venice 2009 the summer of art

Avvicinamenti alla Biennale-2

 

Birnbaum  vs  Beatrices

Venezia, Palazzo Grassi 2008-2009

di Gabriele FRANCIONI

 

Mettere al mondo mondi, più che “Making Worlds”

 

C’è già una netta frattura sia tra ciò che professava Birnbaum a fine 2008 (“Pittura, pittura, pittura e meno video, meno installazioni per la Biennale n. 53”, “Corriere della Sera” del 1° novembre ), forse perché ancora immerso nell’atmosfera saturnina del suo “Artissima”, e le sue scelte finali, ben più articolate e stimolanti, nonché un vallo, un vero e proprio fosso fra gli italiani scelti dal direttore per il Palazzo delle Esposizioni (ex-Padiglione Italiano) e quelli selezionati dai due Beatrice - Luca e Buscaroli - per l’ingessatissimo neo-Padiglione Italia, che già dal nome tanto “littorio” evoca l’attuale rappèl à l’ordre voluto nientemeno che dall’incipriato Boy George ministeriale (l’ex-comunista Sandro Bondi).

 

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da sinistra: Angela Vettese > Luca Beatrice > Beatrice Buscaroli > Daniel Birnbaum > Sandro Bondi

  

Daniel Birnbaum, col passare dei mesi, si è tenuto Roccasalva ed ha lasciato ai B.& B. la patata bollente della quasi solo pittura, che consisteva nell’andare a scovare artisti allineati o interessati al tema scelto: “Collaudi”, ispirata a Marinetti, sarà l’esposizione tematica concepita per resuscitare quell’impeto futurista, vitalista e retrogrado che può essere un’arte più o meno impegnata a fare il verso - in tempi di recessione mondiale - al comprensibile ottimismo pre-fascista d’inizio ‘900, tutto metropoli fumanti e sfreccianti rivoluzioni culturali.

 

 

Anche senza entrare nella polemica curatoriale che ha preceduto l’uscita dei nomi invitati, basta leggerli ora, a pochi giorni dall’apertura, per rendersi conto di come l’attacco di Bonami alla coppia B&B abbia avuto profondi motivi di essere.

 

La tensione generalizzata che serpeggiava tra i critici d’arte, nata ai tempi di “Italics”, è esplosa ed ha come polarizzato le posizioni dei personaggi in campo. è stato il terreno preparato da mesi per incendiare la Biennale. Tutti da una parte o dall’altra: Politi qui, “Art Dossier” di là (ne avremmo dubitato?).

Prendendo, più o meno a caso, la “Top 100” dei giovani artisti italiani votati dalla giovane critica nazionale pubblicata su “Flash Art” nel Marzo 2008, notiamo come ciascuno vi abbia in un qualche modo attinto, ma curando  il proprio territorio d’elezione, nettamente distinto da quello altrui.

 

Birnbaum e Bonami perlomeno condividono un paio di scelte - l’imprescindibile Roberto Cuoghi, Pietro Roccasalva, Rosa Barba e il Maestro Michelangelo Pistoletto - mentre entrambi sembrano distanti anni luce dai refusées di mezza età, misti a santoni come Chia, proposti dai Beatrice. Attaccati da Bonami stesso alla Fondazione Sandretto Rebaudengo, dove presentavano “Collaudi”, i Beatrice hanno giustificato le loro scelte, come se questo fosse un merito, sostendendo che gli artisti selezionati “li avevano accompagnati negli ultimi 20 anni” di attività….

 

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da sinistra, Opere di: Roberto Cuoghi > Michelangelo Pistoletto

 

Siamo tutti figli di Boetti

 

Inutile evitare il centro del dibattere: quando il direttore si è reso conto di ciò che realmente significavano le proprie parole - WeltenMachen”, “Fazer Mundos” o “Making Worlds”- è in buona parte tornato sui propri passi, riuscendo a sistemare una selezione internazionale che sa tanto d’interdisciplinarietà e utilizza ogni medium a disposizione (ivi compreso il video, pure in maniera massiccia, anche se mancano i rigorosi specialisti come “Stalker Video” o “Zimmerfrei”).

 

Sopra ogni altra cosa, però, ne è venuto fuori un gruppo d’artisti abbastanza sintonizzato sul senso etimologico e profondo di “Fare Mondi”.

 

 

Alighiero Boetti,  "Mettere al mondo il mondo”, 1972

 

Dopo l’esperienza del velleitario “Beyond Buildings” della Biennale Architettura mordi-e-fuggi di Aaron Betsky, sparare slogan a salve è diventata operazione a rischio capace di evocare, più o meno inconsciamente, spiriti e energie defunte che improvvisamente tornano in vita come in una seduta spiritica.

Noi possiamo anche vagamente comprendere l’atteggiamento quasi aventiniano, revisionista e antidialettico di Padiglione Italia - anche se il capolavoro di Marco Bellocchio, “Vincere”, fa uno sberleffo estremamente di sinistra e batte da solo tutte le opere e la filosofia destrorsa lì presenti - ma sempre più ci convinciamo della necessità di un’arte boettiana nel 2009, 2010 etc.

Da una parte, oltre il nuovo ponte all’Arsenale, si rifugia un’enclave di artisti di mezza età, che non sono stati in grado, all’epoca, di collocarsi né all’interno della Transavanguardia, né dentro la poetica neo-oggettuale anni ’90 e vengono ripescati (Chia a parte) per la loro apparentabilità presunta col taglio neo-futurista , pacatamente astratto ma anche serenamente figurativo, del Padiglione ITA.

 

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da sinistra,  Opere di: Nicola Bolla > Matteo Basilé > Marco Lodola 

 

Ai Giardini, invece, si tratta d’identità in termini relazionali, una volta che tali “mondi” o “cosmi” di comunicazione vengono creati e allargati a comunità partecipative, partendo innanzitutto dall’uso di TUTTI i media.

 

Le parole sono importanti: no, non è Nannimoretti, è Martin Heidegger

 

Evocare cosmi può significare sia l’apertura boettiana verso un’arte realmente pubblica, addirittura politica, laddove il cosmo sia estroflesso e inteso nel suo farsi, semmai, cosmogonia collettiva in progress;  oppure la pensosa produzione di singole-private cosmogonie autoriflessive partorite dall’artista-demiurgo, salvo che nel calderone stanno sia il padre del concettuale e del ready-made (MDuchamp), sia i pronipotini poco più che trentenni come Gianni Caravaggio o Francesco Gennari o, più consapevolmente, Roberto Cuoghi.

 

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da sinistra,  Opere di: Gianni Caravaggio > Cuoghi > Francesco Gennari > Boetti

 

Comunque entrambe le poetiche nascono come reazione, in tempi diversi, al ritorno alla pittura ordinato dallaTransavanguardia, colpevole di non aver compreso come certe diramazioni e sviluppi del Concettuale abbiano segnato da quasi un secolo l’arte moderna e contemporanea in maniera irreversibile e sono destinate a ritornare ciclicamente (forse) per sempre.

 

Ecco allora che la distanza tra i Giardini e l’Arsenale si fa siderale, perché, con tutto il rispetto, non abbiamo bisogno di un Nicola Verlato, o del Matthew Barney de noantri Matteo Basilè (Barney solo epidermico, sia chiaro) o del clone di Giuliano Vangi (Aaron Demetz).

Men che meno abbiamo bisogno di Lodola Marco, uno che (non è uno scherzo) ha lavorato per i fondali delle trasmissioni di Mediaset, per gli “883” - ebbene sì, quelli di…Macs Pezzali… - nonché per approntare la facciata dell’Ariston di Sanremo in occasione di un’edizione del festival omonimo. Non ci sono refusi.

 

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da sinistra,  Opere di: Verlato > Basilé & Barney > Demetz & Vangi

 

Questo ritorno coatto a presunti astrattismi evocativi (ma anche figurativismi, tanto per non farsi mancare nulla) (che non riescono a essere tali, cioè evocativi), nasconde altre dinamiche, ma stavolta siamo veramente ai margini dei margini del dibattito culturale, mentre almeno ABOliva, nel lontano ’79, aveva i suoi motivi per uscire da una certa atmosfera asfittica dell’ultimo Concettuale, drammaticamente identificantesi in una temperie politica che si voleva cancellare o almeno mettere un po’ a riposo.

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da sinistra,  Enzo Cucchi > Mimmo Paladino

 

::: continuazione nell'articolo I Vedenti-1 :::

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