Al Pacino introduce la
conferenza stampa con una sua considerazione sull’Actor’s Studio.
è un piacere e un onore per
me essere qui. L’Actor’s Studio è stata la cosa più importante per me, per
la mia carriera, da giovane ma non solo. L’Actor’s Studio è il luogo dei
drammaturgi e degli attori: non tutti forse lo sanno ma l’Actor’s Studio è
gratuito; chiunque, e dico chiunque, può venire a fare un provino. E chi
riesce ad entrare non ne esce più per tutta la vita. Quando ero giovane
all’Actor’s Studio facevamo tantissime sessioni di studio: “sperimentazione”
era la parola chiave e poi letture, incontri, opportunità di conoscersi.
Questo è l’Actor’s Studio. E io sono veramente onorato di essere qui, a
Roma, a ritirare questo premio. Non me lo ero nemmeno scritto questo
discorso, ci ho pensato solo oggi pomeriggio (ride...)
Nei suoi film interpreta spesso il mentore di un altro personaggio. Nel
suo campo lei è considerato un maestro: quanto è difficile trasmettere ai
giovani l’arte della recitazione? E quanto non metterli in soggezione
essendo Al Pacino?
Con i giovani attori, molti dei quali sono poi diventati degli amici, mi è
utile ricordarmi di quando ero giovane io, ad esempio di come Brando fosse
sempre gentile con me. è
possibile che i giovani siano intimiditi... D’altra parte anche durante le
prove certe tensioni sono naturali...cAllora spesso ci si mette a
chiacchierare, magari si va a prendere un caffé fuori e così si comincia a
vedere e conoscere anche la persona e non solo l’attore. Loro cominciano a
vedere me, io a vedere loro. Questo fa veramente la differenza.
Cosa significa per lei essere a Roma in questo momento? E a che punto della
sua carriera direbbe di trovarsi?
Uhm... è difficile mettersi
un vestito. E ancora più complicato mettersi giacca e cravatta. Per me è un
onore ogni volta che vengo in Italia. Oggi pomeriggio ho parlato in una
scuola, per me è entusiasmante, è difficile dirlo, è come se stessero
organizzando una festa per te e tu ti chiedessi “Cosa ho fatto per
meritarlo?”
In un’intervista lei dice di preferire il teatro al cinema.
è vero?
è vero, è vero. Perché ho
cominciato sul palcoscenico, è una cosa per me molto familiare. Io sono un
performer, un artista, un attore, amo il pubblico dal vivo, le emozioni che
riesce a darti il teatro. Il teatro posso dire che è stato la mia famiglia,
la famiglia con cui davvero sono cresciuto.
Che cosa è la cosa più importante che ha imparato nel recitare?
La cosa migliore del recitare è... La bevuta che ti fai dopo che hai finito
di recitare!
Lei ha interpretato moltissimi ruoli. Quanto è difficile uscire dai suoi
personaggi? Staccarsi da loro e lasciarli sul set?
Fantastica domanda perché una delle cose che si imparano man mano che cresci
è l’essere in grado di separarti dal personaggio sapendo che ci sono altre
cose nella vita, come la famiglia e così via. Quando ero giovane i
personaggi mi si attaccavano addosso, ma devo dire che mi è capitato anche
il contrario. In Quel pomeriggio di
un giorno da cani, ad esempio, avevo lasciato andare un personaggio
che poi però non riuscivo a trovare più. Non riuscivo davvero a
ritrovarlo... In teatro questa cosa non succede, i personaggi cambiano più
spesso, piuttosto ti capita di scambiare Shakespeare con Amleto! Cose così
succedono davvero! Il fatto è che al cinema si lavora troppo: 14 ore di
seguito e questo credo non sia positivo. La troupe, gli attori, non riescono
più a concentrarsi, è troppo faticoso, io sono per orari più umani, per
giornate di riprese meno lunghe, perché gli attori hanno bisogno di energia
altrimenti non possono farcela a dare davvero.
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