vai al 02-08-2001
03-08-2001

BIAN ZOU BIAN CHANG
"Un po' si cammina un po' si canta", la traduzione letterale del film di Cheng Kaige, lascia intuire che in "Life on a string" il protagonista vive come musicista itinerante nella Cina delle antiche leggende. Di cantautori ce ne sono stati tanti nella storia artistica cinese, ma il nostro eroe è addirittura creduto un santo da chi lo vede e lo conosce. Le parole cantate dal vecchio e cieco maestro "Shifu" non trattano solo del perché della vita ma riescono anche a rappacificare le anime in guerra. In un'atmosfera suggestiva, in una scenografia monumentale che spazia sopra le vaste lande aride intorno al Fiume Giallo, il vecchio maestro vagabonda ininterrottamente da quando è bambino da paese a paese in attesa della realizzazione delle parole dette dal suo maestro in punto di morte: quando la millesima corda del tuo banjo si spezzerà tu riaquisterai la vista. Il suo giovane discepolo cieco Shitou si oppone a questa credenza e pur nella disperazione di non poter vedere, preferisce restare con i piedi per terra e di vivere la sua vita fino in fondo, abbandonandosi anche ad un amore tragico con un fanciulla del paese. Tra il realismo disincantato del giovane pur innamorato e il sogno illusorio del vecchio ci si chiede chi è il più felice, il più saggio. Chen Kaige, grazie a questo dramma atemporale può sperimentare le sue visioni paesaggistiche e filosofiche e ci mostra quanto egli sia erede e ribelle, come gli altri cineasti cinesi della quinta generazione, dell'arte cinematografica socialista e propagandistica dei decenni precedenti.

28/30

Recensione di Daniela Kappler

DONGCI BIANWEI (CONJUGATION)
Il primo lavoro della giovane regista Emily Tang (Tong Hiu Pak) rispecchia la vita di una coppia di neo-laureati non sposati e dei loro amici a Pechino durante l'inverno del 1989-1990. Il dopo Tian An Men. Il clima di repressione attuato dal governo non passa attraverso immagini storiche, bensì è prima accennato con commenti radio e incontri nascosti, in seguito ben visibile attraverso l'introspezione nell'anima ansiosa e desolata delle figure principali. Un'opera intimista, non solo per motivi di budget, che presenta dunque un tema altamente interessante, del resto perseguito da diversi registi della sesta generazione, ma realizzata con troppe scene bianche, silenziose, lentissime: pause che infondono all film una pesantezza che neppure la buona scenografia e la mediazione di sentimenti vivi di chi l'ha realizzato, riescono a colmare. Pertanto questo film, che rientra nella categoria concorso internazionale, non avrà una risonanza longeva nonostante il potenziale intrinseco.
24/30
Recensione di Daniela Kappler

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