64.ma mostra internazionale d'arte cinematografica
 

KITANO Takeshi
Glory to the Filmmaker!
Giappone, 104’
fuori concorso
 

di Marco GROSOLI

 

Beat Takeshi, sdoppiato per tutto il film in un pupazzo uguale a lui (che ogni tanto prende il suo posto), non sa che film fare. Prova a fare un film alla Ozu, un film d'amore, un film sulla sua infanzia, un film d'orrore, ma tutti (puntualmente visualizzati sullo schermo a pezzi e bocconi) falliscono. Poi pensa a un film di fantascienza che ci illustra tutto: di fantascienza ha solo i primissimi e ultimissimi minuti, il resto è la commedia più assurda, decerebrata fino all'imbarazzo, che si possa immaginare.
Il meccanismo metafilmico, e gli sdoppiamenti del caso, sono quelli del geniale e incompreso "Takeshis". Ora però, in modo forse appena meno folgorante del film precedente, Kitano si concentra sull'arresto, l'interruzione, l'impossibilità (e quindi la morte), gli si arrende, e fa l'unica cosa che se ne può farne: giocare.

Nella prima parte, svariati moncherini di film che si interrompono, che soccombono all'imbarazzante inanità di "fare un film", che si arrendono alla morte incombente dall'esterno (e infatti, il problema del suo personaggio - e del suo pupazzo - è proprio che non riesce a fare film senza violenza).

Nella seconda parte, il film va, perché l'interruzione viene introiettata e incarnata nella gag: il film diventa così un susseguirsi disarmante di elementari, per non dire infantili, scintille comiche, intorno a cui c'è il vuoto; la morte non è più un aggressione dall'esterno (che blocca il film) ma uno slittamento dentro ogni singolo esterno, dentro l'evidenza di ogni semplicissimo istante. Tutte le gag imperniate sulla madre e figlia protagoniste variano appunto lo stesso canovaccio su una cosa che sta lì davanti al naso e i personaggi non riescono a cogliere.
Così, la distruzione finale che travolge tutto e tutti - perlomeno tutti i set dei film immaginari - non è affatto nichilista. Anzi, ribadisce che la risata è l'unico scampo alla catastrofe, perché è in qualche modo la catastrofe stessa nel suo portato distruttivo, nel suo essere essenzialmente frattura - la situazione (una situazione qualunque) che vista nella sua nudità rivela automaticamente la propria inconsistenza. Anche nella più semplice delle cose si annida la duplicità, la contraddizione, il conflitto: non resta che passare con spensierata disperazione dall'interruzione che è la morte all'intermittenza che è la risata, come Kitano attore che continuamente e improvvisamente si scambia di posto col suo pupazzo.

 

VOTO: 28/30

 

L'intervista a Kitano Takeshi