio
che in Italia? SS: Sì, ci ho pensato tantissimo, e credo che per un periodo l’ho addirittura desiderato tutte le notti, tipo quando si fa la preghierina la sera e si spera che la mattina dopo sia successo qualcosa. E poi ad un certo punto qualcosa successe, visto che ebbi almeno un paio di occasioni vere che alla fine vennero comunque a mancare. Una volta successe proprio grazie a Rambaldi, che voleva portarmi con lui nella Carolina del Nord per girare un altro film sui pipistrelli assassini, e dico “un altro” perchè lui, come effettista, aveva già fatto LE ALI DELLA NOTTE. In quell’occasione doveva farne uno che si chiamava BATS, che poi in verità fu realizzato da altri soltanto pochi anni fa: iniziò quindi a coinvolgermi in questo progetto perchè si sarebbe fidato molto di me, ma poi questa cosa, così come era nata, si sgonfiò come capita per molti dei nostri lavori, e alla fine mi rimase solo la soddisfazione di essere stato chiamato da Rambaldi per ricoprire il ruolo di suo assistente. Una cosa analoga successe anche con UNCLE SAM di Bill Lustig: anche in quel caso, dopo che la cosa mi fu proposta, non se ne parlo più per mesi, la telefonata non arrivò mai e tutto finì lì.
SS:
Fu vietato inizialmente ai minori di diciotto anni,ma non ci furono pesanti
tagli. Il film, alla fine, è uscito così come l’avevo concepito io: non
esiste una versione integrale in cui c’è dentro chissà che cosa. Manca
solamente un’inquadratura, per via di un fatto curioso: non so perchè, ma
in Italia, proprio durante quei giorni, si cominciava a parlare
insistentemente di pedofilia, e i giornali erano pieni di elucubrazioni su
quell’argomento. Nel mio film c’erano alcune scene di violenza sui minori,
tra cui una, che aveva scritto Fulci, nella quale un bambino veniva
strozzato con un gelato
conficcato in gola (sic!, nda); ma io quella la censurai in partenza perchè
non l’avrei mai girata così. Fui invece costretto a censurare una scena
relativa ad una ragazzina: questa ragazzina era stata ripresa da vari punti
vista e, avendo dodici anni (o forse undici) , mostrava di profilo un
accenno di “tettine”, una cosa innocentissima che non avrebbe scandalizzato
alcuno. Quella ripresa fu interpretata come se io avessi voluto inquadrare
appositamente chissà cosa, ma in verità, per me,
si trattava semplicemente di una ragazzina di dieci anni con il taglio dell’autopsia sul petto.
KMX:
Si trattò quindi di problemi di poco conto... SS: Beh, insomma... Io colsi al contrario una certa gravità nella situazione di colui che aveva pensato una cosa del genere... Alla fine tagliai comunque non l’intera scena, bensì soltanto l’inquadratura che sembrava pensata apposta per far vedere quella cosa.
SS:
è un progetto a cui tengo ancora molto, perchè secondo me il personaggio
del Dr. Volkoff ha delle potenzialità. Si tratta di un personaggio, a mio
avviso, in sè assai più interessante dell’ennesimo film sui musei delle
cere perchè sarebbe potuto essere un buon supereroe, ovviamente negativo: io
stavo logicamente dalla sua parte perchè non c’è nulla per me di più
autobiografico di uno che fa maschere di cera e può cambiare mille facce!
KMX:
Si tratta di un altro evidente paradosso: l’Italia da un lato sta godendo
dell’autocelebrazione del proprio cinema di genere dei tempi che furono,
promossa specialmente da Quentin Tarantino che proprio di quel tipo di
cinema è un grande ammiratore, ma dall ‘altro sembra non avere la minima
intenzione di produrre qualcosa di nuovo nel campo. Secondo te sta cambiando
qualcosa all’interno dell’ambiente, oppure no?
SS:
Direi di no, perchè a me pare che ci sia una grande vigliaccheria da parte
delle persone che contano. Queste “persone che contano” tentano di fare da
capobranco, però quando capiscono che il branco non li segue e prende un’altra direzione, allora fanno finta di essere il capobranco che va da quella
parte! Ma in verità un vero capobranco non esiste, semplicemente perchè non
c’è nessuno che sia capace esserlo.
SS:
Beh, un conto è se avessi girato un film per la televisione assecondando
certi meccanismi, nel senso che quando uno lo fa per la televisione concorda
a priori che esso non conterrà poi certe cose, e potrebbe di conseguenza
roderti vedere al cinema un film di quel tipo, perchè quando vedi un tuo
film nelle sale vorresti che fosse migliore, superiore: io credo che
Lamberto si sia trovato in questa condizione. Nel caso nostro, invece,
abbiamo fatto un prodotto che era totalmente libero da questo punto di
vista, e per la sala lo ritenevo assolutamente adatto. Il punto è che io,
mentre lo giravo, mi sentivo un po’ frustrato dall’idea che stavo facendo
un film per il Dvd e basta: in fondo, se io sono stato una persona
fortunata, non dovevo buttare questa fortuna, ovvero la mia seconda
occasione, perchè sono uno che non si arrende facilmente; quindi per me era
un po’ una resa dire: “Lo faccio in Dvd perchè non sono riuscito a farlo per
la sala come il mio primo film”, perchè sarebbe stato un po’ come tornare
indietro, anche se ero disposto ormai a farlo anche solo per il Dvd, a quel
punto. Quindi lo giravo non facendo tecnicamente qualcosa come se dovesse
essere realizzato in pellicola,
ma per lo meno pensando che mi sarebbe piaciuto realizzarlo in quel modo,
scimmiottando, spero in senso buono, film passati a loro tempo al cinema,
ragion per cui non vedo per quale motivo anche il mio non potesse aspirare
ad arrivare nelle sale. Anche perchè io continuo a credere, e sarò forse un
illuso, che certe tematiche horror un po’ fuori moda avrebbero un loro
pubblico interessato a vederle al cinema: certo non un pubblico tale da
portare in cassa miliardi e miliardi, però almeno un pubblico un po’ d’elite, di cinefili insomma. Il mio film è un po’ così: un film “autoriale”
proprio per questo motivo, perchè non è fatto pensando a quale moda sia
meglio seguire, ovvero coreana piuttosto che giapponese, bensì è un film con
cui io dico: “Mi diverto a fare questo, e questo faccio”. Poi se sono fuori
moda non lo so, o almeno lo scopro adesso, ovvero scopro che se facevo un
film e lo chiamavo “The ball” forse era meglio: insomma, se basta questo...
KMX:
Si tratta di progetti che ti vedranno impegnato nel ruolo di regista, oppure
in quello di realizzatore degli effetti speciali?
SS:
In quello di regista.
SS:
Il problema di essere effettista non esiste: non si vive facendo l’effettista in Italia, semplicemente.
SS:
Beh, la carriera può servirti per vedere il tuo monumento in una piazza,
dove poi si ricorderanno di te, ma qui torniamo al discorso che siamo tutti
molto bravi nelle celebrazioni, mentre poi non siamo in grado di mantenere
in vita qualcosa facilitando magari l’esistenza artistica delle persone.
Io aspiro ad essere regista semplicemente perchè mi piace questo genere, e
l’ho frequentato con gli effetti speciali perchè era il modo migliore di
farlo da protagonista quando ho iniziato, ma non per questo non avevo dentro
di me la voglia di farlo direttamente dietro la macchina da presa. In
qualche modo, nascondevo sempre questa voglia per non far sembrare ai
registi con cui lavoravo che volessi rubare loro il mestiere. Ma oggi, se
voglio fare questo lavoro, non posso che farlo da regista, dando magari una
mano per gli effetti speciali. Sarà comunque difficile vedermi ancora alle
prese con gli effetti speciali, ma per un motivo molto semplice: i miei
prossimi film non ne conterranno più. SS: Io credo che I TRE VOLTI DEL TERRORE, col suo gusto un po’ retrò evidente sin dal titolo, a livello di marketing non abbia avuto grossi riscontri, cosa che mi ha insegnato che mantenere lo stesso stile non faciliterebbe nel realizzare nuovi progetti. Credo quindi che se farò un film in modo diverso, in sala verrà più gente interessata a vederlo.
SS:
Quello è un film che alcuni ragazzi del mio laboratorio hanno realizzato in
un modo abbastanza indipendente dal sottoscritto, senza nemmeno la mia
supervisione. Loro si sono semplicemente occupati di due o tre effetti
digitali, e anche se io nemmeno conosco il regista, in qualche modo può poi
avere fatto comodo dire che in quel film avevo fatto tutto io...
SS:
Personalmente il genere splatter lo trovo fatto per divertirsi, da vedere
ridendoci sopra come si può fare con altri generi estremi tipo il porno. Noi
che facciamo questo lavoro, poi, riusciamo a vedere questo genere con occhi
un po’ diversi, senza mai prenderlo troppo sul serio, quindi non mi
interessa molto. Io preferisco piuttosto che ci sia una scena eccessiva in
un film di un altro tipo, allora può arrivare come un pugno nello stomaco,
se fatta in un certo modo, magari anche ironico, però fare un film
completamente incentrato sullo splatter per me è un po’ come andare a
rovistare nell’immondizia: non lo vorrei fare.
SS:
Non ho grosse difficoltà a risponderti perchè è una domanda che fanno
spesso. Ce n’è uno, secondo me, che tiene al passare del tempo, e si trova
in DEMONI: è quello che credo mi abbia dato la giusta ricompensa in termini
di soddisfazioni e di fama; si tratta di quello in cui la protagonista perde
i denti, i quali vengono sostituiti da zanne: la scena della trasformazione
a vista, insomma.
SS:
Praticamente tutti! Io sto facendo una specie di scuola, lunghissima, e ho i
capelli bianchi ma ancora non l’ho finita, e non ho imparato niente!
KMX:
Pensi anche tu che effetti speciali di quel tipo siano ancora oggi
insuperati dalla computer-grafica, specie sul piano dell’impatto?
SS:
Come impatto sicuramente, non c’è dubbio.
La CG ha purtroppo creato un grosso equivoco, in quanto ha avvicinato il
cinema ai videogiochi. Invece c’è una grossa differenza tra l’uno e gli
altri: nel videogioco il regista è lo spettatore, mentre nel cinema il
regista è proprio il regista, che impone la sua visione, nel senso che se io
ti faccio vedere da una parte, tu dall’altra non potrai mai guardare.
Invece lo spettatore di oggi, che oltretutto va al cinema dopo aver visto il
videogioco del film che vorrebbe vedere, tipo RESIDENT EVIL, è un regista
anche lui, alla fine, e si stufa delle imposizioni del vero regista. Il
grosso guaio, a questo punto, è che un film tipo il mio non ti fa girare
attorno di 360 gradi, mentre il regista che fa RESIDENT EVIL, MATRIX,
eccetera, è come se pure lui si mettesse nei panni del giocatore e girasse
di 360 gradi: quindi fa saltare i supereroi da destra a sinistra, e da
davanti a dietro, con la macchina da presa che li segue, perchè tanto la CG
glielo permette. Quando la CG non c’era, ed il regista era costretto a
lavorare su qualcosa, ecco che quello era un vero regista: doveva scegliere
se fare questo, piuttosto che quello, piuttosto che quell’altro; ed erano
scelte importantissime: vuoi mettere l ‘attenzione che c’era in certe cose,
tipo i primi piani che faceva Sergio Leone, con i due occhi, la goccia di
sudore che scendeva lì vicino, e l’emozione che dava tutto ciò?
SS:
Sì, perchè io spesso mi chiedo come mai i ragazzi si divertano così tanto a
vedere tutti questi personaggi che saltano di qua e di là. A questo punto
sarò forse rincoglionito io che non ci capisco più niente, ma quando vado a
vedere uno di questi film alla fine capisco sempre solo che c’erano un
vampiro ed un altro mostro, che si sono legnati e che uno dei due è morto:
ma, onestamente, come tutto questo sia successo tu sei in grado di dirlo?
|
|||
|