KINEMATRIX - 55° EDINBUNRGH INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2001
20 agosto 2001

TOD FUER FUENF STIMMEN
(Death for five voices / La morte a cinque voci)
di Werner Herzog (1995)

Herzog intervista in primo luogo il custode del diroccato castello di Carlo Gesualdo da Venosa per introdurci alla bellezza della sua musica. Le leggende sul suo conto si sprecano: un demone, un diavolo, un folle passionale; sposo` una donna che gia` aveva seppellito altri due mariti, morti per "excess of carnal bliss"; questa lo tradi` e lui la fece uccidere assieme all'amante e al figlio, iniettando poi una sostanza conservante nelle vene dei cadaveri, che sono tuttora in mostra in un museo vicino. E poi: masochista e dedito a pratiche di autoflagellazione, morto per infezione dovuta alle ferite, autore di un pranzo di nozze da 1500 invitati, distruttore del bosco intorno al castello come folle gesto di purificazione.
E, sopra tutto, i madrigali mozzafiato, raccolti in sei libri, incredibilmente moderni e arditi per il sedicesimo secolo. Cantati ed esaminati durante il film da due consort famosi nel mondo. Avendo avuto in vita mia la fortuna di cantare proprio uno dei madrigali del film, posso confermare: sono difficilissimi, non hanno nulla a che vedere con la musica di allora. Infatti la loro rivalutazione e` recente ed e` in gran parte dovuta a Stravinskij.
La poetica di Herzog, dedita alla scoperta della verita` ultima (o ulteriore) rispetto ai fatti, funziona bene come al solito: c'e` un esorcista zampognaro che purifica le crepe del castello, una comparsata di Milva nei panni del fantasma della moglie di Gesualdo. Ammiccante come sempre allo spettatore: il cinema e` finzione, e il documentario assoluto non esiste. Girato in telecamera per la ZDF, sebbene non bello come altri che ho visto qualche giorno fa, DEATH FOR FIVE VOICES e` un ulteriore eccellente esempio di drammatizzazione dei fatti. E` un assemblaggio di idee semplici e belle, e, aggiungerei, un esempio per chiunque voglia cimentarsi col genere-documentario.

Claudio Castellini


GLOCKEN AUS DER TIEFE
(Bells from the deep / Campane dal profondo)
di Werner Herzog (1993)

Forse il meno convincente della rassegna finora. Si tratta di una serie di interviste e filmati girati in Russia a proposito di fede e superstizione. Vi sono dunque un predicatore televisivo, un tipo che si crede Gesu` reincarnato, un lago ghiacciato sotto cui giace una citta` sommersa, la salma di San Sergio presso cui i fedeli fanno la fila per baciarne l'urna.
Solo in seguito scopriamo che i fanatici del lago ghiacciato sono ubriaconi pagati da Herzog per recitare. Mi sta bene, ma il documentario mi e` parso decisamente un po' troppo lungo per essere scorrevole come gli altri. Notevolissima la sequenza con i cantanti Tula (che emettono due suoni contemporaneamente e a frequenze impossibili) e il finale, uno zoom out su un lago ghiacciato, questa volta meta di pescatori a traforo e pattinatori sul ghiaccio... forse campioni russi che si allenano.

Claudio Castellini


TELETS
(Taurus)
di Aleksandr Sokurov (2001)

Dedicato a Lenin, il film e` il secondo capitolo della trilogia sokuroviana dedicata ai grandi dittatori del secolo (il primo, MOLOCH, era su Hitler, il terzo, in produzione adesso, e` su Hirohito). In un'ora e mezza ricostruiamo una possibile fra le ultime giornate di vita di Lenin, confinato nella dacia di Gorky, non lontano da Mosca, compresa una visita di Stalin. Coerentemente con l'intenzione del regista, la figura del dittatore ne esce umanizzata e perfino contrita per quel che e` successo: un uomo consapevole della propria impotenza e ancora esideroso di tornare in cabina di comando. Naturalmente non ci riuscira`: restera` ai nostri occhi ormai soltanto un povero vecchio accudito da donne e servitori, sorvegliato da medici e militari, quasi immobilizzato da un'emiparesi.
Ritmo a parte dunque (davvero lentissimo, piu` lento di NI NEI PIEN CHI TIEN e decisamente meno digeribile), la fotografia di questo film e` tutta a luci basse e contrasto minimo, qua e la` a discapito del fuoco, e virata su una tonalita` verde / azzurra. Il perche' va ricercato nella cifra stilistica di Sokurov: il colore e il contrasto sembrano essere gli elementi meno rilevanti del suo cinema, o forse i PIU` rilevanti in quanto assenti, dipende da che parte guardiamo la questione. Piu` attenzione al particolare e meno "distrazione" dall'immagine.
Il produttore Viktor Sergeyev era presente in sala, e alla mia domanda sul perche' di questa scelta si lascia andare a un "Sokurov non ama che i suoi film somiglino a western, in cui i colori sono completamente falsi". Cita anche Tarkowskij e Bergman a proposito di questa idea.
Quanto al respiro di TAURUS, posso soltanto dire che questo film ci aiuta a capire un tantino di piu` l'anima russa, attraverso gli avvenimenti di un uomo (per quanto coinvolto nella Storia stessa). E questo e` un grande pregio condiviso con tanto altro cinema russo, Tarkowskij in testa.

Claudio Castellini

a cura di
Julian Richardson e Claudio Castellini
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