MY
AMERICA - OR HONK IF YOU LOVE BUDDHA
Recensione di Daniela Kappler
Essere
giapponese in America e ritrovare la propria identità nel passato
e nel futuro cercando tra le vite di altri asiatici immigrati, è
il nocciolo della questione nel film on the road di Renee Tajima-Pena.
E' interessante che lei non cerca la giapponesità, bensì intervista
e valorizza cinesi, laotiani, giapponesi, filippini e coreani, tutti
con una storia diversa, ma con una lotta comune: essere rispettati
nella nuova terra per la quale danno tutto (o quasi). C'è chi è
voluto venire in America rincorrendo un sogno di libertà e uguaglianza,
e chi invece per guadagnare in contanti e in faccia. I secondi,
avevano uno stile di vita diverso dal primo - arricchirsi e poi
andarsene - ma resisi conto che anche il capitale permette di realizzare
una propria battaglia per un ruolo sociale all'interno dell'America
bianca. Spesso invece il sogno si è invece infranto e la vita consisteva
in correre via dagli abusi o sopportare. Poi c'è chi è stato deportato
e chi è nato nella terra promessa senza volerlo, e di questi, in
genere, si parla ben poco. L'autocollante sul cofano "Suona il clacson
se ami Budda" e la constatazione tranquillizzante che oggi non si
deve più lottare per essere accettati dagli americani perché "si
è americani", chiudono le precedenti ferite, dubbi e codesta ricerca
e sono l'essenza di una strada nuova tutta da percorrere. Per la
regista e realizzatrice del video ovviamente. Altri stanno ancora
navigando tra passato e presente, e altri ne verranno, perché l'America
resta per molti abitanti del pianeta "the United States of A-miracle".
Girato spesso come video narrativo, ma intercalato da film d'autore
d'ispirazione come "Chan is missing" e "Eat a Bowl of Tea" di Wayne
Wang, immagini d'infanzia, sequenze storiche, fotografie sgualcite,
interviste ai personaggi-guida come il ribelle ed ecclettico Victor
Wong (l'attore preferito dallo stesso Wang), l'opera di Tajima-Pena
entra in profondità nelle vicende personali, nelle memorie e nelle
azioni attuali di questi persone che gli asiatici rimasti in patria
chiamano banana: gialli fuori e bianchi dentro. Come nei migliori
film di Wang, questo documentario-auto-biografico procede con ansia
e ironia, che ci ricorda tanto l'humour linfatico della diaspora
ebrea.
Voto: 27/30
SILENCIO ROTO
Recensione di Daniela Kappler
Accantonare
questo incapsulato di 3 episodi su tipi di amore diverso a Taxi
Driver e In the Mood for Love, è troppo, se non fuorviante.
Con una colonna sonora non più in background ma assordantemente
in primo piano tipico dei recenti film d'azione della ex-colonia,
il messaggio delle tre storie atterra in modo palese, ed è
a sé stante benchè riprenda un tema riccorrente. I
giovani realizzatori del film hanno voluto anch'essi dare il loro
contributo alla malattia dilagante dell'ultimo secolo, l'alienazione
psicosomatica in un grande agglomerato urbano. I noti cantanti,
attori, radioanimatori e fotografi, Stephen Fung, Shya Wing, G C
Goo-bi e Nicholas Tse improvvisatisi registi vogliono parlare di
nuove mode e di metà tabù a Hong Kong, tra cui l'omossessualità,
il fetischismo verso un'arma che non porta a compimento e di incontri
al buio organizzati da ICQ. Il primo episodio lascia un dubbio amletico
sull'original label Wong Kar-wai, il secondo pesa l'anonimato di
una persona socialmente utile nel momento in cui ha il potere di
prendersi la vita degli altri e il terzo un teenager dream che non
vuole crescere. I versi staccati vengono riassunti alla fine dalla
voce della ragione fuori campo e la vita continua come prima. Ognuno
a rincorrere i propri guai.
Voto: 22/30 (solo per l'intenzione)
LIAN'AI
QIYI - HEROES IN LOVE
Recensione di Daniela Kappler
Accantonare
questo incapsulato di 3 episodi su tipi di amore diverso a Taxi
Driver e In the Mood for Love, è troppo, se non fuorviante.
Con una colonna sonora non più in background ma assordantemente
in primo piano tipico dei recenti film d'azione della ex-colonia,
il messaggio delle tre storie atterra in modo palese, ed è
a sé stante benchè riprenda un tema riccorrente. I
giovani realizzatori del film hanno voluto anch'essi dare il loro
contributo alla malattia dilagante dell'ultimo secolo, l'alienazione
psicosomatica in un grande agglomerato urbano. I noti cantanti,
attori, radioanimatori e fotografi, Stephen Fung, Shya Wing, G C
Goo-bi e Nicholas Tse improvvisatisi registi vogliono parlare di
nuove mode e di metà tabù a Hong Kong, tra cui l'omossessualità,
il fetischismo verso un'arma che non porta a compimento e di incontri
al buio organizzati da ICQ. Il primo episodio lascia un dubbio amletico
sull'original label Wong Kar-wai, il secondo pesa l'anonimato di
una persona socialmente utile nel momento in cui ha il potere di
prendersi la vita degli altri e il terzo un teenager dream che non
vuole crescere. I versi staccati vengono riassunti alla fine dalla
voce della ragione fuori campo e la vita continua come prima. Ognuno
a rincorrere i propri guai
Voto: 25/30
|