È nella sospensione del
ricordo la migliore delle stagioni della vita: è la memoria, sfocata nelle
azioni, ma viva nelle emozioni, di un amore lontano e perduto.
Luchshee vremya goda
(letteralmente “La stagione migliore”) racconta la storia - quasi
inverosimile, come sono spesso i ricordi - di un triangolo tragico in una
cittadina della Russia meridionale, tra giovani corpi stesi al sole sugli
scogli e pozzi petroliferi immersi nell’acqua cristallina.
L’appassionata relazione tra Valentina e Valentin si ferma quando, a causa
di un violento alterco con un conoscente, il giovane finisce in prigione.
Anni dopo, Valentin rincontra Katya, vicina di casa di lui innamorata, e la
sposa. Il ritorno in città di Valentina sconvolge gli equilibri, e Valentin,
indissolubilmente legato a lei ma incapace di lasciare la moglie, si uccide.
Ormai sessantenni, le due donne vivono insieme. Oltre all’odio profondo, le
unisce il passato, e la malinconia di un dolore insostenibile che si perde
nel tempo, e che nel tempo perde i suoi contorni.
Virato su una meravigliosa palette di colori pastello, che sottolinea con
delicatezza il filo (tagliente) del desiderio intenso e (quasi) mai
dichiarato, il settimo film di Svetlana Proskurina - che segue il gelido
melò Udalionnyj dostup/Accesso a
distanza, presentato a Venezia 2004 - trascura i compiti del realismo
per abbracciare le suggestioni dell’elegia. Incurante della scarsa
somiglianza fra le protagoniste delle varie età (venti, quaranta e
sessant’anni), la Proskurina afferma il diritto a confondere i volti, a
manipolare i dialoghi e disperderli nell’ossessione dei ricordi.
26/30 |