ALLA
RIVOLUZIONE SULLA DUE CAVALLI
Recensione di Sandra Salvato
Non
vendete la 2cv. E' datata ma resiste agli urti degli sterrati
e alle rivoluzioni popolari. Sciarra firma un road movie dal sapore
nostalgico ma troppo scontato. La coppia di eterni studenti, l'amore
di gruppo degli anni 70, le musiche d'importazione americana,
le zingarate in giro per il mondo e il crescere che è umano
ma non si fa. Come l'aurora che sorge nei borghi parigini e accontenta
gli amanti improvvisati di una notte, il film è una boccata
d'aria fresca che finisce con i titoli di coda senza lasciare
traccia tranne forse imprimere il ricordo dei bellissimi protagonisti
lanciati al recupero di un periodo che per anagrafe non gli appartiene.
Victor è l'anima poetica e ribelle, il portoghese trapiantato
in Francia in ossequio ai fervori giovanili. Marco - Adriano Giannini
il
cognome la dice lunga - è la spalla e l'eterno personale
conflitto. Il 25 Aprile del 74 si parte e si va a fare la rivoluzione
, a Lisbona, dove si scrive la pagina più importante della
storia portoghese e si mette la parola fine alla dittatura. "Pace
amore e libertà", oppure "Mettete i fiori dentro
i cannoni". Tutto promette bene fin dall'inizio quando accendiamo
i fanali e contemporaneamente parte Layla di Eric Clapton, per
la prima volta concessa al cinema
.. d'autore?
A Bordeaux la prima sosta importante. L'entrata in scena dell'elemento
DONNA, ma non una qualsiasi, piuttosto l'anima gemella che si
è rifatta una vita altrove e con uomo che non sei tu. E'
la donna dei sogni, che non si dimentica. Ci crediamo, ma vorremmo
ricordarci anche della recitazione, se non è troppo disturbo.
Camera car a go-go in questo lungo trip per adulti rimasti all'età
del voto e che se potessero alzare una mano per farlo prima saluterebbero
con le bandiere rosse, l'inno internazionale e poi salirebbero
come il poeta Cuneiro sul treno di ritorno in patria. Ci piace,
ci piace davvero ma l'ideologia non è serva di un easy
make it. Forse è più facile fare la rivoluzione
che raccontarla. Una stretta di mano a Sciarra che se non altro
ci ha fatto cantare solleticando la memoria. Per non scordare.
Voto: 25/30
NON
E' GIUSTO!
Recensione
di Sandra Salvato
No,
non è affatto giusto. Che il padre si separi dalla madre,
che i figli vengano sballottolati a destra e a manca, che il genitore
ti prometta la vacanza in Africa e poi ti costringa al mare di
città vicino alla darsena. E no. Non è Rai Educational,
non è un progetto patrocinato dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri, ma il lavoro assolutamente delizioso e innocuo della
partenopea De Lillo, dedita alla fotografia, alle commedie e ai
ritratti delle situazioni tipo. Insomma, tipo italiane.
Seduti di fronte all'ennesima istantanea della famiglia sgangherata,
dove ogni componente scompare come in Ritorno al Futuro per poi
ricomparire se qualcosa si riattoppa, ci sentiamo tutti scopritori
dell'acqua calda. E che vuoi che sia.. Tanto si sa che nel cinema
c'è penuria di idee, di storie nuove e che per vedere qualcosa
di veramente interessante bisogna scomodare gente come Garrone
o Scimeca. Ma torniamo a Napoli, diamo alla regista un motivo
di soddisfazione. Il primo applauso va ai ragazzini, ai loro occhi
e al punto di vista della m.d.p che spara nella stessa direzione,
dal basso verso l'alto. Privilegi e disillusioni del "mondo
bimbo" debuttano sul grande schermo con grande carica di
ironia e consapevolezza, mentre nel "reparto adulti"
si arranca per una via d'uscita, la tanto sentita - e praticata
- fuga dalle consuete responsabilità. E sulle scale mobili
tra un piano e l'altro ci mettiamo i cosiddetti terzi, quelli
che scendono e che salgono a seconda degli umori e delle comodità
degli altri, per esempio la nonna. Che un giorno difende il figlio,
il giorno dopo il nipote. Anche questo non sarebbe giusto se non
fosse che la realtà è tale e quale a quella del
film (o il contrario?) e la De Lillo ce la racconta senza appiattirla.
La vittoria è dei piccoli coltivatori di sogni e speranze;
Sofia e Valerio (Maddalena Polistina e Daniel Prodomo sono già
pronti per nuovi ingaggi) mettono in scacco matto i relativi padri
e si guadagnano l'agognata leggerezza dell'essere ancora fanciulli.
Girato interamente d'estate tra Napoli e Procida il film sembra
appostarsi di fronte alla stagione più bella delle vita
e ne reclama legittimità. Quanto a chi, di stagioni, ne
ha già qualcuna sulle spalle...beh, gli suggeriamo di parlare
con Antonio Manzini (nel ruolo del padre di Sofia) che ci saluta
così :" Ià, tengo 36 anni ma nu i' siento pe'
niente". Beato lui!
Voto: 27/30 ...per simpatia
COMMENT J'AI TUE' MON PERE
Recensione
di Sandra Salvato
Interessante
la generazione di Anne Fontaine. A 5 anni di distanza dal film
che le valse un premio speciale della giuria a Venezia, Nettoyage
a sec, la regista torna ad affrontare il tema dell'intruso e del
mondo capovolto che ne consegue. Senza condiscendere agli scontati
umori delle persone sopraffatte dagli incontri improvvisi, lo
sguardo della Fontaine materializza quel raro prodigio che è
l'insondabile dell'animo umano, tanto più incisivo ai fini
della realizzazione filmica se trattato con infinita sobrietà
e verticalità. Il protagonista è un gerontologo
affermato a cui la vita dice nella giusta direzione. Premiato
per i risultati nel settore, organizza per l'occasione mondana
un gran suaré nel grande parco antistante la villa. L'arrivo
del padre, che padre lo è solo per naturale ascendenza,
scompone il mosaico delle relazioni interpersonali riuscendo a
colpire il punto nevralgico senza parlare. In una distanza dal
figlio che ha del crudele, l'uomo ripara in modo poco convenzionale
sotto il "tetto" della nuora, l'imperdibile per definizione
Natacha Regnier della Vita sognata degli Angeli di Zonca. Parafrasando
la parola tetto ci risulta una vita separata, un mondo strumentalizzato
e succube di un altro più forte all'apparenza, pronto a
sgretolarsi con l'arrivo dei vecchi rancori dovuti all'abbandono.
La bellissima moglie sorge e tramonta con il sole, al riparo da
ogni iniziativa personale, servizievole muta e compiacente come
conviene alla bambole di porcellana. Riaccesi i ruoli sotto la
spinta di questo terzo intervento, ogni singolo personaggio, fratello
compreso -il più incline a risolvere il dossier edipico
con il padre-, si spoglia della maschera e rigetta conformismi
e lacrime a lungo trattenute. La visceralità pregnante
che lega lo spettatore al film con un cordone ombelicale difficilmente
recidibile, si espande osmoticamente sotto la commedia dell'apparenza,
la stessa che ci veste di ambizioni e poi scompare lasciandoci
al nudo.
Nessun colpo di luce, nessun giro di camera. La pellicola scorre
secondo un diagramma morbido, secondo una traccia sceneggiata
con mirabile professionalità. Si cerca la scontrosità,
lo scombussolamento, si trova la perfetta sintonia. Superbe
Voto:
30 e lode
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