vai al 03-08-2001
04-08-2001

IL MONDO DI SUZIE WONG
Regia di : Richard Quine
1960, 35mm,
125' - RETROSPETTIVA
Recensione di Sandra Salvato

Diciamocelo. Quando l'Oriente chiama è impossibile non rispondere, anche se il film ha più di quarant'anni e la tv l'ha già masticato più volte fino a svilirlo con note di palinsesto assurde o inesistenti e orari di trasmissione più che notturni. E' per questo che, avuta l'occasione di conoscere dell'esistenza della retrospettiva "Out of Shadows": Asians in American abbiamo per una volta snobbato i film in concorso e ne siamo yukuai… La vecchia 35 mm diretta da Richard Quine accarezza le sagome e le setose sembianze dell'allora esordiente Nancy Kwan, la prima attrice di Hong Kong a lavorare a Hollywood. William Holden è l'artista poco bohémien (il completino in seta grezza è in perfetto hollywood style fashion e la gelatina non scompone mai il genio!) che cerca la sua musa in una casa d'intrattenimento-albergo dove forse il domicilio non è così costrittivo…ed eventuale. Ma si deve leggere tra le righe per urtare la sensibilità del regista nel trattare certi delicati argomenti dell'America perbenista e in doppio petto. Il mestiere raccontato è proprio quello più vecchio del mondo ma lo sfondo di miseria e di etiche appiattite da ideologie coatte al servizio di business dal muso bianco trasforma quello che noi definiremmo "il pretesto" cinematografico in primaria esigenza narrativa. Quello che conta insomma è capire come si vive nella Cina colonizzata di fine anni cinquanta e la catastrofe naturale che segna l'epilogo del lungometraggio porta via anche l'ultima speranza di riscatto e di una vita civile e dignitosa. Prodotto dal colosso Paramount il film ebbe un discreto successo appena uscito nelle sale e noi oggi aggiungiamo plusvalore per il semplice gusto di un cinema ritrovato.
Voto ad honorem: 27/30

THE CAT'S MEOW
Regia: Peter Bogdanovich
35mm, 112'- PIAZZA GRANDE
Recensione di Sandra Salvato
Di Bunuél e del suo Angelo Sterminatore la notte di ieri conserva solo la claustrofobica impotenza di chi non puo né uscire né entrare nella sala cinematogtrafica perché fuori si è scatenato l'impossibile. L'interminabile attesa ha infine trasformato lo scoramento in un attimo di lucida follia alla Mel Brooks e dallo stage antistante il grande schermo un esimio collega ha diretto la platea come fosse una corale senza frontiere. Tutti a cantare Le coque est morte. L'applauso più forte del temporale, poi finalmente Bogdanovich. The Cat's Meow è coerenza, è il punto di non ritorno del regista di The thing called love e Texasville dalla zona di chiara matrice fordiana o di ispirazione wellistica. La pellicola, bagnata in cromatiche definizioni per un film tutt'altro che privo di sfumature, immortala generosa primi piani che sottendono almeno il triplo dei possibili punti di vista della m.d.p e le zoommate espongono all'ennesima potenza la forza delle espressioni. Siamo nel 1924, a bordo dello yacht più invidiato da Hollywood, dentro la prima versione di Quarto Potere. Il miliardario W.R.Hearst (Edward Herrmann), immagine e sostanza della casa di produzione cinematografica Cosmopolitan Pictures, salpa da San Pedro in compagnia dell'amante e attrice Marion Davies (Kirsten Dunst) e di una non peggio improvvisata boutade di ingrati e pettegoli esponenti del mondo in cellulloide americano. Ispirata ad un fatto realmente accaduto - fu raccontata a Peter Bogdanovich da Orson in persona - la storia è inizialmente il falò vanitoso di celebrità corrotte dal successo e di soubrette dell'ultim'ora. Tutto sembra, ed è sul sembra che il regista muove ambigui e spiazzanti cambi di scena, scivolare sulla scia del mare e nel senso di prua, tra benji scatenati al ritmo di charleston e movide degli anni del proibizionismo. Poi, come continue interferenze, aumentano le pose, gli sguardi insinuanti, i giochi dell'inganno come sulla nave di Messieur Pouarot e s'inverte simbolicamente la rotta. Qualcosa si spezza. Il contro-campo dagli oblò dello scafo prima in partenza poi in attracco al piccolo molo di San Pedro, rispettivamente l'inizio e la fine del film, doveva per lo meno far sospettare . Dietro il vetro qualcuno guarda fuori, ma da fuori qualcun altro ricambia e lancia sfide mute recependone di ben più intriganti. Sarebbe un peccato svelare gli altarini in un film che ha come unico grosso punto interrogativo il volto del morto. Adattata dalla pièce di Steven Peros, questa parabola sul fatalismo (la vittima non è quella predestinata) ci parla in fondo anche della difficile gestione del successo e della maledizione che si porta dietro. Brillanti e giusto appunto narcisi il Charlie Chaplin Eddi Izzard, il magnate Ed Herrmann e il reduce dalla Storia Fantastica Cary Elwes. Attenti al nome!!!!!
Voto 29/30

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