festival DI CANNES

 

16/27:05:2007

CANNES

di Marco GROSOLI

 

un certain regard

mister lonely

di Harmony Korine

Francia 2007, 111'

 


Leggiadro, ingenuo, incosciente, involontario e abissale tour de force teorico è Mister Lonely di Harmony Korine, geniale parabola sulla doppia morte della natura. E dello spettacolo. Un gruppo di sosia (c’è quello di Michael Jackson, quello di Charlie Chaplin, quello di Marilyn, quello di Abramo Lincoln…) si riunisce in un castello scozzese in una utopica comunità di freaks, in cui ciascuno è libero di essere non se stesso ma un altro, grazie allo sguardo accondiscendente e reciproco degli altri. Purtroppo però, un’epidemia stermina i montoni che provvedevano a sostenere finanziariamente la comunità, che non riuscirà a racimolare i soldi nemmeno con lo show business. Col suo stile sregolato e sapientemente analfabeta, gioioso e malinconico, documentaristico per pura e sovrana incuria (un po’ alla Miike Takashi) con squarci candidamente veterogodardiani, Korine rende tutto lo spaesamento del non poter essere né reali né artificiali, incarnato al meglio dal sensazionale carrello avanti e indietro, senza stacchi (il palindromo prediletto da Guy Debord), su una fila di uova su cui sono dipinti i sosia protagonisti, che nel movimento di ritorno della macchina diventano i “veri” personaggi. Perché, come conferma l’allucinante subplot in cui un missionario (interpretato da Werner Herzog) parte per il Vaticano insieme a un gruppo di suore volanti, i miracoli (compreso quello dell’essere) si subiscono ma non possono venire istituzionalizzati: qui sta lo scoglio inaffrontabile del vivere contemporaneo. 25/30

 

 

QUINZAINE DES RéALISATEURS

Avant que J’oublie

di Jacques Nolot

Francia 2007, 108'

 


In un qualche modo, il regista e attore francese Jacques Nolot avverte questa impasse, ma tenta, per fiero orgoglio di sopravvivenza, di nascondersela. Il suo Avant que J’oublie, alla Quinzaine, è un autoritratto mascherato (il suo personaggio, da lui stesso interpretato, si chiama Pierre) di omosessuale quasi sessantenne alle prese con la morte della persona amata, l’AIDS, la vecchiaia, lo psicanalista, le marchette, un testamento milionario sfuggito tra le mani… Un po’ come nel finale, in cui si traveste da donna al Pigalle, Pierre vive i suoi ultimi giorni con una rassegnata e olimpica indifferenza, vestendo con una dolorosa serenità quasi zen le piccole negatività cui si riduce la sua vita (ma anche quelle grandi: l’AIDS viene fuori a metà film sul lettino dello psicanalista come fosse un raffreddore). Nolot raggiunge una curiosa sincerità non rappresentandosi “per come è”, ma spersonalizzando il suo simulacro, devitalizzando il falso. Solo perché Pierre è spettatore malinconico di Pierre stesso, solo perchè Pierre è travestito da Pierre capiamo (trasalendo) che Jacques (Nolot) travestendosi da Pierre smaschera la tendenza di Jacques a travestirsi da Jacques. Una vertigine alla Yukio Mishima che del giapponese non ha la stessa folgorante potenza di scrittura, ma in compenso ha una strana compassata ironia, che travolge come un rullo compressore ogni emozione e ogni increspatura drammatica, raggiungendo una tersa uniformità tonale che è splendida incarnazione del duro peso degli anni. 26/30

 

 

un certain regard

mang shan

blind mountain

di Li Yang

Hong Kong 2007, 95'


Magari si prendesse questa libertà Lola Doillon, che trascura non si sa bene perché l’enorme potere contrattuale che gli viene dall’essere figlia di papà (del grande Jacques Doillon) e si irreggimenta firmando una commediola adolescenziale come un milione di altre senza la minima ombra di un sussulto interessante. Sempre per “Un Certain Regard”, invece, Li Yang firma il più che interessante Blind Mountain, in cui una giovane cinese viene truffata e rapita da una famiglia di contadini per darla in sposa all’orribile figlio. Li Yang sa mescolare senso sintetico dell’azione alle allusioni descrittive dell’ambiente (una certa Cina vetero-rurale), sa mascherare il didascalismo di fondo dipingendo un quadro d’insieme sufficientemente frastagliato e mosso da un ritmo abbastanza vivo. E sa maneggiare un inferno come quello vissuto dalla protagonista senza cadere nel patetico. Piuttosto, fa capolino tra le pieghe del racconto il didattico. Per certi versi viene in mente De Seta, che però rimane decisamente superiore, e più coraggioso. 23/30

 

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