Il gioco d’ombre della canadese Crystal Pite al Teatro
Piccolo Arsenale
Dark Matters della coreografa Crystal Pite va in scena con la compagnia
Kidd Pivot Frankfurt RM al Teatro Piccolo Arsenale il 30 maggio 2010 in
occasione del 7 Festival internazionale di danza contemporanea della
Biennale di Venezia. È un’altra occasione per il pubblico veneziano e non,
di assistere ad uno spettacolo di matrice canadese. Le scenografie ricercate
spaziano dalla costruzione di ambienti domestici alla spersonalizzazione di
uno spazio scuro. I corpi sono uno strumento per esprimere il dialogo
continuo tra luce e oscurità. Abiti neri, volti coperti, rinuncia
dell’identità, sono tratti distintivi dei performers che si muovono sulla
scena con assenza e silenzio come ombre. Il primo tempo dello spettacolo
sfrutta queste immagini, visibili nel bizzarro combattimento tra l’uomo e la
marionetta da lui generata; i fili mossi dai danzatori-ombra, danno vita al
piccolo mostro assassino. “It’s fate”… è il destino dell’uomo che crea
sempre qualcosa di ingestibile; ma il dubbio è svelato: “it’s fake”… in
realtà è finzione, concreta e visibile fino alla caduta rumorosa della
struttura scenografica. Dall’esperienza importante nella compagnia di
William Forsythe, la Pite riprende il bisogno di utilizzare lo spazio con
chiarezza; i suoi danzatori non ignorano i nine points teorizzati da Rudolf
Laban, nove punti nello spazio iscrivibili all’interno di un solido
geometrico. Idealmente il danzatore-ombra ed il danzatore-uomo, si muovono
con la pulizia e la decisione attraverso questi assi spaziali, disegnando
una vera e propria mappatura del corpo umano. Tra tecnica di derivazione
neoclassica e sperimentazione contemporanea, la scena diventa uno spazio di
incontri; ad assoli dinamici seguono passi a due intensi, fino a ritrovare
una forte accumulation nelle fasi di crescendo. Tipiche dell’hip-hop sono le
decentralizzazioni del corpo con cambi netti di qualità di movimento che
trovano una perfetta sinergia con la partitura musicale di Owen Belton. La
disarticolazione del corpo è presente in ogni movimento, grazie al concetto
della manipolazione che persiste per tutto lo spettacolo; i danzatori si
manipolano a vicenda creando un movimento plastico ma fluido. I développé
non sono un pretesto estetico, ma una naturale conseguenza del flusso
coreografico, come qualsiasi altro passaggio tecnico che sia formalizzabile.
Altra contaminazione presente nel lavoro della Pite è il floor–work,
linguaggio corporeo che sfrutta il partnering con il suolo, che diventa un
mezzo essenziale per esprimere il dialogo spaziale tra pieni e vuoti. I
danzatori si relazionano al suolo con atteggiamento felino, adagiandovisi
grazie ad un lavoro tecnico che prevede l’uso della muscolatura profonda e
del bacino come centro motore del movimento. Sembra di assistere ad una
performance sulla luna; la gravità è contrastata dal modo soft di essere
accolti dal pavimento. Ogni caduta è in realtà un recupero di energia che si
inserisce in un fluire dinamico e mai uguale a se stesso. Tra il pubblico
anche
Jiri Kylian, che qualche giorno prima aveva assistito al Malibran alla
rappresentazione delle sue opere: Bella figura e Six dances. |