festival int. del film di roma

iii edizione

Roma Capitale, 21 - 31 Ottobre 2008

 

di Sarah Gherbitz

Collegamenti rapidi:

- Le Recensioni

- Conferenze stampa dei film recensiti

- Premi

La quarta tappa di “Voyage Fantastique” a SCIENCE+FICTION08, ha indagato quest’anno l’utilizzo del digitale, ovvero quello che in area francofona viene chiamato ‘image numerique’. La Francia è stato il primo paese europeo a sviluppare, esattamente 25 anni fa, un film di immagini di sintesi in 3D “Maison Vole” di André Martin e Philippe Quéau. Accanto alla proiezioni dei film Frontière(s) di Xavier Gens, Les Mille merveilles de l’univers di Jean Michel Roux, il festival ha visto la presenza del testimonial d’eccezione Marc Caro, regista di Dante01, e assieme a Jean Pierre Jeunet di Delicatessen e La città dei bambini perduti. Di seguito un estratto dell’incontro con il regista.

C’è un collegamento tra i suoi primi corti d’animazione e l’ultimo Dante01?
I miei primi lavori sono stati molto influenzati da quello che stavo facendo nel fumetto alla fine degli anni ’70 inizio anni ’80 e dall’ambiente della rivista ‘Metal Hurlant’. è vero, in questo ultimo Dante01 c’è un ritorno all’inizio, c’è da parte mia la volontà di tornare alle fonti iniziali: dopo anni di tentativi mi sono detto che era il momento di tornare alle basi. Sento il bisogno di disegnare tutto quanto succederà poi nel film, spesso i miei personaggi sono grafici e questo viene dalla mia esperienza nel fumetto, così come da lì viene anche la volontà di far partecipare lo spettatore. Nel fumetto tra un disegno e l’altro è lo spettatore che interviene e crea i legame tra le due immagini. Ho tentato di fare la stessa cosa nel mio film, ho cercato di creare degli spazi affinché lo spettatore potesse partecipare e contribuire a creare la relazione tra le due immagini.

Nel film colpisce l’utilizzo di personaggi religiosi o tratti dalla letteratura esoterica e mistica: qual è il suo rapporto con la religione?
Sono punk e taoista e nel mio lavoro si riflette la mescolanza di questi due elementi; secondo me questo film è simbolico nel senso che è un racconto con figure astratte. Per quanto riguarda la religione la considero un livello di astrazione: come dicevi anche tu non c’è solo una religione ma diverse religioni e tutte svolgono in questo senso un ruolo importante.
Anche nel film troviamo diversi simboli, il cerchio, la croce, e tutto ciò fa sì che i simboli rappresentino una realtà universale che può essere associata a tutte le culture, a tutti i tempi e a tutte le epoche. I personaggi stessi sono dei simboli che rappresentano i peccati capitali.
La fantascienza ci fa riflettere sul nostro ruolo nel mondo e questo a sua volta ci porta a porci delle domande metafisiche o spirituali sul ‘chi siamo’ ecc., e in questo modo è come se noi potessimo accedere all’infinito e nel momento in cui iniziamo a pensare all’infinito automaticamente possiamo pensare alla religione e poi alla scienza per trovare delle risposte più concrete. è come se ci ponessimo di fronte alla razionalità e alla irrazionalità però in questo caso il confine è molto sottile.

Da cosa nasce il suo interesse per la cultura giapponese?
Ho sempre avuto una grande attrazione nei confronti dell’Asia perché ritengo che i film siano molto più maturi rispetto a quello che viene fatto adesso negli Stati Uniti dove si girano film molto costosi e proprio perché hanno una portata economica diversa devono avere un pubblico molto più ampio e quindi vengono fatti con un altro tipo di interesse: come se la fantascienza statunitense si trasformasse in una sorta di western nello spazio e quindi viene a mancare quell’interesse metafisico che per me è la cosa più importante, elemento che invece ho ritrovato spostandomi verso l’Asia e il Giappone, nei loro fumetti d’animazione, nei manga. Ritengo che molti film giapponesi abbiano questa componente più ‘adulta’ e matura che io vado cercando.
 

 

Science + fiction

festival della fantascienza

9.na edizione

Trieste, 11 - 16 Novembre 2008