La quarta tappa di
“Voyage Fantastique” a SCIENCE+FICTION08, ha indagato quest’anno l’utilizzo
del digitale, ovvero quello che in area francofona viene chiamato ‘image
numerique’. La Francia è stato il primo paese europeo a sviluppare,
esattamente 25 anni fa, un film di immagini di sintesi in 3D “Maison Vole”
di André Martin e Philippe Quéau. Accanto alla proiezioni dei film
Frontière(s) di Xavier Gens,
Les Mille merveilles de l’univers
di Jean Michel Roux, il festival ha visto la presenza del testimonial
d’eccezione Marc Caro, regista di
Dante01, e assieme a Jean
Pierre Jeunet di Delicatessen
e La città dei bambini perduti.
Di seguito un estratto dell’incontro con il regista.
C’è un collegamento tra i suoi primi corti d’animazione e l’ultimo
Dante01?
I miei primi lavori sono stati molto influenzati da quello che stavo facendo
nel fumetto alla fine degli anni ’70 inizio anni ’80 e dall’ambiente della
rivista ‘Metal Hurlant’. è
vero, in questo ultimo Dante01
c’è un ritorno all’inizio, c’è da parte mia la volontà di tornare alle fonti
iniziali: dopo anni di tentativi mi sono detto che era il momento di tornare
alle basi. Sento il bisogno di disegnare tutto quanto succederà poi nel
film, spesso i miei personaggi sono grafici e questo viene dalla mia
esperienza nel fumetto, così come da lì viene anche la volontà di far
partecipare lo spettatore. Nel fumetto tra un disegno e l’altro è lo
spettatore che interviene e crea i legame tra le due immagini. Ho tentato di
fare la stessa cosa nel mio film, ho cercato di creare degli spazi affinché
lo spettatore potesse partecipare e contribuire a creare la relazione tra le
due immagini.
Nel film colpisce l’utilizzo di personaggi religiosi o tratti dalla
letteratura esoterica e mistica: qual è il suo rapporto con la religione?
Sono punk e taoista e nel mio lavoro si riflette la mescolanza di questi due
elementi; secondo me questo film è simbolico nel senso che è un racconto con
figure astratte. Per quanto riguarda la religione la considero un livello di
astrazione: come dicevi anche tu non c’è solo una religione ma diverse
religioni e tutte svolgono in questo senso un ruolo importante.
Anche nel film troviamo diversi simboli, il cerchio, la croce, e tutto ciò
fa sì che i simboli rappresentino una realtà universale che può essere
associata a tutte le culture, a tutti i tempi e a tutte le epoche. I
personaggi stessi sono dei simboli che rappresentano i peccati capitali.
La fantascienza ci fa riflettere sul nostro ruolo nel mondo e questo a sua
volta ci porta a porci delle domande metafisiche o spirituali sul ‘chi
siamo’ ecc., e in questo modo è come se noi potessimo accedere all’infinito
e nel momento in cui iniziamo a pensare all’infinito automaticamente
possiamo pensare alla religione e poi alla scienza per trovare delle
risposte più concrete. è come
se ci ponessimo di fronte alla razionalità e alla irrazionalità però in
questo caso il confine è molto sottile.
Da cosa nasce il suo interesse per la cultura giapponese?
Ho sempre avuto una grande attrazione nei confronti dell’Asia perché ritengo
che i film siano molto più maturi rispetto a quello che viene fatto adesso
negli Stati Uniti dove si girano film molto costosi e proprio perché hanno
una portata economica diversa devono avere un pubblico molto più ampio e
quindi vengono fatti con un altro tipo di interesse: come se la fantascienza
statunitense si trasformasse in una sorta di western nello spazio e quindi
viene a mancare quell’interesse metafisico che per me è la cosa più
importante, elemento che invece ho ritrovato spostandomi verso l’Asia e il
Giappone, nei loro fumetti d’animazione, nei manga. Ritengo che molti film
giapponesi abbiano questa componente più ‘adulta’ e matura che io vado
cercando.
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