romafictionfest 2007
Roma, 02/07 luglio 2007
 

di Gabriele FRANCIONI


STANLEY KWAN AL FICTION FESTIVAL

Il grande regista hong-konghese Stanley Kwan (CENTER STAGE, RED ROSE WHITE ROSE, LAN YU), forse il più sottovalutato tra i nomi scoperti o riscoperti nell’ ultimo decennio di estrema attenzione verso il cinema Estremorientale, ha presentato la serie-Tv " Huo Yuna Jia" al Fiction Festival, in veste di produttore.
Come altri autori la cui attività ha assunto connotazioni multiverse dopo il passaggio alla Cina del 1997, anche Kwan ha parlato di un nuovo orgoglio patriottico (“di noi cinesi…”, come testualmente affermato in conferenza stampa), che è sembrato sincero e non dettato da esigenze in qualche modo diplomatiche e in nessun modo coatto.


"Huo Yuna Jia" (con la splendida Zhou Muyin, presente a Roma, e il protagonista Ekin Cheng) narra l’epopea di un eroe nazionale, già messa in scena più di vent’anni fa dalla tv cinese e recentemente celebrata in patria, per cui si tratta a tutti gli effetti di un poderoso remake costruttore di identità e di autostima popolare, molto apprezzato negli anni ’80, quando uscì la prima versione.
L’idea, un po’ come per lo ZATOICHI giapponese, è quella di mettere in atto un’exploitation di alto livello, dove le arti marziali - si veda chiaramente anche la recente trilogia di Zhang Yimou - incarnano la forza d’urto potenziale, quasi il deterrente cultural-bellico di una nazione in fase di grandiosa espansione economica che si presenta al mondo occidentale.
Da noi interrogato sul suo prossimo lavoro televisivo (BRUCE, ispirato al grande Lee, di cui la DNC ha ristampato in Dvd tutti i film arrivati all’epoca in Italia), Kwan ha approfondito la questione del neo-patriottismo cino-hong-konghese.


Kinematrix ha chiesto al regista come si spiega il ritorno d'interesse da parte di Pechino, che trent’anni fa l’ostaggiò apertamente, verso un eroe popolare, ma fortemente destabilizzante, dotato di alcune peculiarità ancora adesso inattingibili da parte degli studios cinesi.
Kwan ha risposto articolando il discorso su più piani: da una parte ha raccontato di un eroe più sfumato rispetto alla netta stilizzazione degli anni ’70, più vicino a una realtà anche privata, poco evidente nei testi e sottotesti di quel periodo (si veda THE BIG BOSS); dall’ altra ha ribadito, in proiezione Olimpiadi di Pechino del 2008, il ruolo simbolico, ma anche politico, delle arti marziali come specchio fedele di un popolo-monstre in grado di dominare, innanzitutto economicamente, il mondo.
“Bruce Lee rappresenta la capacità della Cina di dimostrarsi superiore attraverso l’uso delle arti marziali”.


(Assai graditi i complimenti dello stesso Kwan nei nostri confronti, per la domanda che gli era stata appena posta).
 

Roma, 06 luglio 2007

 

 

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