biografilm festival 2009
quinta edizione
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> Temple! di Carola Moscatelli |
Non si comprende per quale misteriosa alchimia il direttore artistico del “Biografilm Festival-International celebration of lives” Andrea Romeo sia riuscito a rendere davvero speciale l’edizione 2009 della rassegna da lui ideata cinque anni fa. Non per sminuire l’importanza dei film presentati, la loro qualità artistica, l’appeal delle numerose anteprime che Romeo è riuscito a portare sugli schermi della Cineteca bolognese (tra tutte, il Woodstock di Ang Lee targato Cannes ed il gioiello The fall del regista indiano Tarsem Singh, prodotto da David Fincher e Spike Jonze) che è innegabile. Così come il fascino del quarantennale dell’evento Woodstock, dalle glorie del premio oscar Michale Waldeigh che quel concerto consegnò alla storia e alla memoria di intere generazioni a venire (Woodstock: 3 Days of Peace and Music) al ritratto impietoso di una generazione che quel sogno l’ha bruciato nel My Generation di Barbara Kopple e Thomas Haneke. E pure i focus dedicati ad importanti personalità (Andrea Pazienza, i Fratelli Warner, Groucho Marx con tanto di party a tema, Galileo, Klaus Kinksi) erano tutti degnissimi di nota. Ma c’è stato qualcosa in più, quel quid indefinibile che rende un’esperienza come questa un polo di attrazione che va al di là del mero interesse per le pellicole presentate e diventa la volontà di immergersi in un’atmosfera liquida e indefinita, evocativa e suggestiva. Sarà che gli spazi intimi della Cineteca producono inevitabilmente il costituirsi di una sorta di piccola comunità di persone (o almeno è dolce crederci) accomunate da un filo - di interessi, passioni, convinzioni, visioni di vita e arte - sarà che Romeo è, innegabilmente, un abilissimo creatore di eventi e suscitatore d’attenzione ed entusiasmi, sarà che, come si dice, “si respirava una bella atmosfera”: i numeri dell’edizione 2009 (oltre 20 mila spettatori paganti, ed anche la questura dovrà concordare) danno ragione alla testardaggine di questo piccolo Festival che sta diventando grande anno dopo anno. E allora la citazione da George Bernard Shaw che compare nella nota introduttiva al catalogo (“L’uomo ragionevole adegua se stesso al mondo. L’uomo irragionevole persiste nel tentativo di adeguare il mondo a se stesso. Perciò ogni progresso dipende dall’uomo irragionevole”) assume il sapore di una sfida vinta. Il “Lancia Award” lo vince un film piccolo (per durata) ed immenso (per tempi di realizzazione e sguardo, che abbraccia e impietosamente registra le piccole e grandi scosse di un’esistenza familiare inquieta e straordinaria), In a dream di Jeremiah Zagar, giovanissimo figlio di un artista, ebreo di Philadelphia sul costante orlo della follia, che per quarant’anni ha coperto con migliaia di mosaici coloratissimi, dolorosi, osceni o tenerissimi, le strade e i palazzi della sua città, obbedendo alla furia cieca e determinata di una personalissima ossessione. Un documentario spiazzante e diverso, la cui innegabile riuscita artistica giustifica i sette anni di lavoro di Jeremiah (come se l’ossessione alla fine fosse un vizio, o marchio, di famiglia). Il pubblico ha premiato il ritratto del “re del recupero” Michael Reynolds (il documentario è Garbage Warrior, di Oliver Hodge) che costruisce case dai materiali di scarto dell’opulenta e grassa (in)civiltà del XXI secolo. Lo stralunato Elliot Tiber (autore del libro “Taking Woodstock” dal quale Ang Lee ha tratto il suo film) se n’è andato in giro con improbabili ciabatte viola sotto un impeccabile mise in velluto nero, Michael Waldeigh ha scattato migliaia di foto, e alla fine salutando il pubblico alla chiusura gli è scappato di dire che si, “this is Woodstock”. E ci abbiamo creduto tutti.
Sette le sezioni: oltre alle selezioni ufficiali in concorso e fuori concorso, le anteprime (Biografilm 2009), l’omaggio a Julien Temple (mututato dal recente “Bellaria Film Festival”), le celebrazioni del quarantennale di Woodstock (Back to Woodstock) e la reunion (con rassegna della mezzanotte) della redazione di “Voci off”, storica rivista bolognese, fondata dallo stesso Romeo, che ebbe vita lunga (dal ’95 al ’99) e fama di laboratorio di critica cinematografica fuori dagli schemi, intuendo le potenzialità di quelli che sarebbero poi diventati gli “autori” del nostro tempo, allora poco più che esordienti, da Tarantino a Jarmusch, da Kitano a Lars Von Trier. I consueti focus biografici, infine, dedicati quest’anno ai fratelli Warner, Andrea Pazienza, Klaus Kinski, Galileo e Groucho Marx. Qui le recensioni |
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