|
venice 2009 the summer of art Avvicinamenti alla Biennale-3
i vedenti -1 Venezia, Palazzo Grassi 2008-2009 |
|
![]() |
Movimenti preparatori all’Estate dell’Arte: Enti e Istituzioni (tra loro) Intelligenti.
L’Estate dell’Arte a Venezia è la dimostrazione della vitalità inesauribile di una città che esce dai confini della propria definizione di luogo semplicemente geografico.
A tutte le accuse di stagnazione culturale, purtroppo spesso provenienti da veneziani doc, si è risposto e si sta rispondendo con un impressionante fuoco di fila d’intraprese, il cui merito è del tutto ascrivibile all’iniziativa di singoli operatori culturali perfettamente calati nella complessa realtà locale, sia nel pubblico che nel privato, anche se spesso formatisi altrove, e non certo alle direttive provenienti dall’alto.
Venezia sta dimostrando, attraverso un sistematico botta e risposta tra Enti, Fondazioni e istituzioni pubbliche, partito appena terminata la Biennale del 2007, come in epoca di tagli ministeriali sconsiderati, il sistema dell’arte sappia fare corpo e dimostrare la propria autonomia dal deserto che lo circonda. Prendendo in considerazione l’intero Nord-Est d’Italia, basterà pensare alla scure che si è abbattuta su Galleria Civica di Trento e sul Museion (il caso della rana crocifissa del povero Kippenberger, per la quale si è medievalmente scomodato Ratzinger in persona) per comprendere le caratteristiche di una temperie culturale inimmaginabile anche pochi anni fa, alla quale, peraltro, questo organismo/ corpo reagisce subito espellendo il male che lo ha attaccato. Come? Moltiplicando le proprie difese immunitarie, ovvero sopperendo con il raziocinio e l’inventiva al cupo oscurantismo di chi governa.
Il sistema-Venezia può ancora migliorare, superando l’idea che le sponsorizzazioni saltuarie, ritenute ingombranti, siano sempre da evitare poiché imporrebbero vincoli d’immagine ancora peggiori dei lacci ministeriali. In tal modo si potrebbero creare realtà organizzative in grado di replicare - pur senza avere alle spalle Fondazioni come Buziol - quello stesso tipo di coerente approccio tematico alle intraprese. L’intreccio sinergico di istituzioni ed enti, intanto, ha fatto sfoggio di sé tra il 2008 e i primi mesi del 2009, creando i presupposti per l’esplosione (anche) mediatica d’interesse verso Venezia in questo inizio di giugno già memorabile.
Difficile, quasi impossibile trovare una fucina di cultura così coesa, al di là delle apparenze, e così convinta di doversi prodigare per l’annullamento dei confini fissati da regolamenti interni e statuti differenti. Sarà un caso - ovviamente non lo è - ma Venezia e Torino sono le capitali italiane delle Arti Visive e del Cinema del III° millennio. Le loro amministrazioni illuminate, che hanno nomi e cognomi e chiari orientamenti politici, hanno fatto ciò che altrove è impossibile, al momento, per la presenza di realtà locali politico-imprenditoriali che mettono un laccio alla creatività di curatori, direttori di festival e artisti. Roma e Milano sono città-ostaggio di qualcosa che è estraneo alla libera circolazione delle Idee.
Gli ultimi 8/9 mesi sono stati caratterizzati da eventi culturali a cascata, che hanno superato, per quantità e qualità, le stagioni precedenti e ora trovano compimento nell’esaltante - oltre che lunghissima - Summer of the Arts lagunare.
La Mostra del Cinema ha passato il testimone ad un’edizione d’altissimo livello di Biennale Musica, culminata nel PARTY SINTOMATICO-EXIT_01, dove Luca Francesconi ha lasciato “cantare” forme collaborative di visualità e suono, il cui acme è risultata la performance di Alva Noto, pseudonimo di Carsten Nicolai, che agisce abitualmente in campo visivo. Nicolai è l’epitome di questa ritrovata trasversalità - volgarmente declinata come multimediale nel suo versante “tecnologico” - grazie alla quale possiamo guardare tubi e contenitori in vetro in cui l’acqua si muove scorrendo e rende visibile il suono di tale movimento. In quei giorni ITALICS accendeva la miccia della polemica nazionale, mentre un po’ più a Nord si apriva qualche crepa ad altezza “Manifesta 7”-Galleria Civica di Trento-Museion, ma solo perché il governo centrale è riuscito nell’impresa di venire a chiedere, in un modo o nell’altro, il “conto” a una delle due regioni a statuto autonomo che fanno del Nord-Est (artistico) un miracolo amministrativo impossibile da replicare anche poco più ad Ovest… L’accusa di sprechi nella gestione dei fondi a disposizione di queste manifestazioni ed enti è ridicola quando proviene da Roma.
ITALICS ha polarizzato l’attenzione per mesi, permettendo di tornare a parlare di Kounellis e Vedova, Pinault e Punta della Dogana: senza proporre nulla di eccezionale, ha fatto il gioco del nuovo Museo d’Arte Contemporanea e, involontariamente, anche di Fondazione Vedova, riuscendo ad accendere l’interesse verso le due principali esposizioni che aprono -2 e 3 giugno- in contemporanea con Biennale. Francesco Bonami, in questo senso, è stato assolutamente geniale!
Mentre Teatro Fondamenta Nuove scaldava i motori prima del memorabile secondo quadrimestre, appoggiato alla Biennale Teatro di Scaparro, anche Fondazione Bevilacqua La Masa e la sua “thinker” di levatura internazionale, Angela Vettese, proponevano a novembre uno scandaglio profondissimo dell’opera di William Kentridge, regista teatrale e autore di video a metà tra discorso privato e dinamiche relazionali calate in realtà sulfuree (il Sudafrica pre e post-apartheid). La “fragilità della coerenza”, la krisis del Progetto, l’Ulisse ir-ragionevolmente malato (tutti argomenti venezianissimi, nonché cacciariani e severiniani), sono stati portati su più di una scena - Palazzetto Tito, il Malibran, la lama frangifuoco della Fenice - confermando invece la coerenza, la progettualità e la ragionevolezza di Vettese, vero deus ex-machina del corpus di eventi veneziani.
Il filo rosso che lega percettibilmente IUAV, Fondazione Buziol, Fenice, Biennale Arte e Bevilacqua La Masa, è indiscutibilmente tracciato da lei, attentissima a “Public Art” e “Arte Relazionale”, quindi ai contenuti di una polis condivisa, di una città (politicamente) allargata a tutti, dove l’Artista perde la maiuscola e si concede al pubblico, chiedendo partecipazione: per una Festa, una Pachanca, un Rave o una semplice discussione sul Valore nell’arte. Sintomatico e perfetto l’invito rivolto da Vettese a Cesare Pietroiusti per il suo laboratorio allo IUAV-Arti Visive, conclusosi con un attraversamento egualitario, quasi comunitario, ancestrale, di luoghi pubblici e privati come la stazione dei treni, l’abitazione di due studentesse, un negozio d’abbigliamento, un ristorante, la sede di Fondazione Buziol con Nico Vascellari che conciava pre-le-feste i (nomi dei) visitatori e, infine, i Magazzini del Sale, altro irrinunciabile polo cittadino.
La Fenice ospitava Chailly e Claudio Scimone e la Querini Stampalia, per non essere da meno, invitava nientemeno che Sasha Waltz a performare nel cuore di pietra e metallo creato da Carlo Scarpa: corpi che aderivano ai marmi o sostavano abramovicianamente sulla soglia dei passaggi tra sala e sala. Onore, in questo caso, a Chiara Bertola. Ancora una volta, artisti e pubblico posti sullo stesso piano, sui fragili livelli d’acqua mista a pietra dell’Architetto veneziano.
La Collezione Peggy Guggenheim aveva già ospitato il seminale COMING OF AGE, ovvero tutta l’arte americana pre-Pollock, e si apprestava alla riscoperta di un grande amico di Scarpa, quel Carlo Cardazzo che ha ricoperto come pochi ( e fra gli ultimi) il ruolo di collezionista talmente illuminato da diventare curatore, critico e gallerista di artisti ancora sconosciuti in Italia nel secondo dopoguerra. Una figura, o più figure simili a Cardazzo sono rimpiante in primis dai galleristi - illuminati pure loro - come la coraggiosa Michela Rizzo, punta di diamante di una realtà costituzionalmente lontana dal riuscire a fare sistema (ricordiamo anche Jacopo Jarach e l’ardita scelta fotografica e Caterina Tognon).
Dopo un Carnevale vissuto come unica, ma eclatante nota stonata della stagione (spettacoli annunciati e mai iniziati, programmi attira-turisti poi lasciati marcire sotto l’acqua scesa su San Marco e l’intera città), ci siamo immersi nella spirale colorata dei Futuristi (ancora Guggenheim) della collezione Mattioli e nella Biennale Teatro.
Da potenziale mezzo fallimento per tagli ministeriali a fondi già bassissimi in partenza e dopo un Laboratorio novembrino che cercava di chiudere le falle illudendo i veneziani che ci fosse stata un’edizione 2008, si è riusciti a ricavare qualcosa di buono. L’ou-topia di un luogo comune che crea culture apparentate, il Mediterraneo, sembrava proprio tale nel susseguirsi di spettacoli di medio livello, in situazioni logistiche improvvisate, fino al colpo di coda di MORSO DI LUNA PIENA e del magistrale ANTIGONE, entrambi a Teatro Fondamenta Nuove.
Il genio di Massimo Munaro di LEMMING TEATRO (il regista che ti fa vivere l’EDIPO RE in un rapporto uno-a-uno con la compagnia, che ti fa salire sul palco ed “essere” Edipo che uccide) ha fatto capire cosa possa significare teatro ancestrale, multimediale e condiviso: suoni appropriati, colonna “olfattiva” che mescolava odor d’anguria e di talco, attenta regia delle luci, drammaturgia e estetica spesso cinematografiche: il tutto con 6 attori e una cinquantina di spett-attori inebriati.
La stagione è come girata su questo perno, doppiando i fasti dei mesi precedenti: Inbal, Albrecht e Arming portavano oro su oro al Gran Teatro la Fenice, mentre Fondamenta Nuove sembrava rubare la scena con scelte incredibilmente illuminate e innovative, pure a prezzi stracciati anche per un pubblico di soli studenti.
Le residenze di artisti - anche Buziol continuava con le sue: da segnalare il terribile talento à-la-Basquiat di Jean Sawle e la delicata trasversalità della musicista Tao Yu - permettono sempre a TFN di allestire prove aperte dove l’artista (musicista, coreografo, attore) dibatte con il pubblico, che impara e interagisce, ma ben diversamente dall’interazione che esperisce sulla Rete. TFN è il luogo dove mettersi in gioco, provare a vedere cos’è uno sharing non-digitale, una condivisione tattile e di corpi. Una nuova agorà micro-globale.
Indimenticabile anche il mini-ciclo di OOFFOURO, tra psicogeografia, urbanistica digitalizzata e teatralizzata, la scoperta di talenti come Rudresh Mahantappa (jazz braxtoniano dall’India, dalle regioni carneatiche), di follie totally-free (Wardrobe Trio), di ulteriori multimedialità (Wendy Huston) o le conferme del Teatro degli Artefatti, fino al clamoroso omaggio (gratis!) a CAROLYN CARLSON, osservata con occhio e cuore da carbonari tremanti, benedetti dalla fortuna o dal caso, che assistevano a una delicata epifania di post-danza recitata.
Gli ultimi mesi, già in attesa dell’estate, hanno offerto: letture di Simona Vinci, Tiziano Scarpa - e altri - a Fondazione Buziol, che ha celebrato un anno d’attività con un festoso omaggio a quel luogo meraviglioso affacciato sul Canal Grande, anticipando con una mostra di splendidi costumi realizzati dagli studenti dello IUAV l’evento PARADES del 5 giugno nell’ambito della Biennale. Cura Andrea Lissoni su idea di Arto Lindsay, presente e residente da metà maggio; una splendida MADAME BUTTERFLY alla Fenice, a chiusura di un bellissimo ciclo di concerti tenutisi al Malibran (Berio, Dvorak, Debussy…); deviazioni eretiche su un piano “rock” (l’inaugurazione dell’HardRockCafè, bagnata da 1 metro e mezzo di acqua alta; il concerto dell’icona impolverata Jackson Browne al Malibran!; bellissime mostre di B. La Masa: NUDISEGNI, a lanciare nuovi talenti di neo-grafia sul panorama pittorico ritenuto ingiustamente marginale, e la personale magnifica di LORENZO MATTOTTI, che vede Venezia come un marziano dal cuore duro; JASON MARTIN, anomalo Young British Artist , a chiudere i grafismi dell’ultimo secolo nell’altra ala del Guggenheim.
Abbiamo avuto - letteralmente - TUTTO e il pensiero che questo tutto sia ancora nulla di fronte a ciò che inizia in questi giorni ci inebria, mentre dovrebbe far rabbrividire gli organizzatori di cultura di mezza Italia.
|
venice 2009 the summer of art |