festival DI CANNES

 

16/27:05:2007

CANNES

di Marco GROSOLI

 

QUINZAINE DES RéALISATEURS

o estado du mundo

di AAVV

Portogallo 2007, 105'

 

Dopo il discutibile (ma a tratti folgorante) Chacun son cinema (>>20/5) voluto da Gilles Jacob, la Quinzaine risponde in maniera anche più discutibile con O estado du mundo, raccolta di sei episodi sullo stato del mondo (?) voluta dalla benemerita (de Oliveira ne sa qualcosa, ma non solo lui) Fondazione Calouste Gulbenkian, leggendari mecenati portoghesi e amanti dell’arte. Perdoniamo i carneadi Vicente Ferraz e Ayisha Abraham per i loro innocui e inutili cortometraggi; inevitabile però puntare l’indice su due grandi come Chantal Akerman e Apichatpong Weerasethekul, che hanno preso a dir poco sottogamba l’occasione. La prima piazza una macchina a caso a Shanghai e la spegna dopo un quarto d’ora senza minimamente preoccuparsi di infilare una delle sue usuali geniali zampate che ribaltano l’inerzia del visibile. Il secondo pastrocchia un guazzabuglio di frammenti in digitale spacciandola per poesia – ma sappiamo che il suo immenso talento è un’altra cosa. Il grande giovane documentarista Wang Bing illustra un episodio della repressione Maoista con piglio mirabilmente didattico, quasi rosselliniano, facendolo reggere non da una vana rincorsa della verosimiglianza ma solo attraverso l’impeccabile genius loci del suo modo di filmare (la videocamera esplora approfonditamente l’ambientazione, così come è oggi, all’inizio e alla fine del segmento). Ovviamente, il migliore è Pedro Costa, che firma un appendice del suo meraviglioso Juventude em marcha, un’altra storia tra vita e morte, passato e presente, scolpendo una voce e una luce fordiana ai fantasmi di un campo di concentramento istituito nel ’36 dai portoghesi a Capo Verde. n.d.

 

 

UN certain regard

du levande

you, the living

di Roy Andersson

Svezia 2006, 100'

 


Anche Du Levande di Roy Andersson (tra i massimi capolavori del Festival) si muove tra vita e morte, ma non gli servono i fantasmi. Dal momento che occupiamo uno spazio siamo tutti fantasmi: questo ci dice il suo cinema statico e ultraspazializzante, di maniacale cura delle scenografie stritolate non meno dei corpi in folli e livide geometrie simil-espressioniste. Rispetto al suo precedente Songs from the second floor, immensa tragicommedia del contemporaneo, Andersson molla i freni e spinge a tutta il pedale sul comico senza indietreggiare di un millimetro sull’omologia fondamentale tra il comico e la disperazione. Un privilegio che è dei grandi, dei Chaplin, dei Keaton, dei Tati, di chi insomma sa che la risata è questione di slittamenti spaziali. In questo continuo susseguirsi di vignette in una Stoccolma quanto mai non-luogo, la catastrofe è sempre dietro l’angolo, anche se in questo film rispetto al precedente abbonda la musica, il movimento (comunque sempre minimo, e braccato dalla geometria, che se ne riappropria con gli interessi), le risate, gli sguardi in macchina. Tutti modi, questi, di uscire dallo spazio (la musica in modo particolarmente evidente), di elevarsi un po' prima che, inevitabile, il contrappeso dello spazio sopraggiunga a schiacciare tutto.30/30

 


IN CONCORSO

alexandra

di Alexander Sokurov

Russia/Francia 2006, 92'

 

 

Chi dallo spazio sa affrancarsi con musicale levità è Alexander Sokurov, che con il suo Alexandra più che il suo “Nonna e nipote” (in risposta a “Madre e figlio”) firma il suo “Alexandra c’est moi” flaubertiano (basta il nome di battesimo…). Alexandra va sul fronte ceceno a trovare il nipote ufficiale dell’esercito: la sua goffaggine (quanto tempo a salire e scendere dai carrarmati), la sua debole delicatezza in violento contrasto con l’ambiente ultravirile specchia la dissoluzione estetizzante dell’immaginario militare, cara al regista russo e già rodata in diversi lavori fiction e documentari. Sokurov è evidentemente affascinato dal mondo militare, dalle sue apparenze luccicanti, e come la nonna del film acuisce il contrasto tra l’estetica militare e il fatto militare stesso, fa esplodere la contraddizione al cuore di quel mondo ficcandosi nella dolorosa scissione con l’elemento femminile. Alexandra rinfaccia continuamente al nipote, che del resto ne è perfettamente consapevole, la sua estraneità rispetto all’”altra metà del cielo”. Con il suo morbido lavoro di montaggio e la calcolata distrazione e decentramento pittorico della sua macchina da presa, Sokurov lavora ai fianchi il visibile stesso, che è “ontologicamente” irreggimentato. Si sovviene incongruamente dei dettagli incurante di un’essenza inevitabilmente rigida, come Alexandra che prima di dormire ricorda questo o quel frammento marginalissimo della giornata appena trascorsa e non le cose presunte importanti. 28/30
 

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