Apre la 59.ma Edizione del Festival di Locarno. La prima di Frèdèric
Maire, che succede alla direzione artistica di Irene Bignardi.
Inaugurazione, come d’uopo, in Piazza Grande con il cinema classico di
Michael Mann nella rilettura per il grande schermo del cult televisivo
“Miami Vice”.
L’apertura del Concorso Internazionale è invece affidata a
Nae-chungchun-aegae-goham (Don’t
look back), opera prima di Kim Young-Nam, regista di scuola,
nazionalità e sensibilità coreana.
Novità di quest’anno, infine, il nuovo concorso che affianca quello
ufficiale rendendo competitiva la sezione “Cineasti del Presente” da
sempre dedicata alle tendenze nascenti: a varare la nuova competizione è
stato Fragment sur la grâce
di Vincent Dieutre, fulgida espressione del cinema d’autore europeo
fieramente intellettuale.
Film di alta qualità per una partenza di festival volta a soddisfare un
palato cinefilo variegato, forse un po’ viziato, e che, sicuramente, non ama
essere spiazzato. In attesa, perciò, che il profilo del festival si delinei
pienamente sarà senz’altro utile cominciare ad interrogarsi su queste prime
proiezioni.
Don’t look back è una
produzione nippo-coreana che conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, la
raggiunta maturità di una cinematografia, quella sud-coreana appunto,
qualitativamente eccellente. La capacità di raccontare la contemporaneità di
un popolo, della parte meno fortunata di esso – protagonisti qui sono tre
giovani che trascinano le proprie esistenze nel disperato desiderio di amare
– avviene attraverso un linguaggio fatto di tocchi lievi, di un montaggio
sobrio, di movimenti di macchina quasi assenti.
La riconoscibilità di una cinematografia è un inequivocabile segnale di
forza espressiva, di pienezza e compiutezza stilistica. Ma l’assenza di
elementi di rottura, la messa in opera, per quanto ineccepibile, di regole
già abbondantemente collaudate, lascia emergere il sospetto che si tratti
per lo più di “maniera”.
Vincent Dieutre insegna presso il dipartimento di Cinema
dell’Università Paris VII. L’approccio didattico, quasi cattedratico,
dell’autore è in effetti evidente. Con
Fragment sur la grâce egli
ripercorre con un’ottica storico-teologica la parabola – nascita, sviluppo e
declino – del giansenismo nella Francia del XVII secolo. Si tratta di un
documentario d’autore in cui i livelli narrativi si moltiplicano
intrecciandosi in una maglia percettiva molteplice: se il piano verbale
varia dalla descrizione storico-scientifica alla suggestione intimamente
personale, alle letture dei testi originali in francese antico, quello
visivo mescola immagini di abbazie, chiostri e monasteri a visioni urbane
contemporanee (Parigi, la stazione RER di Port Royal, la Roma vaticana)
alternando video, pellicola e passo ridotto.
Una composizione, dunque, perfettamente in linea con il destrutturalismo
formale e concettuale che anima l’espressione artistica più contemporanea.
Il grado di interesse è indubbiamente elevato. Meno quello della
piacevolezza della visione.
Versione cinematografica del serial TV prodotto nel 1984 dallo stesso Mann,
Miami Vice conferma le
sapienti capacità emozionali del regista di
The heat e
L’ultimo dei Mohicani.
Personaggi e situazioni rimangono inalterate, mentre le tecnologie si
aggiornano e i toni si intensificano con scene e un linguaggio più spinti
per adeguarsi ad una platea non più televisiva. Il plot del genere
poliziesco è rispettato in pieno: Crockett e Tubbs si infiltrano in un giro
di contrabbando per neutralizzarlo. Il lieto fine è garantito ma solo dopo
aver patito fortemente per la vita dei due eroi e dei loro cari.
Un’opera popolare ma d’autore per un’inaugurazione che ha appagato sia il
pubblico meno pretenzioso che i numerosi cinefili in vena di rivalutazioni
dei generi. Se non si può che essere d’accordo con un giudizio positivo sui
film presentati si può almeno porre una riflessione sul modo in cui anche il
Festival di Locarno – che dovrebbe godere di maggiore libertà e coraggio
rispetto a festival come quello di Cannes o di Venezia – accetti e celebri
lo stato del cinema internazionale attuale, la sua “condizione post-moderna”
di cinema che si nutre di altro cinema (o addirittura di televisione),
cinema di maniera, cinema che trova le proprie giustificazioni
esclusivamente all’interno di sé stesso.
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Locarno, 02:08:2006 |