SUR LA LONGUEUR D'ONDE DE MICHAEL SNOW, ZOOM ARRIERE
Regia di: Teri Wehn
Damisch Video
56' - CINEASTI DEL PRESENTE
Recensione di Sandra Salvato
Magari
poter restare sulla lunghezza d'onda di Michael Snow, l'artista
canadese degli anni sessanta a cui la regista francese dedica un
complesso quanto ermetico documentario. Difficile altresi decodificare
la poliedrica personalità di Snow, uomo di cinema, fotografo, musicista,
scultore, pittore ed infine oleografo. Ma la parola fine per un
essere in continuo evolversi pare stonato con l'intento di travestire
il film in una lunga onda sinusoidale che attraversa lo spazio-tempo
dando l'idea dell'infinito. La piramide di televisori su cui sincronomicamente
viene trasmesso lo stesso profilo dell'artista è anche l'allegoria
della difficile ascesa della creatività che non ha culmine, se non
nei margini del formato beta. Snow si racconta e spiega come la
musica sia stata un passaggio obbligato più che una vocazione a
senso unico. La venerazione jazzistica si rifugia nell'improvvisazione
e nella fuga dalle biscrome convenzionali o proprie del genere;
ogni immagine si sposa alla perfezione con la fluttuazione delle
note e scorre seguendo il ritmo. Ancora S. mostra una ripresa durata
nella realtà una manciata di secondi, quindi compressa su pellicola
e fatta andare alla moviola: dall'inizio alla fine passano ben 17
minuti. Si scorgono ombre e movimenti altrimenti impercettibili.
L'acuto osservatore esplora il mondo da tutte le prospettive pensabili,
dimostra la bidimesionalità della foto e il carattere pluridimensionale
della vita reale, ritrae cose e persone e ne fa combaciare i movimenti.
Costruito su una lunga zoomata in avanti, la regista ricorre ad
una zoomata all'indietro che permette di scoprire progressivamente
le opere dell'artista. Per riuscire a capire davvero lo stile e
la tendenza cinematografica di Teri Wehn Damisch credo dovremmo
aspettare un più scomponibile modo di fare settima arte. Questo,
al di là dell'altissimo contenuto, pare congeniale a qualche allestimento
o percorso sensoriale all'interno di una video performance.
Voto 21/30
ORLAN
CARNAL ART
Regia di Stephen Oriach
35mm - SETTIMANA DELLA CRITICA
Recensione di Sandra Salvato
A ripensarci mi ribolle il sangue. E in Orlan il sangue comincia
a scorrere dal primo fotogramma. Il tempo di resistenza non è stato
massimo e l'artista francese ci deve comprendere. La giovane donna
pratica una forma di Body Art violenta e radicale sottoponendosi
ad operazioni di chirurgia estetica. Dopo la traccia del pennarello
sfilano le cannule e gli aghi sotto pelle. Entra o esce silicone,
questo dipende dalle zone del corpo: quelle provocanti divengono
inguardabili, quelle sopportabili alla vista declinano nella zona
del "mamma mia…che strazio" A prescindere dal fatto che la ragione
(?) suggerisce ad ognuno il proprio canone di bellezza, non si capisce
come una donna estrosa e -si suppone- di larghi orizzonti perché
artista, debba seviziare il corpo (volto compreso) per ovviare agli
stereotipati modelli contemporanei della femminilità. Ci sono sempre
i capelli corti, gli anfibi al posto dei tacchi a spillo. La sfida
di Orlan non può essere criterio semantico di individuazione di
altre sfide al femminile, condotte semmai con la stessa strenua
convinzione ma senza auto-censura. Il modo diverso di distruggere
il pregiudizio che da millenni ruota intorno alla donna e al suo
apparire può trovare il suo compromesso sul piano cinematografico
se non vuole rinunciare a quello contenutistico: ne abbiamo visti
di splatter ma questo non doveva appartenere al genere. Di Art veramente
poca, di Carnal nemmeno il desiderio di essere come lei, Orlan.
Se esce nelle sale evitatelo.
Voto: il piu basso. Fate voi
AVEC
TOUT MON AMOUR
Regia di Amalia Escriva - IN CONCORSO
Con : Jeanne Balibare, Bruno Todeschini 2001,
35mm, 86'
di Sandra Salvato
Algeri,
inizio del xx secolo. Un famoso avvocato rientra dalla Francia dove
si è recato per difendere gli insorti di Marguerite accusati di
aver ucciso sette europei. In camera da letto trova la moglie Eugenia
(Balibar) morta suicida e un biglietto: "Avec tout mon amour". L'eterea
presenza dell'attrice francese apre all'innocenza a cui il film
volge sul
piano narrativo, ideale di libertà e giustizia cui i co-protagonisti,
non senza affannno, ascendono per naturalizzata forma mentis. Costruito
secondo uno schema già vissuto da Cristopher Nolan nel suo Memento,
con l'inizio che diventa le fine su di un piano temporale invertito
che si sviluppa al contrario, il racconto sviscera l'animo profondo
e l'instabile divenire di ogni singolo personaggio. Nei lunghi soliloqui
per immagine che la regista propone vive lo spunto riflessivo dell'intero
lungometraggio, scavalcato nel tema principe della colonizzazione
francese e la conseguente ribellione degli oppressi dal più importante
messaggio di ricerca dell'identità
del singolo individuo, in specie se donna. L'Escriva scrive cosi'
due sceneggiature per due binari paralleli: al fallimento della
coppia risponde il crollo del colonialismo, alla presa di coscienza
della protagonista la rincorsa del destino algerino verso l'indipendenza
A tratti cupo e monocorde, il film rivela spessore nel gioco di
corrispondenze tra il dentro - l'animo umano - e il fuori dove esistono
carrellate di verde campestre ed interni che imbavagliano l'aria.
E' qualcosa di più di un romanzo familiare, è quasi L'Amore che
non muore. E' ritrovare il cinema francese e la sua grande ma spesso
non compresa intensità.
Voto: 30/30
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