festival DI CANNES
16/27:05:2007 CANNES |
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QUINZAINE DES RéALISATEURS smiley face di Gregg Araki USA 2006, 85'
in concorso we owe the night di James Gray USA 2006, 120'
Nel caso di James Gray invece il sospetto
è che sia stato ingiustamente sopravvalutato per anni. Il suo
We
own
the
night è un dramma assai
letterario (di intenzioni vagamente dostojevskiane) su due fratelli degli
anni '80 newyorchesi. Uno poliziotto come il padre, l’altro gestore di un
night. La lotta al crimine prima li divide, poi, soprattutto dopo la morte
del padre, li unirà per sempre: il secondo addirittura si arruola nella
polizia. Un film lasciato in mano soprattutto alla grande abilità degli
attori, che nel tentativo di ricostruire un mondo e raccontare i legami
profondi tra le sue particelle finge di essere “classico”, finge
l’asciuttezza e la capacità di lasciarsi scorrere insieme all’azione. Invece
c’è il trucco: negli snodi chiave Gray si attacca al concetto di famiglia
(specie nella sanguigna accezione importata dalla comunità russa
newyorchese) e gli fa infondere il calore necessario a far quadrare tutti i
cerchi. Ma in tutto questo si perde la sostanziale fantasmaticità del cinema
classico, in cui i cerchi quadravano non per furbizia narrativa ma per
l’inesorabile automatismo dei suoi ingranaggi. 24/30
UN CERTAIN REGARD california dreamin' (nesfarsit) california dreamin' (endlesssit) di Cristian Nemescu Romania 2007, 155'
Altra operazione furbetta è senza dubbio il
rumeno California
Dreamin' (nesfarsit),
il cui regista Nemescu è morto l’estate scorsa prima di ultimare il
montaggio. 1999: gli americani sono di passaggio in un piccolo villaggio
rumeno e per un contrattempo burocratico non possono ripartire per la loro
missione in Serbia. Per due ore e mezza non succede niente, e alla fine
(come insegna qualunque manuale di sceneggiatura riguardo a casi del genere)
c’è il prevedibile massacro catartico. Nel frattempo, ampio spazio ai
personaggi e al ritratto di ambiente, con una macchina da presa frenetica
che rincorre i pezzettini sparsi dell’azione per dare l’impressione
posticcia del “bello della diretta”. Il tutto ha un sapore piuttosto
nostalgico e incline alle strizzatine d’occhio, anche verso un’appartenenza
comune più o meno nazionale: ambo le cose lasciano piuttosto perplessi.
18/30
QUINZAINE DES RéALISATEURS Elle s’appelle Sabine di Sandrine Bonnaire Francia 2007, 85'
Ispira perplessità anche
Elle
s’appelle
Sabine, documentario
presentato alla Quinzaine in cui Sandrine Bonnaire ritrae
affettuosamente la sorella autistica Sabine, rovinata da cinque anni di
ospedale psichiatrico. Lavoro sicuramente lodevole e benintenzionato, ma che
fallisce perché troppo attaccato al suo obiettivo dichiarato, che è quello
di criminalizzare (giustamente, peraltro) la “reclusione” psichiatrica,
soprattutto con un ossessivo montaggio alternato di filmini casalinghi di
Sabine prima e dopo la “cura”. è
vero che non mancano momenti in cui la programmaticità del progetto vacilla
(come quando Sabine si rivolge direttamente alla sorella che la sta
filmando, infrangendo il dispositivo spettacolare come quando la regista
stessa qua e là balza davanti alla macchina da presa per parlare con la
sorella), ma fondamentalmente ci troviamo davanti all’illustrazione di un
dato che è gia chiaro dal primo minuto di film. 22/30 |