IL
MONDO DI SUZIE WONG
Regia di : Richard Quine
1960, 35mm,
125' - RETROSPETTIVA
Recensione di Sandra Salvato
Diciamocelo.
Quando l'Oriente chiama è impossibile non rispondere, anche se il
film ha più di quarant'anni e la tv l'ha già masticato più volte
fino a svilirlo con note di palinsesto assurde o inesistenti e orari
di trasmissione più che notturni. E' per questo che, avuta l'occasione
di conoscere dell'esistenza della retrospettiva "Out of Shadows":
Asians in American abbiamo per una volta snobbato i film in concorso
e ne siamo yukuai… La vecchia 35 mm diretta da Richard Quine accarezza
le sagome e le setose sembianze dell'allora esordiente Nancy Kwan,
la prima attrice di Hong Kong a lavorare a Hollywood. William Holden
è l'artista poco bohémien (il completino in seta grezza è in perfetto
hollywood style fashion e la gelatina non scompone mai il genio!)
che cerca la sua musa in una casa d'intrattenimento-albergo dove
forse il domicilio non è così costrittivo…ed eventuale. Ma si deve
leggere tra le righe per urtare la sensibilità del regista nel trattare
certi delicati argomenti dell'America perbenista e in doppio petto.
Il mestiere raccontato è proprio quello più vecchio del mondo ma
lo sfondo di miseria e di etiche appiattite da ideologie coatte
al servizio di business dal muso bianco trasforma quello che noi
definiremmo "il pretesto" cinematografico in primaria esigenza narrativa.
Quello che conta insomma è capire come si vive nella Cina colonizzata
di fine anni cinquanta e la catastrofe naturale che segna l'epilogo
del lungometraggio porta via anche l'ultima speranza di riscatto
e di una vita civile e dignitosa. Prodotto dal colosso Paramount
il film ebbe un discreto successo appena uscito nelle sale e noi
oggi aggiungiamo plusvalore per il semplice gusto di un cinema ritrovato.
Voto ad honorem: 27/30
THE
CAT'S MEOW
Regia: Peter Bogdanovich
35mm, 112'- PIAZZA GRANDE
Recensione di Sandra Salvato
Di
Bunuél e del suo Angelo Sterminatore la notte di ieri conserva solo
la claustrofobica impotenza di chi non puo né uscire né entrare
nella sala cinematogtrafica perché fuori si è scatenato l'impossibile.
L'interminabile attesa ha infine trasformato lo scoramento in un
attimo di lucida follia alla Mel Brooks e dallo stage antistante
il grande schermo un esimio collega ha diretto la platea come fosse
una corale senza frontiere. Tutti a cantare Le coque est morte.
L'applauso più forte del temporale, poi finalmente Bogdanovich.
The Cat's Meow è coerenza, è il punto di non ritorno del regista
di The thing called love e Texasville dalla zona di chiara matrice
fordiana o di ispirazione wellistica. La pellicola, bagnata in cromatiche
definizioni per un film tutt'altro che privo di sfumature, immortala
generosa primi piani che sottendono almeno il triplo dei possibili
punti di vista della m.d.p e le zoommate espongono all'ennesima
potenza la forza delle espressioni. Siamo nel 1924, a bordo dello
yacht più invidiato da Hollywood, dentro la prima versione di Quarto
Potere.
Il miliardario W.R.Hearst (Edward Herrmann), immagine e sostanza
della casa di produzione cinematografica Cosmopolitan Pictures,
salpa da San Pedro in compagnia dell'amante e attrice Marion Davies
(Kirsten Dunst) e di una non peggio improvvisata boutade di ingrati
e pettegoli esponenti del mondo in cellulloide americano. Ispirata
ad un fatto realmente accaduto - fu raccontata a Peter Bogdanovich
da Orson in persona - la storia è inizialmente il falò vanitoso
di celebrità corrotte dal successo e di soubrette dell'ultim'ora.
Tutto sembra, ed è sul sembra che il regista muove ambigui e spiazzanti
cambi di scena, scivolare sulla scia del mare e nel senso di prua,
tra benji scatenati al ritmo di charleston e movide degli anni del
proibizionismo. Poi, come continue interferenze, aumentano le pose,
gli sguardi insinuanti, i giochi dell'inganno come sulla nave di
Messieur Pouarot e s'inverte simbolicamente la rotta. Qualcosa si
spezza. Il contro-campo dagli oblò dello scafo prima in partenza
poi in attracco al piccolo molo di San Pedro, rispettivamente l'inizio
e la fine del film, doveva per lo meno far sospettare . Dietro il
vetro qualcuno guarda fuori, ma da fuori qualcun altro ricambia
e lancia sfide mute recependone di ben più intriganti. Sarebbe un
peccato svelare gli altarini in un film che ha come unico grosso
punto interrogativo il volto del morto. Adattata dalla pièce di
Steven Peros, questa parabola sul fatalismo (la vittima non è quella
predestinata) ci parla in fondo anche della difficile gestione del
successo e della maledizione che si porta dietro. Brillanti e giusto
appunto narcisi il Charlie Chaplin Eddi Izzard, il magnate Ed Herrmann
e il reduce dalla Storia Fantastica Cary Elwes. Attenti al nome!!!!!
Voto 29/30
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