Primo fine settimana e giro di boa per il Festival di Locarno edizione
numero 59. Metà della rassegna è dunque passata delineando una geografia
cinematografica precisa. Poche le presenze per il continente americano - e
quasi esclusivamente statunitensi - mentre praticamente assente è la
produzione africana; diverse le opere provenienti dai paesi mediorientali e
cospicuo il numero dei film dall’estremo oriente e dal sud-est asiatico
(regione a cui è dedicata, quest’anno, la sezione Open Doors di cui
torneremo a parlare più avanti).
Buona parte del programma è, dunque, di matrice europea ma anche qui è
necessario operare delle distinzioni: la regione balcanica come l’area
ex-sovietica è scarsamente rappresentata mentre i paesi scandinavi figurano
sostanzialmente per via della retrospettiva dedicata quest’anno al popolare
cineasta finlandese Aki Kaurismäki.
Foltissima invece la delegazione europea centro-occidentale.
Primo film italiano in gara per il Concorso Internazionale è
Jimmy della Collina di
Enrico Pau, regista cagliaritano già autore di allestimenti teatrali,
programmi radiofonici, cortometraggi, documentari. La storia è quella di
Jimmy, diciassettenne sardo la cui unica alternativa al lavoro da operaio è
la delinquenza. Dopo l’esperienza del carcere minorile il ragazzo, accolto
in una comunità di recupero, continuerà a lottare con sè stesso combattuto
tra il desiderio di fuga dalla banalità della vita quotidiana e il bisogno
di un’esistenza più comune. Parole, luoghi e caratteri sono mutuati dalla
realtà della provincia sarda in una formulazione aggiornata dell’approccio
neorealistico. Il lavoro degli attori ben rende l’intenzione del regista di
rappresentare i personaggi quali esseri inermi, piccoli, impotenti, soggetti
ad un destino (le cui fattezze sono quelle, mostruose, di una raffineria
petrolifera) che rende persino la speranza un lusso per le tasche di pochi.
Altro paese, altra regione. Dall’arida terra sarda alle verdi valli
dell’Emmental, suggestivo scenario del divertente
Die Herbstzeitlosen di
Bettina Oberli presentato in Piazza Grande. Un’anziana vedova
decide di aprire un negozio di biancheria intima sconvolgendo la piccola,
ultra-conservatrice e fin troppo tranquilla borgata di Trub. Il film,
secondo lungometraggio della regista elvetica, ruota interamente attorno
all’estro, al talento e alla grande esperienza di Stephanie Glaser, che dopo
aver recitato per il teatro, il cabaret e il cinema per settanta anni
continua a dimostrare uno spirito istrionico intensissimo.
Sempre in Piazza Grande è stata la proiezione di
Indigènes, coproduzione
francese, marocchina, algerina e belga. Prendendo spunto dalle testimonianze
originali, il regista di origine algerina Rachid Bouchareb
rievoca la misconosciuta storia dei soldati africani delle colonie francesi
arruolati dall’esercito transalpino durante il secondo conflitto mondiale.
Una messa in scena classica in cui momenti ironici e drammatici si alternano
in una partitura scenica ben equilibrata. I cinque attori protagonisti
(Jamel Debbouze, Samy Naceri, Roshy Zem, Sam Bouajila, Bernard Blancan) si
dividono la scena in un’azione corale premiata all’ultimo festival di Cannes
con il premio collettivo per la migliore interpretazione maschile.
Di storia più recente si parla in
Das leben
der anderen opera prima del
regista tedesco Florian Henckel von Donnersmark.
Nella Berlino Est della metà degli anni ’80 un funzionario della Stasi (la
polizia di stato della DDR) spia un importante drammaturgo sospettato di
cospirazione. A stretto contatto con il proprio sorvegliato, l’agente muterà
lentamente la propria visione di coloro che, fino ad allora, egli
considerava solo nemici del socialismo finendo per mettere in crisi la
propria fiducia nei metodi del governo che rappresenta. Buona prova degli
attori come del regista per un film il cui principale merito è quello di
portare di fronte al grande pubblico un periodo storico ancora poco
esplorato.
Ultima tappa di questo tour locarnese nel vecchio continente è Tottenham,
periferico quartiere di una Londra contemporanea e irreale avvolta in
un’atmosfera dickensiana. The lives
of the saints (Concorso Internazionale) è una favola
nera in cui il muto protagonista - un bambino prodigio, un angelo caduto dal
cielo – scatenerà una faida tra boss fino alla più tragica delle
conclusioni. Cura visiva e mestiere permettono a Rankin – fotografo
attivo soprattutto nell’ambito della moda e della pubblicità - e Chris
Cottam – regista televisivo per Channel Four e la BBC - di
confezionare un prodotto sicuramente valido e interessante anche per la
scelta di puntare sul coté fantastico (così difficile da ritrovare tra i
film di questa kermesse).
Italia, Svizzera, Francia, Germania, Gran Bretagna: la vecchia Europa
sceglie di puntare sulla propria tradizione offrendo una convincente
immagine dello stato attuale della propria cinematografia. È vero, non c’è
traccia di nuovo, di fertili ricerche linguistiche, di sperimentazioni
intelligenti, ma di fronte al rischio di improbabili scopiazzature di
modelli estranei – rischio, purtroppo, non remoto (vedi il caso di
Mare nero di Roberta
Torre, secondo film italiano in concorso) – dovremo plaudire tale
scelta.
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Locarno, 05:08:2006 |