intervista a
LILI TAYLOR
protagonista di JULIE JOHNSON di Bob Gosse
(e, in passato, di ARIZONA DREAM, ADDICTION, ecc.)
Siamo tra i pochi a poter parlare con Lili Taylor, dopo il grande successo
di JULIE JOHNSON, presentato
il 15 e il 16 alla Berlinale. Il film, da outsider come veniva considerato
all'inizio, si è conquistato uno spazio inaspettato. L'attenzione mediatica
è stata rivolta alla partecipazione di Courtney Love, mentre quella della
critica è andata tutta all'attrice newyorkese. Un volto, un'intelligenza
che non hanno troppo bisogno di essere "diretti": la Taylor inizia come
attrice di teatro e fonda un paio di compagnie off-off-Broadway, entrando
in una palestra creativa che è l'unica, in America, a distinguere attori
da mestieranti, Hoffman/De Niro/Pacino da Baldwin/Cage/Cruise.
L'intervista è organizzata insieme a due giornalisti della Tv tedesca,
nella sala impropriamente definita V.I.P., nel Palast di Marlene Dietrich
Straße.
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Lili Taylor indossa un golfino rosa stinto e ha i capelli raccolti ed
è l'amica del liceo, qualche anno dopo. Ogni domanda, da qualunque spunto
parta, va poi a finire nel territorio infinito del malcontento verso la
produzione media hollywoodiana. Taylor si dice felice di aver lavorato
con Kusturica e Ferrara, Altman e Herron, fino al Bob Gosse di quest'ultimo
lavoro ultra-indipendente. Racconta dello scambio creativo con questi
registi, dei quali Ferrara è forse più vicino alla sua sensibilità, mentre
l´autore di ARIZONA DREAM, "fantasmagorico" e pieno di fuoco, costruisce
un mondo a parte, nel quale è più difficile entrare per realizzare qualcosa
di proprio. L'attrice ricorda gli anni eroici del periodo "di formazione"
teatrale, rammaricandosi della chiusura di alcune tra le migliori istituzioni
newyorkesi e di come, invece, a Los Angeles ogni tentativo di creare una
qualche "scena", che laggiù è automaticamente under-underground (!!!),
sia destinato a fallire senza speranza. Concorda nel ritenere gli attori
newyorkesi immediatamente identificabili rispetto ai colleghi californiani
e non ha bisogno di spiegare il perché di tale evidenza...
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Racconta di un breve periodo trascorso a Barcellona e di quanto apprezzi
la maggiore apertura / conoscenza / intelligenza verso il prodotto "indipendente"
nell'Europa del cinema, ma pensa che il problema di molto cinema "off"
sia quello legato alla pubblicizzazione del prodotto. Un annuncio sul
"N.Y. Times" costa attorno ai cento milioni, e questo impedisce alla maggior
parte dei lavori una qualche forma di decente visibilità. ARIZONA DREAM,
anche a N.Y., è rimasto poco più di una settimana e non è stato più ridato,
nonostante la presenza di Jerry Lewis, Johnny Depp e Faye Dunaway!!!
Lili ci ringrazia "per l´intelligenza (bontà sua) delle domande" rivoltele
e per il "great support" dato al suo lavoro.
Sarebbe già moltissimo che chi legge queste righe andasse a rivedersi
ciascuno dei film in cui ha lavorato.
Gabriele FRANCIONI
berlinale
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