biografilm festival 2009

quinta edizione
Bologna, 10 - 15 Giugno 2009

 

> Questa edizione, di Luciana Apicella

> Temple! di Carola Moscatelli

Le Recensioni

 

> In a dream di Jeremiah Zagar

> In search of memory di Petra Seeger
> pERSONA NON GRATA di Fabio Wuytack

> Garbage warrior di Oliver Hodge
>
Deconstructing Dad di Stan Warnow

> Taking Woodstock di Ang Lee

> PVC-1 di Spiros Stathoulopoulos

> Chevolution di Trisha Ziff e Luis Lopez

 

 

In a dream
 di Jeremiah Zagar

Stati Uniti 2008, 78'

 

In concorso

VINCITORE DEL LANCIA AWARD

30/30

di Luciana Apicella

Il documentario che vince l'edizione del Biografilm 2009 ha, indiscutibilmente, una qualità e cura artistica superiore a tutti gli altri documentari presentati durante la cinque giorni bolognese. Sarà per i tempi epici di gestazione (sette anni ci sono voluti al piccolo di casa Zagar, Jeremiah, per girare e montare questi settanta minuti scarsi che condensano quattro esistenze) o per il sapore di esperienza “totale”, a metà tra irriverente e scomoda agiografia e un percorso psicoterapeutico di ricostruzione delle proprie radici e della propria storia familiare, fatto sta che, proprio come le opere del padre sono un mosaico colorato e febbricitante di cocci di vetro e mattoni, colate di colore puro e ossessioni erotiche, il documentario stesso è una sorta di poeticissimo, colorato, doloroso collage di un'esperienza umana unica, folle ed estrema, quella dell'artista Isaiah Zagar, padre del regista. Mosaicista, pittore, perennemente sull'orlo del baratro di una latente follia, di Isaiah è narrato il complesso rapporto con la moglie-musa, coi figli, con l'arte, attraverso un ritratto che a tratti dolcemente a tratti spietatamente disseziona la vita sua e della famiglia (di cui è centro destabilizzante, più che di gravità), insinuandosi nelle pieghe di un intrico di rapporti normalmente nascosto agli sguardi del mondo al di là delle pareti di casa, non fosse che lo stesso Isaiah da quarant'anni riversa sulle strade e muri di Philadelphia il suo universo folle e ossessivo in forma d'arte sfacciata e urlata, che senza pudore si mostra nuda al mondo e agli sguardi, come un folle costantemente esposto, nella casa di cura, all'occhio estraneo, senza più nudità e privato.

In search of memory
di Petra Seeger

Austria/Germania 2008, 95'

 

In concorso

menzione speciale della giuria

24/30

di Antonella MILICIA

Eric Kandel ha quasi 70 anni ed è un neuro scienziato ebreo viennese di nascita, vincitore nel 2000 del premio Nobel per la medicina. Fisicamente potrebbe un po’ ricordare Don Knotts, attore comico molto attivo negli anni ’60 e ’70, ma questa è un’altra storia.
Kandel è una persona dolcissima e di grande simpatia, che non ha perso il buonumore nonostante un’infanzia non facile, segnata dalle persecuzioni naziste, che l’hanno costretto, all’età di nove anni, ad emigrare negli Stati Uniti per cominciare una nuova vita in una realtà diversa da quella a cui era abituato. Questa nuova dimensione lo porterà a studiare Storia e Letteratura Austriaca ed a laurearsi in medicina, dedicandosi allo studio delle dinamiche sulla conservazione della memoria nei neuroni. Ma il discorso sulla memoria non interessa il Nostro solo dal punto di vista cerebrale; egli vuole affrontare anche un viaggio nei suoi ricordi, alla ricerca delle radici che ha dovuto lasciarsi alle spalle.
La regista, Petra Seeger, partendo dall’omonima autobiografia, ci presenta Kandel nella sua quotidianità, con i suoi familiari e nel suo laboratorio, tra cervelli in plastica e rappresentazioni di come i ricordi rimangono impressi nella nostra mente. Ma il film ci porta anche a seguire il viaggio di Kandel nel suo passato, tornando nei luoghi che l’hanno visto bambino.
Vincitore della Menzione Speciale della Giuria, il film è più che gradevole ed ha il merito di soffermarsi su una figura interessante e meritevole di grande stima.

pERSONA NON GRATA
 di Fabio Wuytack

Belgio 2008, 90'

 

In concorso

25/30

di Luciana Apicella

Esistono davvero persone così ostinate, o folli, da credere realmente in un altro mondo possibile, da credere che possa realizzarsi non sull'isola di Utopia ma nei vicolo soffocanti di povertà e polvere delle favelas di Caracas. Il prete comunista, scomunicato, esiliato, combattente combattuto Frans Wuytack scopre un mondo da educare, quello degli abitanti arresi a se stessi delle favelas, appunto. Crede nel potere di una spinta gentile ad una progressiva presa di coscienza dei propri diritti di essere umano, alla consapevolezza dello status esecrabile di sfruttati, da combattere con le armi del buon senso e del riconoscimento dell'umanità di ciascuno. C'è da fare per tutti, fogne, case e strade, c'è acqua e luce per tutti, nel momento in cui si ha la dignità di pretenderla come imprescindibile diritto. Esiliato dal suo paese come pericoloso eversore nonché sobillatore di movimenti di piazza popolari ed artista che osa portare il bello laddove c'è solo fango e miseria, solo con Chavez ha il permesso di tornare alla sua gente. Testimonianza di una vita straordinaria di sorridente testardaggine e necessaria incoscienza, che appare lontana come un sogno in un'epoca intorpidita e stanca, che a quell'utopia guarda con una punta di benevola indulgenza, come si guarda ai 45 giri e alle buone cose di un tempo che fu.

Purtroppo.

Garbage warrior
di Oliver Hodge

Stati Uniti 2007, 86'

 

In concorso

Audience Award Biografilm Festival 2009

22/30

di Antonella MILICIA

È estremamente attuale il discorso sulle case ecosostenibili, sulla necessità di rivalutare molti concetti di costruzione ed abitabilità degli alloggi. Oliver Hodge esordisce alla regia con un documentario che parla proprio di questo e che racconta in particolare la tenacia e la determinazione di un uomo, Michael Reynolds, architetto americano che da anni - aiutato da un gruppo di costruttori edili provenienti dal New Messico - lotta per inculcare la cultura della sostenibilità e del riciclo nella società americana e nel mondo. Le loro costruzioni sono totalmente fatte di materiali di recupero come lattine di birra, bottiglie di vetro e copertoni eppure termo isolate, antisismiche ed a basso consumo energetico. Reynolds è considerato un eroe del XXI secolo per l’impegno e la dedizione che infonde nella sua giustissima e necessaria battaglia.
Il film è stato girato per oltre tre anni negli Stati Uniti, in India e Messico, seguendo le tappe dell’avventura più recente dei nostri pionieri della sostenibilità. La macchina da presa di Hodge accompagna queste persone con occhio discreto e l’attenzione per la storia rimane sempre alta, con momenti di sincera partecipazione verso ciò stiamo guardando.
Vincitore di molti premi nel mondo, ne ha portato a casa uno anche questa volta, conquistando e convincendo il pubblico del festival, che gli ha assegnato l’Audience Award Biografilm Festival 2009.

Deconstructing Dad:

the music, machines and mystery of Raymond Scott
di Stan Warnow

Stati Uniti 2008, 99'

 

Fuori concorso

26/30

di Antonella MILICIA

La vita e le opere del grande Raymond Scott, in un affettuoso omaggio da parte del figlio, Stan Warnow, documentarista musicale e operatore del Woodstock diretto da Michael Wadleigh nel 1969. Scott, nome d’arte di Harry Warnow (1908–1994) fu un raffinato ed illuminato innovatore musicale, un precursore che ha ispirato generazioni di musicisti che si sono rifatti alle sue intuizioni, non solo relative al suono, ma anche alla tecnologia musicale. È infatti inventore dell’electronium e pioniere del sintetizzatore. Il film è anche un pretesto per indagare sul rapporto padre-figlio e sulle dinamiche affettive in presenza di una figura tanto “ingombrante” e importante, dedita maggiormente al lavoro che alle persone care. Scott era infatti molto più a suo agio con la musica che tra la gente.
Il documentario è un variegato assemblaggio di foto, film di famiglia, pellicole ed apparizioni televisive del Nostro, il tutto raccontato dalla voce di chi l’ha conosciuto, di chi l’ha amato, di chi l’ha preso come proprio modello ed anche dello stesso Scott, che era solito commentare le sue sedute in studio. L’effetto finale è affascinante e porta alla luce una figura fondamentale nel panorama musicale del ventesimo secolo, per anni dimenticata e solo recentemente riscoperta.

Taking Woodstock
di Ang Lee

Stati Uniti 2009, 110'

 

Back to Woodstock- Anteprima

24/30

di Luciana Apicella

è il solito Ang Lee un po' paraculo, se mi si passa un termine che non brilla certo per tecnicismo. Che sfoggia fotografie patinate e le mescola con un po' di fango made in Woodstock e sgrana altri passaggi, che fa tanto repertorio, disegnando Woodstock così come ci piace immaginarla, un'infilata di disastri ed errori di un manipolo di eroi freaks, alcuni nerds (come il protagonista nonché autore del libro da cui Lee trae la sceneggiatura, Elliot Tiber, fautore quanto Michael Lang del mito. In realtà quello che viene dipinto come una specie di Rickie Cunningham un po' più cappellone a New York aveva bazzicato con Truman Capote e Allen Ginsberg, tanto per dirne un paio), fate hippie dai capelli di luna e dosi massicce di Lsd, che generano per puro caso il più straordinario evento della storia della musica. Insomma, Ang Lee non si fa mancare nulla dell'infilata di stereotipi, alcuni divertenti altri più smaccatamente melensi e piacioni, che hanno costruito nel tempo la mitologia di quel concerto, indugiando solo en passant su una possibile deriva commerciale dell'intoccabile Woodstock. All'inizio pare la messa in scena di un classico film adolescenziale per la tv, che ci racconta di quanto erano simpatici e scavezzacollo quei nonnetti che oggi vediamo ostinarsi a portare i capelli lunghi, nonché bianchi, raccolti a coda di cavallo, e che portano impresso il marchio Woodstock-sessantotto-contestazione come fosse un marchio d.o.c..

Poi si impenna su alcuni bei passaggi ed immagini, strappa sorrisi, insomma si fa vedere con piacevolezza pure se restando avvertiti del carattere di favola bella e costruita per farci rimpiangere cosa (non)siamo stati. Insomma avvertenze per la visione: scivolateci dentro come si può scivolare in un rassicurante sogno psichedelico, di quelli da visione pop e fanciullesca, ma poi credeteci fino ad un certo punto. Anzi, poi magari guardate d'infilata My generation di Haneke-Kopple, così da smorzare brutalmente la melassa.

PVC-1
di Spiros Stathoulopoulos

Colombia 2006, 85'

 

Anteprima

29/30

di Luciana Apicella

Si è liberi di non crederci, o di restare quantomeno perplessi, ma questo film è un thriller costruito con un unico piano sequenza di 85 minuti. Niente altro. Non c'è un'incollatura, nemmeno a stare attenti. Girato (per quattro volte) con una troupe di attori teatrali e figuranti del luogo, è ispirato alla storia vera di un tentativo di estorsione ai danni di una famiglia in Colombia. Alla madre viene fatto indossare un collare-bomba, pronto ad esplodere se non verrà versato ai ricattatori il denaro richiesto. Interverrano gli artificieri a tentare di frenare l'assurda corsa verso la morte.

“Volevo rispettare il tempo reale, perchè in fondo ogni essere umano vive con la spada di Damocle della morte addosso, anche se meno avvertita quotidianamente di un collare-bomba” dice il regista. Che ha dovuto girare col cronometro, studiando per mesi i tempi esatti, allenandosi a portare la steadycam ovunque (tra la vegetazione folta della giungla, attraverso un fiume, su un carretto spinto a mano sulle rotaie, ovunque). Un film che riesce, dopo lo stordimento iniziale (quando realizzi che la macchina non si staccherà mai), a far salire incredibilmente la tensione, in assenza totale pure di una colonna sonora. Esperimento fine a se stesso, sfoggio di virtuosismo o riflessione sul tempo cinematografico, un film che forse non può produrre seguiti, che ha spaccato pubblico e critica a Cannes dove venne proiettato due anni fa, che stordisce ma incredibilmente riesce a vincere la scommessa di tenere incollati allo schermo nonostante l'essenza urtante e disturbante del tutto.

Chevolution
di Trisha Ziff e Luis Lopez

Messico 2008, 86'

 

Anteprima

26/30

di Luciana Apicella

In principio furono le bandiere, le foto, il maggio francese, le riproduzioni artigianali e i ritagli dai giornali, portati come vessilli in difesa della libertà e della lotta dei giusti contro gli oppressori. Poi arrivò la pittura, l'arte, la frenesia del merchandising, spille cappelli e t-shirt, il Che in ogni salsa, come la Gioconda, reinterpretato, osannato, santificato, glorificato in ogni luogo, simbolo potentissimo dell'immagine artistica nell'era della sua riproducibilità e serializzazione. Il volto del Che così come lo fissò Albert Korda, l'immagine più riprodotta della storia della fotografia, dalla vaga intuizione della sua potenza evocativa da parte del suo autore al genio di Giangiacomo Feltrinelli che ne intuì per primo la straordinaria iconicità, alle lotte della famiglia in rivendicazione di un copyright che la Cuba liberata non poteva contemplare. Un documentario interessante e vivace che ricostruisce le tappe di una delle immagini più famose della storia, capace di una duttilità straordinaria, simbolo universale di rivolta, dignità, forza e bellezza dell'ideale, capace di consolare le umane miserie attraverso il volto di una sorta di cristo tutto terreno, eroico, di ridare all'uomo la forza di credere, la speranza che ogni destino umano possa farsi tassello fondamentale nel mosaico dell'umanità e della storia.

SITO UFFICIALE

 

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quinta edizione
Bologna, 10 - 15 Giugno 2009