
Quello di Marzamemi è un Festival appena nato,
quest’anno ha visto la luce la sua quarta edizione, e non senza difficoltà.
La serata iniziale, contrariamente ad ogni aspettativa, è stata dedicata
alle ”chiacchere sotto il fico” (così definite da Lello Correale, direttore
artistico), ossia alla presentazione del Festival, senza alcuna proiezione.
In realtà dopo tutto questo parlare di cinema una visione calzava a
pennello. Una serata che lascia l’amaro in bocca. Perchè riunire la stampa
all’interno del seppur suggestivo cortiletto di Villadorata sotto un albero
di fico, solo per illustrare il programma del Festival, visto che per altro
è abbondantemente spiegato da un pieghevole di facile reperimento?
Questo inizio fatto di sole parole non si addice ad un Festival del cinema.
Inizio poco entusiasmante.
Gli organizzatori hanno deciso di posticipare al secondo giorno la
proiezione dei film e dei corti in concorso per dare spazio ai pareri degli
spettatori. ”Il nostro intento“, dice Correale, “è invitare gli spettatori
ad intervenire spingendoli ad oltrepassare la barriera del dietro le quinte.
E anche la simultanea proiezione dei film si muove lungo questa direttiva:
il dover scegliere è quello che chiediamo al nostro pubblico”.
Ecco l’altro tasto dolente. Scegliere cosa?
Il Festival impone degli orari di proiezione che sono per pochi eletti,
ossia solo per coloro che hanno già sviluppato antropologicamente la
capacità di essere ubiqui: infatti mi chiedo come sia possibile seguire i
lungo (Piazza Regina Margherita) e i cortometraggi in concorso (cortile
Arabo) se vengono proiettati negli stessi orari?
Domanda retorica, quesito senza soluzione. Si è costretti a scegliere, o,
cosa ancor più fastidiosa, interrompere la visione dell’uno per vedere una
trance dell’altro.
Però conoscendo l’impeto degli organizzatori, questa pecca è attribuibile a
delle forzature e dagli impedimenti esterni (vedi mancanza di fondi) che
hanno portato ad una restrizione dei giorni festivalieri da 6 a 5, con tutte
le conseguenze del caso, come la compressione forzata di tutti gli eventi in
programma. Tralasciando gli aspetti organizzativi per illustrare quelli più
strettamente tematici del Festival Internazionale Cinema di Frontiera, esso
è internazionale proprio perchè di frontiera:
Benvenuto Mr
President (Bosnia),
Oro Rosso (Iran),
Mille Mesi (Marocco),
Schulze ama suonare il blues
(Germania) formano la rosa dei film in concorso mettendo in stretto contatto
frontiere alquanto diverse per posizione geografica e non solo. Sono i
rappresentanti di territori ben delimitati che come in un gioco di scatole
cinesi contengono altre frontiere create da situazioni culturali, storiche,
esistenziali. E se le frontiere internazionali che il Festival si propone di
mettere a confronto hanno una convivenza pacifica, viceversa accade per le
frontiere da loro raccontate, spesso sono una messa in evidenza non di zone
preliminari di incontro, ma di muri che si possono vincere solo con la
deflagrazione. Come accade nel film
Oro Rosso scritto da Kiarostami e diretto da J. Panahi, dove dopo
vari tentativi di superare la linea di confine tra ricchezza e povertà si
arriva a far breccia solo con l’uccisione di un uomo, .facendo ricadere
l’uomo-povero in uno stato di disgrazia pari a quello da cui era partito.
Tant’è vero che la scena iniziale della rapina, e del connesso omicidio, è
al contempo quella che chiude il film. Una perfetta simmetria simbolica.
Di diversa natura, invece, la linea di confine che esplora il film
vincitore di questa quarta edizione,
Mille Mesi di Fauzi
Bensaidi. Lo scenario è quello di un villaggio in Marocco (il cast è
costituito dai veri abitanti del villaggio), la storia è quella di Mehdi, un
ragazzino di sette anni che ha l’incarico e il privilegio di essere il
custode della sedia del Maestro. L’oggetto diviene il correlativo oggettivo
delle sue emozioni, di ciò che lui è, e soprattutto di ciò che potrebbe
essere. Ma crea una linea di frattura tra la sua dimensione privata e quella
pubblica, tale da dare vita ad una schizofrenica alternanza che impedisce il
loro incrociarsi, cosicché il fragile equilibrio di Mehdi rischia ogni
giorno di andare in frantumi.
La sezione corti del Festival non prevede il nucleo tematico della
frontiera, ma si propone di essere un’indagine sui nuovi talenti, i quali
non sempre offrono l’apertura allo scenario dell’immaginario che verrà, non
sempre la new generetion esplora, forse, per questo motivo la
suddetta sezione è stata supportata dalla rassegna Ritratti d’autore
(curata da Rosalba Ruggeri): dei corti- intervista in cui giovani registi
affermati incontrano i grandi maestri del passato.
Nella
sua totalità il Festival è ancora in nuce, ma con la prospettiva di
realizzarsi in pieno, realizzazione che potrebbe subire un’accellerazione se
maggiormente supportata dagli enti locali.
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