59.mo festival di locarno

02/12:08:2006

locarno

 

di Marco FERRARA

 

Apre la 59.ma Edizione del Festival di Locarno. La prima di Frèdèric Maire, che succede alla direzione artistica di Irene Bignardi.
Inaugurazione, come d’uopo, in Piazza Grande con il cinema classico di Michael Mann nella rilettura per il grande schermo del cult televisivo “Miami Vice”.
L’apertura del Concorso Internazionale è invece affidata a Nae-chungchun-aegae-goham (Don’t look back), opera prima di Kim Young-Nam, regista di scuola, nazionalità e sensibilità coreana.
Novità di quest’anno, infine, il nuovo concorso che affianca quello ufficiale rendendo competitiva la sezione “Cineasti del Presente” da sempre dedicata alle tendenze nascenti: a varare la nuova competizione è stato Fragment sur la grâce di Vincent Dieutre, fulgida espressione del cinema d’autore europeo fieramente intellettuale.
Film di alta qualità per una partenza di festival volta a soddisfare un palato cinefilo variegato, forse un po’ viziato, e che, sicuramente, non ama essere spiazzato. In attesa, perciò, che il profilo del festival si delinei pienamente sarà senz’altro utile cominciare ad interrogarsi su queste prime proiezioni.

Don’t look back è una produzione nippo-coreana che conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, la raggiunta maturità di una cinematografia, quella sud-coreana appunto, qualitativamente eccellente. La capacità di raccontare la contemporaneità di un popolo, della parte meno fortunata di esso – protagonisti qui sono tre giovani che trascinano le proprie esistenze nel disperato desiderio di amare – avviene attraverso un linguaggio fatto di tocchi lievi, di un montaggio sobrio, di movimenti di macchina quasi assenti.
La riconoscibilità di una cinematografia è un inequivocabile segnale di forza espressiva, di pienezza e compiutezza stilistica. Ma l’assenza di elementi di rottura, la messa in opera, per quanto ineccepibile, di regole già abbondantemente collaudate, lascia emergere il sospetto che si tratti per lo più di “maniera”.

Vincent Dieutre insegna presso il dipartimento di Cinema dell’Università Paris VII. L’approccio didattico, quasi cattedratico, dell’autore è in effetti evidente. Con Fragment sur la grâce egli ripercorre con un’ottica storico-teologica la parabola – nascita, sviluppo e declino – del giansenismo nella Francia del XVII secolo. Si tratta di un documentario d’autore in cui i livelli narrativi si moltiplicano intrecciandosi in una maglia percettiva molteplice: se il piano verbale varia dalla descrizione storico-scientifica alla suggestione intimamente personale, alle letture dei testi originali in francese antico, quello visivo mescola immagini di abbazie, chiostri e monasteri a visioni urbane contemporanee (Parigi, la stazione RER di Port Royal, la Roma vaticana) alternando video, pellicola e passo ridotto.
Una composizione, dunque, perfettamente in linea con il destrutturalismo formale e concettuale che anima l’espressione artistica più contemporanea. Il grado di interesse è indubbiamente elevato. Meno quello della piacevolezza della visione.

Versione cinematografica del serial TV prodotto nel 1984 dallo stesso Mann, Miami Vice conferma le sapienti capacità emozionali del regista di The heat e L’ultimo dei Mohicani. Personaggi e situazioni rimangono inalterate, mentre le tecnologie si aggiornano e i toni si intensificano con scene e un linguaggio più spinti per adeguarsi ad una platea non più televisiva. Il plot del genere poliziesco è rispettato in pieno: Crockett e Tubbs si infiltrano in un giro di contrabbando per neutralizzarlo. Il lieto fine è garantito ma solo dopo aver patito fortemente per la vita dei due eroi e dei loro cari.
Un’opera popolare ma d’autore per un’inaugurazione che ha appagato sia il pubblico meno pretenzioso che i numerosi cinefili in vena di rivalutazioni dei generi. Se non si può che essere d’accordo con un giudizio positivo sui film presentati si può almeno porre una riflessione sul modo in cui anche il Festival di Locarno – che dovrebbe godere di maggiore libertà e coraggio rispetto a festival come quello di Cannes o di Venezia – accetti e celebri lo stato del cinema internazionale attuale, la sua “condizione post-moderna” di cinema che si nutre di altro cinema (o addirittura di televisione), cinema di maniera, cinema che trova le proprie giustificazioni esclusivamente all’interno di sé stesso.
 

<<

 

Locarno, 02:08:2006