64.ma mostra internazionale d'arte cinematografica |
KITANO Takeshi |
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Beat Takeshi, sdoppiato per
tutto il film in un pupazzo uguale a lui (che ogni tanto prende il suo
posto), non sa che film fare. Prova a fare un film alla Ozu, un film
d'amore, un film sulla sua infanzia, un film d'orrore, ma tutti
(puntualmente visualizzati sullo schermo a pezzi e bocconi) falliscono. Poi
pensa a un film di fantascienza che ci illustra tutto: di fantascienza ha
solo i primissimi e ultimissimi minuti, il resto è la commedia più assurda,
decerebrata fino all'imbarazzo, che si possa immaginare. Nella prima parte, svariati moncherini di film che si interrompono, che soccombono all'imbarazzante inanità di "fare un film", che si arrendono alla morte incombente dall'esterno (e infatti, il problema del suo personaggio - e del suo pupazzo - è proprio che non riesce a fare film senza violenza).
Nella seconda parte, il film
va, perché l'interruzione viene introiettata e incarnata nella gag:
il film diventa così un susseguirsi disarmante di elementari, per non dire
infantili, scintille comiche, intorno a cui c'è il vuoto; la morte non è più
un aggressione dall'esterno (che blocca il film) ma uno slittamento dentro
ogni singolo esterno, dentro l'evidenza di ogni semplicissimo istante. Tutte
le gag imperniate sulla madre e figlia protagoniste variano appunto lo
stesso canovaccio su una cosa che sta lì davanti al naso e i personaggi non
riescono a cogliere.
VOTO: 28/30
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