festival int. del film di roma

iii edizione

Roma Capitale, 21 - 31 Ottobre 2008

 

di Sarah Gherbitz

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CHEMICAL WEDDING

di Julian Doyle

Regno Unito 2008, 106’

Giovedì 13 novembre, in occasione dell’anteprima a Science+fiction08 di CHEMICAL WEDDING, si è svolto un incontro con il regista Julian Doyle. Già collaboratore di diversi film diretti da Terry Gilliam, Doyle ha illustrato ai giornalisti presenti il background culturale della sua pellicola, incentrata sulla figura dell’occultista e mistico Aleister Crowley. Di seguito trovate un estratto dell’intervista alla stampa del regista.(SG)

Sono stato contattato dal management degli Iron Maiden, probabilmente perché in precedenza avevo lavorato con i Monty Python, e mi hanno chiesto di fare un video per la loro canzone “Can I Play with Madness”. Da lì ho cominciato a lavorare con loro, poi Bruce Dickinson ha cominciato a parlarmi di un film su Aleister Crowley che si sarebbe dovuto intitolare “The Number of the Beast” che è anche il titolo di una loro canzone.
Il fatto interessante è che in quel momento stavo lavorando ad un film intitolato “Chemical Wedding of Science and Magic”, una specie di “Codice Da Vinci” dieci anni prima (sorride, ndr). La cosa interessante, stando a quanto mi raccontava Bruce, è che ai suoi tempi Crowley era conosciuto come l’uomo più malefico del mondo, mentre io stavo lavorando ad un adattamento dal mio dramma preferito il “Riccardo III” di Shakespeare, anch’egli una figura malvagia. Quindi la cosa si è combinata in maniera interessante… inoltre, nel film la persona che pensa di essere Crowley è un professore dell’Università di Cambridge che recita anche dei versi di Shakespeare.

Che cosa l’affascinava del personaggio?
Ciò che mi ha colpito di Crowley è che, aldilà della sua reputazione di uomo malvagio, in realtà era una persona dedita a mille cose, e tutte molto diverse fra loro:era un alpinista, interessato alla fisica quantica e bravo al gioco degli scacchi, e in seguito divenne anche capo di un’organizzazione massonica. La massoneria era già nel film che stavo scrivendo, poi si sono aggiunti molti riferimenti agli scacchi, come un grande tappeto che riproduce il disegno di una scacchiera.
Al di là della sua malvagità, Crowley era un uomo molto colto, con una visione ampia della società per l’epoca: vivendo in India e in Cina, Crowley ha portato la disciplina dello yoga in Inghilterra. Ma, come purtroppo avviene in questi casi, questo suo aspetto non veniva colto, mentre nel film, che è sostanzialmente una commedia, ho cercato di mettere in risalto anche il suo lato ironico e il suo sense of humour.
Per la colonna sonora ho utilizzato le musiche di Mozart e Debussy per le loro implicazioni massoniche: si dice che Mozart sia stato ucciso perché aveva rivelato dei segreti massonici ne “Il Flauto Magico” e anche Debussy era coinvolto in un’organizzazione segreta. Dove potevo ho cercato di mettere canzoni degli Iron Maiden, per esempio nella scena in cui Crowley si gira per colpire una persona ho usato “Wicker Man” per commentarla, che è una delle canzoni scritte da Bruce Dickinson. Bruce appare in un cameo all’inizio del film, in realtà avrebbe dovuto aver una parte più lunga ma era impegnato nel suo tour e alla guida del suo aeroplano, quindi non aveva tempo.
Nel film ci sono anche parecchi riferimenti alla fisica quantica, ed in particolare al principio di incertezza a cui in un primo momento neanche Einstein credeva. Ho cercato di utilizzare questo tipo di immaginario perché mi sembra interessante il modo in cui questi segni possano essere letti ciascuno in maniera diversa. Una parte del senso della fisica quantica è che anche la persona che sta lì ad investigare è in grado di influenzare l’esperimento stesso, come risulta dall’esperimento del gatto chiuso in una bottiglia: prima di aprire la bottiglia non puoi dire se il gatto è morto o vivo, è morto solo nel momento in cui apri la bottiglia.

 

TERRA NOVA

(NOVAYA ZEMLYA)

di Alexander Melnik

Russia 2008, 130’

Non appena sullo schermo sono finiti i titoli di coda, un piccolo capannello di gente si è spontaneamente formato attorno alla delegazione di TERRA NOVA, pellicola russa non priva di fascino e dalla notevole capacità di turbare. Normale, quindi, che quegli spettatori che più di altri si sono fatti suggestionare dall’opera abbiano voluto saperne di più dagli stessi autori, sfruttando la loro presenza in sala. Un circostanza piuttosto singolare, invece, è che regista e produttore del film siano rispettivamente padre e figlio. Alexander e Anton Melnik, questi i loro nomi, si sono mostrati molto disponibili e desiderosi di raccontare, prima col pubblico e successivamente con noi, che abbiamo iniziato a interrogarli sul posto, per poi riprendere il discorso via mail, al rientro dei due a Mosca. Quanto segue è il resoconto dettagliato di ciò che ci si è detti a proposito di un film duro, che non può certo lasciare indifferenti.(SC)

 

Conversando con Anton Melnik, giovane produttore russo

 

Sappiamo che il film diretto da tuo padre, TERRA NOVA (NOVAYA ZEMLYA), è stato in parte girato nella regione artica, più precisamente alle Isole Svalbard, in parte ricorrendo ad altre location. Quali per esattezza?

In realtà TERRA NOVA è stato girato in diversi posti, che vanno dall’isola di Spitzbergen nelle Svalbard, ovvero in territorio norvegese, fino alla Crimea e a Malta. In totale abbiamo avuto 90 giorni di riprese. Le riprese sono iniziate proprio a Spitzbergen. Poi ci siamo spostati in Crimea, dove per due mesi abbiamo girato scene di massa in un una baia rocciosa, poiché realizzare tali scene alle Svalbard sarebbe costato troppo: probabilmente lì avremmo dovuto affittare una nave delle dimensioni del TITANIC per poter trasportare le comparse. Fatto questo siamo tornati a Mosca, dove abbiamo allestito uno splendido studio che poteva oscillare grazie a una speciale apparecchiatura idraulica. Lì sono state girate le scene nella stiva della nave, mentre si affronta un burrascoso Mar Glaciale Artico. La tempesta stessa e altre scene marine sono state girate a Malta. Ad ogni modo, va detto che siamo stati tra i primi film-makers russi ad effettuare riprese a Malta. Questa isola del Mediterraneo è stata il nostro punto d’arrivo. E così il 2 febbraio scorso si sono concluse  le riprese di TERRA NOVA.

 

Sempre a proposito delle riprese effettuate a Spitzbergen, quanto è difficile per una troupe cinematografica operare in un posto così selvaggio? Puoi raccontarci qualche esperienza particolare legata al periodo in cui avete lavorato lì?

In pratica siamo stati anche i primi a girare un film a Spitzbergen. Lì le condizioni per realizzare un film sono veramente dure. Non ci sono strade, la troupe doveva spostarsi usando la nave, i motoscafi o gli elicotteri, camminare a lungo per raggiungere quei posti dove un elicottero non può atterrare a causa delle asperità del terreno, portarsi sempre dietro attrezzature pesanti. Ma gli attori hanno dimostrato grande coraggio e resistenza, immergendosi per diverse riprese nelle acque gelate del Mar Glaciale Artico, dove la temperatura dell’acqua non sale mai oltre i 4°C. Eppure, c’è da dire che da quelle parti la natura è davvero stupenda.

 

In TERRA NOVA possiamo ammirare un gran numero di bravi attori, alcuni dei quali con l’aria da duri. Come avete pianificato il cast tu e tuo padre?

Decidendo il cast ci siamo imposti una forma di perfezionismo. Non è stata una missione agevole trovare un attore per il ruolo principale. Ne volevamo uno in grado di creare un’immagine particolare, che combinasse il carattere dell’eroe hollywoodiano coi tratti specifici dell’eroe nella cultura russa. E nell’estate 2007 la nostra ricerca ha avuto successo. Abbiamo scelto Konstantin Lavronenko, che l’anno scorso è stato premiato come migliore attore al festival di Cannes. Il premio gli è stato conferito per IZGNANIE (EXILE, 2007) di Andrey Zvyagintsev. I personaggi creati da questo attore riescono sempre a suscitare empatia. Eravamo convinti che Konstantin Lavronenko sarebbe stato capace di interpretare una persona capace di resistere a tutto il mondo che gli sta intorno, e abbiamo avuto ragione.

Tra i prigionieri che si trovano accanto a lui, abbiamo introdotto un personaggio piuttosto inusuale per pellicole come TERRA NOVA, una specie di mezzo demone che prende parte ai conflitti tra i vari protagonisti schierandosi ora con gli uni e ora con gli altri. Nel film il nome di questo personaggio è Seepa. Ha poco più di 20 anni, ma ha già assassinato più di 20 persone. Si tratta di un soggetto maniacale, ma è un folle dotato anche di qualche principio filosoficamente fondato. Questo ruolo è andato a un giovane e meraviglioso attore teatrale di San Pietroburgo, Andrey Feskov, stella emergente del cinema russo. Il suo lavoro è stato elogiato da molti critici compreso Andrey Plakhov, il presidente della FIPRESSI.

Un’impresa veramente difficile è stata coordinare i programmi dei russi e quelli di attrici e attori stranieri che recitano in TERRA NOVA (tra queste star vi sono la lituana Ingeborga Dapkunaite interprete di BURNT BY THE SUN (SOLE INGANNATORE, il film di Mikhalkov premiato nel 1994 con l’Oscar), e il carismatico attore afro-americano Tommy Lister, noto per le sue apparizioni ne IL QUINTO ELEMENTO e IL CAVALIERE OSCURO). Ma siamo stati abbastanza fortunati e abbiamo potuto portare a termine tutto ciò che avevamo pianificato.

 

È la tua prima esperienza come produttore nella società “Andreevskiy Flag”, o hai partecipato ai suoi precedenti impegni produttivi, MONGOL per esempio?

Il primo lungometraggio di cui ho seguito il progetto in qualità di produttore è stato THE LIGHTHOUSE (MAYAK, 2006), un film sulla guerra civile in Caucaso negli anni ’90. Quest’opera ha ottenuto il Grand Prix all’International Festival of New Cinema di Split (Spalato, in Croazia), ed è stato ammesso ad altri festival di livello internazionale come Londra, Rotterdam, San Paolo.

MONGOL di Sergei Bodrov è stato invece il primo grande progetto. Il film è stato nominato all’Oscar e mostrato in 35 paesi, tra cui l’Italia.

 

Che genere di esperienze hai avuto prima di lavorare alla Andreevskiy Flag? Hai studiato cinema in Russia?

Mi sono laureato all’Institute of Practical Oriental Study, l’oggetto della mia ricerca erano gli “Aspetti socio-economici della produzione cinematografica in India”. Poi ho studiato per un Master all’Università di  Stato di Mosca, Facoltà di Economia. La mia ricerca consisteva nella “Storia delle idee manageriali a livello di Service Production”, con il cinema preso ad esempio.

 

Ci sono molte opportunità oggi in Russia per le produzioni e le distribuzioni cinematografiche indipendenti, secondo te?

Il mercato in Russia si sta diffondendo ora, lo definirei piuttosto instabile. Dal 2004 diversi film russi sono stati realizzati e fatti circolare, alcuni hanno avuto davvero successo superando al box office anche qualche pellicola hollywoodiana (e per un certo periodo il campione di incassi è stato THE IRONY OF FATE 2 – IRONIYA SUDBY 2, diretto nel 2007 da Timur Bekmambetov, che ha guadagnato 53 milioni di dollari nelle sale). La grande eccitazione e le aspettative destate da questo episodio hanno fatto sì che la comunità degli affari comprendesse i profitti ricavabili dalla produzione cinematografica. La quantità degli investimenti e delle risorse finanziarie per i produttori cinematografici è notevolmente cresciuta, un certo numero di società di produzione è stato comprato da grossi gruppi finanziari e industriali. Più denaro nella produzione cinematografica ha determinato che aumentassero i costi delle produzioni (sono cresciuti di molto, e a più riprese) e che i proventi del box office crescessero del 15-20% ogni anno. Allo stesso tempo si è verificato che a un maggior numero di film prodotti in Russia corrispondesse un diminuire della qualità e del livello di aspettative da parte del pubblico per il prodotto interno.  Il pubblico si è sentito saturo di film russi. Come risultato, tante pellicole russe nel 2008 sono state un fallimento (con qualche opera davvero di qualità, tra queste). Gli investitori hanno perso il loro denaro. A margine di ciò, si è fatta strada la crisi finanziaria globale, col risultato di peggiorare la situazione in quelle branche della produzione economica (industria del petrolio e così via) che tradizionalmente hanno investito denaro nella produzione cinematografica. La sospensione degli aiuti finanziari statali dal 2008, che potevano durare almeno fino al 2009, ha inferto un altro brutto colpo. Riassumendo, possiamo dire che l’inizio del 2009 vedrà l’industria cinematografica russa e soprattutto i cineasti indipendenti in una grave crisi, che porterà indubbiamente a una forte riduzione della produzione cinematografica, alla bancarotta di alcune società e alla re-distribuzione del mercato. Probabilmente di nuovo a favore di Hollywood. Tra un anno dovrebbero vedersi i risultati.

 

Conversando con Alexander Melnik, regista di TERRA NOVA

 

Perché hai scelto di collocare la storia del tuo primo lungometraggio di fiction, TERRA NOVA, nell’immediato futuro? E quale è la tua idea sulla violenza nella nostra società?            

Stiamo raccontando la storia del futuro, l’anti-utopia. E stiamo dicendo: Hey, signori, per il momento non abbiamo ancora fatto questo passo, abbiamo la possibilità di cambiare ogni cosa. Non è una storia per intrattenere. È un ammonimento. È una storia fatta per coinvolgere chiunque, per porre la domanda se siamo o no esseri umani. “Ci sono ancora esseri umani qui?” chiede uno dei personaggi nel momento più duro e terribile. Questo è quanto.

Idem per la violenza. Non appena la violenza diventa regola, nella società tendono a comparire vari atteggiamenti rispetto ad essa, cose di questo tipoe: la violenza come fenomeno artistico, la violenza come strumento politico, la violenza come mezzo per risolvere problemi quotidiani e così via. L’opinione pubblica talvolta si mette a ballare sintonizzandosi sulla violenza, riconoscendola come uno degli elementi imprescindibili del nostro essere. Questo è ciò a cui vuole contrapporsi il nostro film, che contrasta il principio secondo cui alla violenza ci si abitua.

 

Cosa ti è piaciuto di più nella sceneggiatura di Arif Aliyev?

Arif ha scritto la prima versione dello script su una sua idea, nel 2005. Non appena ho letto la sceneggiatura mi sono convinto di volerci realizzare un film. È una specie di testimonianza di ciò che sta succedendo ora nel mondo. Ha l’aria di essere iperbolico, ed è spaventoso. Uno dei miei collaboratori lo ha paragonato a IL RITRATTO DI DORIAN GREY. La società crea per stessa un’illusione di sicurezza, uno specchio che rifletta il suo stare bene, ma poi c’è la realtà, e se non prestiamo attenzione ad essa, se non vi facciamo ritorno, finiremo per essere sommersi dalle nostre utopie. Si dice che la strada per l’inferno sia lastricata di buone intenzioni.

 

Ci sembra di notare anche un pessimismo di fondo nei confronti dell’ONU e degli altri organi di controllo internazionali. È così?

Più probabilmente, è un approccio pessimistico al fatto che qualsiasi organismo internazionale reagisce in modo sempre più confuso, di fronte alle sfide che provengono dai differenti snodi della civilizzazione.

 

Abbiamo intravisto qualcosa di poetico nei titoli di testa e persino alla fine, quando il pubblico vede scorrere accanto ai titoli di coda le foto consumate dei protagonisti, ritratti prima della prigione. Ci puoi spiegare meglio questa idea?

 

L’anno 2008 è fissato nei titoli di coda. Seepa è ancora un giovane che ha appena finito gli studi, Zhilin è ritratto prima di diventare pilota, il vecchio Ceceno vive ancora nel suo villaggio, e suo figlio Obezyan (“Scimmia”) non è ancora diventato un assassino. Perciò sono ancora felici. Riteniamo che la nostra sia un’anti-utopia, una storia per rendere manifesto che fare esperimenti sulla gente porta a risultati terribili.

 

Ripensando alla parte più dura del tuo film, ma specialmente alle scene in cui mostri atti di cannibalismo tra i detenuti, alcuni spettatori si sono chiesti se vi sia qualche riflesso di eventi simili documentati all’epoca di Stalin. Hai per caso tratto ispirazione da episodi accaduti nei Gulag?

Esistono esempi di questo tipo. Noi non ne eravamo informati, e non so spiegarti la ragione, ma almeno in Francia è stato pubblicato un libro a partire da eventi che ebbero luogo nella parte settentrionale della Yakuzia, durante gli anni ’30. Alcuni criminali già condannati vennero portati sulle isole e lasciati senza sorveglianza. Si spostarono lungo tutto il territorio, quindi venne organizzata una caccia all’uomo, i cacciatori venivano ricompensati alla consegna delle orecchie, e i prigionieri intanto cominciarono a mangiarsi tra loro. Il titolo del libro può essere tradotto come “L’isola dei cannibali”, ad ogni modo è pubblicato in francese.

 

Nella letteratura russa, specialmente in Dostoevskij, possiamo leggere pagine davvero profonde sull’omicidio e sul senso di colpa. Pensi che TERRA NOVA sia direttamente collegato a questi aspetti della cultura russa?

Spero proprio di sì. Così come avrei piacere che ci si riaccostasse un po’ tutti a quei temi intramontabili, affrontati dai geni della letteratura russa.

 

Cosa puoi dirci invece dei tuo ruolo nella produzione di MONGOL, il film di Sergei Bodrov?

In quella operazione il mio ruolo era di attrarre gli investimenti (la società Andreevskiy Flag ha investito 7 milioni di dollari nella produzione di Mongol) e in parte ha riguardato la componente artistica del progetto. La promozione internazionale del film è opera della Beta Cinema, ed è stata quella società a concludere il contratto con la BIM per la distribuzione di MONGOL nelle sale italiane. 

 

THE ORPHANAGE

(EL ORFANATO)

di Juan Antonio Bayona
Messico/Spagna 2007, 105’

Al Festival SCIENCE+FICTION08, dopo la proiezione in anteprima del film EL ORFANATO, uno dei più clamorosi successi ai botteghini della storia del cinema iberico, il regista Juan Antonio Bayona ha risposto alle domande della stampa. Di seguito un estratto dell’incontro.(SG)

Come si spiega il successo straordinario del film?
Sì, in Spagna El Orfanato il successo è stato straordinario, la gente che andava a vederlo al cinema tante volte tornava per la seconda volta. C’è da dire che tutta la troupe era composta da novizi del cinema e con poca esperienza, quindi mentre lo giravamo si respirava un’atmosfera di vera ‘illusione’ nel senso spagnolo del termine, che vuol dire tanto entusiasmo. A me interessava principalmente che il film fosse un’esperienza anche per lo spettatore, quindi volevo realizzare sì una pellicola horror che facesse tanta paura, ma allo stesso tempo fare in modo che il film risultasse emozionante per chi lo guardava.
Penso che questo mix tra emozione e terrore abbia fatto sì che molte persone che di solito non vanno a vedere al cinema i film horror alla fine abbiano scelto di andare a vedere “El Orfanato”. Ho volutamente lasciato la porta aperta all’interpretazione dello spettatore, ed era molto divertente vedere il pubblico, all’uscita dalla sala, intento a discutere su quale potesse essere il ‘reale’ significato del film.

Perché l’orfanotrofio al cinema scatena sempre delle paure profonde nello spettatore?
L’orfanotrofio è il luogo archetipo dell’infanzia, quindi il film cita le paure che si hanno da piccoli, la paura della solitudine, la difficoltà di prendere delle decisioni. “El Orfanato” racconta il percorso di ritorno della protagonista, che decide di tornare nel luogo in cui è cresciuta perché probabilmente ha un conto in sospeso con quel passato e non è capace di mediare con le sue responsabilità della vita da adulta.

è per questo che il film è stato apprezzato dal pubblico di tutto il mondo?
Il film va diretto alle paure che teniamo nel nostro inconscio, quelle paure universali che sono uguali in tutto il mondo. Poi credo che più un film entra nello specifico di una realtà geografica locale, più il film si rende capace di assumere un significato universale, comprensibile ovunque. L’importante è mostrare un mondo nuovo, quindi anche per il pubblico straniero vedere un film horror spagnolo, ambientato in un posto che non ha mai visto, diventa un elemento di forte attrazione.

Da cosa nasce l’idea del film?

Dalla sceneggiatura di Sergio Sánchez, che è anche regista. Lui stesso aveva cercato di passare alla regia ma non era riuscito a trovare i finanziamenti, poi Guillermo Del Toro ha letto il copione e ha iniziato ad interessarsi al progetto. Conosco Del Toro da quindici anni, guardava con entusiasmo alle cose che avevo fatto, cortometraggi, spot, ecc. e, appena saputo che avrei diretto un lungometraggio, ha voluto essere da subito della partita.

Sta già pensando ad un prossimo film?
Sì, sto già lavorando ad un altro progetto sempre prodotto da Guillermo Del Toro con la Universal. La pellicola, che s’intitolerà Hater, racconta di un’epidemia di terrore e odio che nasce senza ragione apparente in una città americana.

Si riconosce nella nuova leva di autori spagnoli?
Siamo cresciuti insieme, ci conosciamo tutti da tanti anni. Dal momento che siamo cresciuti insieme c’è davvero una nuova generazione di registi, anche se poi ciascuno lavora per conto suo. Ad esempio, l’anno scorso è uscito REC di Balagueró, che è un film totalmente diverso da El Orfanato. Questo spiega bene come siamo diversi l’uno dall’altro pur essendo un gruppo.

Com’è entrato in contatto con l’attrice protagonista Belén Rueda?

è stata la mia prima scelta, ho sempre pensato a lei perché la sua fisicità la rendeva perfetta per questo ruolo. Ha una combinazione di fragilità e durezza che la rendono un’attrice stupenda; in più in Spagna non era conosciuta come un’attrice di film horror ed è interessante sorprendere il pubblico con questo tipo di novità.
 

 

Science + fiction

festival della fantascienza

9.na edizione

Trieste, 11 - 16 Novembre 2008