Omaggio a Ray Harryhausen
Ray Harryhausen è indiscutibilmente il maestro degli effetti speciali a
passo uno, colui che per decenni con le sue artigianali e ingegnose
creazioni ha arricchito il cinema fantastico di fascino, idee, emozioni. A
Trieste ha voluto regalarci un’ulteriore magia: non potendo essere presente
per ritirare di persona il Premio alla Carriera, tributatogli nel corso di
Science + Fiction, si è materializzato (neanche fosse un ologramma di STAR
TREK) in videoconferenza, scortato nell’etere dall’amico e collega Tony
Dalton, co-autore di testi importanti sul cinema d’animazione e sul
variegato universo degli effetti speciali. Ad accoglierli festosamente
presso l’Hotel Urban, luogo del virtuale incontro, un plotoncino di
giornalisti, con in veste di moderatori il critico Lorenzo Codelli, in
rappresentanza della Cineteca del Friuli, e Giuseppe Lippi per Urania.
Ed è proprio da parte della storica pubblicazione di Mondadori, le cui
uscite hanno avvicinato alla fantascienza generazioni intere di lettori, che
è arrivato per Harryhausen un riconoscimento di prestigio, l’Urania
d’Argento. Giuseppe Lippi, nel presentare il premio, si è soffermato
volentieri a ricordare l’impatto che ebbe la copertina di Urania con
l’immagine del mostro di turno che si stagliava, una volta tanto, non sullo
skyline di Tokio o di New York, ma di fronte al Colosseo nel pieno centro di
Roma! L’immagine in questione, come gli appassionati avranno di certo
capito, è quella di A 30 MILIONI DI KM DALLA TERRA, romanzo pubblicato nella
collana a dimostrazione del successo ottenuto dall’omonimo film (20 MILLION
MILES TO EARTH, 1957), un cult i cui effetti erano curati, guarda un po’, da
un Harryhausen capace di infondere il soffio vitale alla memorabile,
terrificante creatura.
Ma l’occasione di aver davanti (seppure in formato bidimensionale) il vispo
ottantenne non è stata sfruttata soltanto per tributargli i premi e gli
applausi che indubbiamente merita; a partire dallo stesso Codelli,
coinvolgendo poi i più interessati tra gli addetti ai lavori assiepati nel
pubblico, si è dato il via alle domande e ad altri interventi, per
rispondere ai quali Ray Harryausen e Tony Dalton non sono stati certo avari
di commenti, aneddoti, ricordi, riflessioni inerenti al cinema fantastico di
ieri e di oggi.
In nome della sintesi vi riporteremo solo pochi ma significativi stralci di
questo fitto dialogo, che si è protratto a lungo, complice la curiosità dei
presenti.
Giuseppe Lippi, tra i primi a farsi avanti, aveva comunque rotto il ghiaccio
chiedendo ad Harryhausen un ricordo del suo ispiratore Willis O’Brien, il
creatore di KING KONG. Il cineasta ha così raccontato di come rimase
impressionato dalla prima visione del capolavoro di Schoedsack e Cooper,
esperienza che gli fece scoprire il movimento, dopo che aveva già cominciato
da tempo a interessarsi di modellini e diorama. Quando poi Codelli ha
rincarato la dose, chiedendogli un’opinione sul remake di Peter Jackson e
sull’utilizzo degli effetti digitali in quella ed altre pellicole, sia
Harryhausen che Tony Dalton si sono espressi favorevolmente sul conto del
regista neozelandese, sottolineando però come il suo lavoro punti in primo
luogo sull’elemento spettacolare. Interessante, per chi non ne fosse al
corrente, scoprire che Peter Jackson ha anche ospitato sul set di KING KONG
il buon Harryhausen, rimasto poi colpito (oltre che dalla calorosa
accoglienza offerta dal collega e dalla sua troupe) sia dagli aspetti
propriamente tecnici che dalla bellezza delle location individuate, come era
avvenuto per IL SIGNORE DEGLI ANELLI, in Nuova Zelanda.
Ancora a proposito della CGI e delle sue applicazioni, Harryausen ha fatto
notare una cosa importante, e cioè che gli esiti possono essere anche molto
belli, ma rimane pur sempre uno strumento, sono le idee che ci sono dietro a
fare la differenza. Nel parlare invece di quanto fosse diverso il lavoro da
lui svolto con i modelli di plastilina e con le tecniche di una volta,
grande rilievo è stato dato all’aspetto dell’artigianalità, ribadito
successivamente ad alcuni interventi del pubblico. Coloro che gli chiedevano
un giudizio sull’altro grande cineasta che ha saputo rinnovare l’immaginario
fantastico degli ultimi anni, Tim Burton, si sono visti servire una replica
non meno rispettosa e all’insegna della stima reciproca, di quella dedicata
precedentemente a Peter Jackson. Ma in questo caso Harryhausen ne ha
approfittato per aggiungere una notazione, relativa a come lui abbia
lavorato molto spesso da solo, in un piccolo studio, per mettere a punto le
creature da noi ammirati in tanti film. Mentre oggi i metodi sono
enormemente cambiati, al punto che gruppi piuttosto numerosi di animatori si
dividono il lavoro, occupandosi magari di un singolo aspetto quale può
essere il charachter design o le possibilità di movimento di un personaggio
fantastico. Anzi, ad uno spettatore nostalgico che quasi gli rimproverava di
aver interrotto l’attività di film-maker con CLASH OF THE TITANS (1981),
quando ancora molto avrebbe potuto offrire alla causa (sentimento condiviso
in realtà da molti dei presenti), Ray Harryhausen ha risposto con la
consueta modestia e sottolineando, in modo scherzoso, come si fosse stancato
ad un certo punto di trascorrere gran parte del tempo a lavorare da solo in
uno stanzino!
Molti altri aspetti interessanti sono in seguito emersi, tra cui l’abitudine
così elogiata dal produttore di THE HARRYHAUSEN CHRONICLES, mister Tony
Dalton (che col tempo ne è diventato un po’ il biografo), di conservare
quasi tutti i modelli accuratamente, circostanza che ha già facilitato la
creazione di una mostra al museo del cinema di Berlino, e che potrebbe
portare prima o poi all’istituzione di un museo. Noi, da fan dichiarati, ne
saremmo felici.
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