59.mo festival di locarno

02/12:08:2006

locarno

 

di Marco FERRARA

 

Primo fine settimana e giro di boa per il Festival di Locarno edizione numero 59. Metà della rassegna è dunque passata delineando una geografia cinematografica precisa. Poche le presenze per il continente americano - e quasi esclusivamente statunitensi - mentre praticamente assente è la produzione africana; diverse le opere provenienti dai paesi mediorientali e cospicuo il numero dei film dall’estremo oriente e dal sud-est asiatico (regione a cui è dedicata, quest’anno, la sezione Open Doors di cui torneremo a parlare più avanti).
Buona parte del programma è, dunque, di matrice europea ma anche qui è necessario operare delle distinzioni: la regione balcanica come l’area ex-sovietica è scarsamente rappresentata mentre i paesi scandinavi figurano sostanzialmente per via della retrospettiva dedicata quest’anno al popolare cineasta finlandese Aki Kaurismäki.
Foltissima invece la delegazione europea centro-occidentale.

Primo film italiano in gara per il Concorso Internazionale è Jimmy della Collina di Enrico Pau, regista cagliaritano già autore di allestimenti teatrali, programmi radiofonici, cortometraggi, documentari. La storia è quella di Jimmy, diciassettenne sardo la cui unica alternativa al lavoro da operaio è la delinquenza. Dopo l’esperienza del carcere minorile il ragazzo, accolto in una comunità di recupero, continuerà a lottare con sè stesso combattuto tra il desiderio di fuga dalla banalità della vita quotidiana e il bisogno di un’esistenza più comune. Parole, luoghi e caratteri sono mutuati dalla realtà della provincia sarda in una formulazione aggiornata dell’approccio neorealistico. Il lavoro degli attori ben rende l’intenzione del regista di rappresentare i personaggi quali esseri inermi, piccoli, impotenti, soggetti ad un destino (le cui fattezze sono quelle, mostruose, di una raffineria petrolifera) che rende persino la speranza un lusso per le tasche di pochi.

Altro paese, altra regione. Dall’arida terra sarda alle verdi valli dell’Emmental, suggestivo scenario del divertente Die Herbstzeitlosen di Bettina Oberli presentato in Piazza Grande. Un’anziana vedova decide di aprire un negozio di biancheria intima sconvolgendo la piccola, ultra-conservatrice e fin troppo tranquilla borgata di Trub. Il film, secondo lungometraggio della regista elvetica, ruota interamente attorno all’estro, al talento e alla grande esperienza di Stephanie Glaser, che dopo aver recitato per il teatro, il cabaret e il cinema per settanta anni continua a dimostrare uno spirito istrionico intensissimo.

Sempre in Piazza Grande è stata la proiezione di Indigènes, coproduzione francese, marocchina, algerina e belga. Prendendo spunto dalle testimonianze originali, il regista di origine algerina Rachid Bouchareb rievoca la misconosciuta storia dei soldati africani delle colonie francesi arruolati dall’esercito transalpino durante il secondo conflitto mondiale. Una messa in scena classica in cui momenti ironici e drammatici si alternano in una partitura scenica ben equilibrata. I cinque attori protagonisti (Jamel Debbouze, Samy Naceri, Roshy Zem, Sam Bouajila, Bernard Blancan) si dividono la scena in un’azione corale premiata all’ultimo festival di Cannes con il premio collettivo per la migliore interpretazione maschile.

Di storia più recente si parla in Das leben der anderen opera prima del regista tedesco Florian Henckel von Donnersmark. Nella Berlino Est della metà degli anni ’80 un funzionario della Stasi (la polizia di stato della DDR) spia un importante drammaturgo sospettato di cospirazione. A stretto contatto con il proprio sorvegliato, l’agente muterà lentamente la propria visione di coloro che, fino ad allora, egli considerava solo nemici del socialismo finendo per mettere in crisi la propria fiducia nei metodi del governo che rappresenta. Buona prova degli attori come del regista per un film il cui principale merito è quello di portare di fronte al grande pubblico un periodo storico ancora poco esplorato.

Ultima tappa di questo tour locarnese nel vecchio continente è Tottenham, periferico quartiere di una Londra contemporanea e irreale avvolta in un’atmosfera dickensiana. The lives of the saints (Concorso Internazionale) è una favola nera in cui il muto protagonista - un bambino prodigio, un angelo caduto dal cielo – scatenerà una faida tra boss fino alla più tragica delle conclusioni. Cura visiva e mestiere permettono a Rankin – fotografo attivo soprattutto nell’ambito della moda e della pubblicità - e Chris Cottam – regista televisivo per Channel Four e la BBC - di confezionare un prodotto sicuramente valido e interessante anche per la scelta di puntare sul coté fantastico (così difficile da ritrovare tra i film di questa kermesse).

Italia, Svizzera, Francia, Germania, Gran Bretagna: la vecchia Europa sceglie di puntare sulla propria tradizione offrendo una convincente immagine dello stato attuale della propria cinematografia. È vero, non c’è traccia di nuovo, di fertili ricerche linguistiche, di sperimentazioni intelligenti, ma di fronte al rischio di improbabili scopiazzature di modelli estranei – rischio, purtroppo, non remoto (vedi il caso di Mare nero di Roberta Torre, secondo film italiano in concorso) – dovremo plaudire tale scelta.

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Locarno, 05:08:2006