BIAN
ZOU BIAN CHANG
"Un
po' si cammina un po' si canta", la traduzione letterale del film
di Cheng Kaige, lascia intuire che in "Life on a string" il protagonista
vive come musicista itinerante nella Cina delle antiche leggende.
Di cantautori ce ne sono stati tanti nella storia artistica cinese,
ma il nostro eroe è addirittura creduto un santo da chi lo vede
e lo conosce. Le parole cantate dal vecchio e cieco maestro "Shifu"
non trattano solo del perché della vita ma riescono anche a rappacificare
le anime in guerra. In un'atmosfera suggestiva, in una scenografia
monumentale che spazia sopra le vaste lande aride intorno al Fiume
Giallo, il vecchio maestro vagabonda ininterrottamente da quando
è bambino da paese a paese in attesa della realizzazione delle parole
dette dal suo maestro in punto di morte: quando la millesima corda
del tuo banjo si spezzerà tu riaquisterai
la vista. Il suo giovane discepolo cieco Shitou si oppone a questa
credenza e pur nella disperazione di non poter vedere, preferisce
restare con i piedi per terra e di vivere la sua vita fino in fondo,
abbandonandosi anche ad un amore tragico con un fanciulla del paese.
Tra il realismo disincantato del giovane pur innamorato e il sogno
illusorio del vecchio ci si chiede chi è il più felice, il più saggio.
Chen Kaige, grazie a questo dramma atemporale può sperimentare le
sue visioni paesaggistiche e filosofiche e ci mostra quanto egli
sia erede e ribelle, come gli altri cineasti cinesi della quinta
generazione, dell'arte cinematografica socialista e propagandistica
dei decenni precedenti.
28/30
Recensione
di Daniela Kappler
DONGCI
BIANWEI (CONJUGATION)
Il
primo lavoro della giovane regista Emily Tang (Tong Hiu Pak) rispecchia
la vita di una coppia di neo-laureati non sposati e dei loro amici
a Pechino durante l'inverno del 1989-1990. Il dopo Tian An Men.
Il clima di repressione attuato dal governo non passa attraverso
immagini storiche, bensì è prima accennato con commenti radio e
incontri nascosti, in seguito ben visibile attraverso l'introspezione
nell'anima ansiosa e desolata delle figure principali. Un'opera
intimista, non solo per motivi di budget, che presenta dunque un
tema altamente interessante, del resto perseguito da diversi registi
della sesta generazione, ma realizzata con troppe scene bianche,
silenziose, lentissime: pause
che infondono all film una pesantezza che neppure la buona scenografia
e la mediazione di sentimenti vivi di chi l'ha realizzato, riescono
a colmare. Pertanto questo film, che rientra nella categoria concorso
internazionale, non avrà una risonanza longeva nonostante il potenziale
intrinseco.
24/30
Recensione di
Daniela Kappler
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