64.ma mostra internazionale d'arte cinematografica
 

Tim Burton
Leone d’oro alla Carriera 2007

Tim BURTON e Henry SELICK
SWEENEY TODD/

Nightmare Before Christmas 3D
 

di Gabriele FRANCIONI

 

1. La rivelazione del 3-D in NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS

 

Come dei perfetti movie-goers degli anni ’50, inforchiamo i rigidi occhiali 3-D della Disney senza alcuna speranza di tornare bambini, come zio Tim vorrebbe. Evidentemente, però, non abbiamo fatto i conti con il potere immaginifico dell’universo burtoniano, che fagocita anche i produttori, li coinvolge e li spinge fino a sforzi (leggasi investimenti) inverosimili per presentare i suoi lavori, di qualunque tipo/durata essi siano, perché ne risveglia l’eterno fanciullo, il peterpan o quello che meglio riteniate rappresenti la condivisa, immortale voglia di giocare, the will to play. Incredibilmente la magia si avvera: alcuni prismi molto simili al monolito della moderna odissea kubrickiana e, in breve successione, una zucca di Halloween, vengono verso di noi e ci fanno in qualche modo sobbalzare sulla sedia della Sala Grande.

Tutto ciò grazie a una nuovissima tecnologia elaborata dalla Disney: un solo proiettore invia immagini alternate per i due occhi alla frequenza di 144 volte al secondo(!).

Il primo ragionamento indotto da ciò è che il cinema in sala ha ancora un senso, perché non c’è nulla che ripaghi questa esperienza multisensoriale di primordiale godimento, anche dovessero inventarne la versione domestica.

Stabilito anche che NON tutti i film guadagnerebbero dalla fruizione in 3-D, segnatamente quelli in cui il paesaggio in background NON si costituisca a mo’ di ulteriore personaggio sulla scena, e detto anche dei costi non indifferenti, è però chiaro che siamo veramente di fronte a un universo di nuove possibilità che, ora più che mai, va preso in serissima considerazione.

NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS era stato concepito originariamente (1993) da Tim Burton per questo tipo di fruizione e, in questa nuova versione, si avvale di una tecnologia di recente elaborazione - il “Disney Digital 3D” - già utilizzato per CHICKEN LITTLE.

Qui si tratta, però, di qualcosa di più complesso e arduo, poiché la pellicola analogica e bidimensionale del 1993 è stata convertita, fotogramma per fotogramma, in un film digitale tridimensionale.

Burton merita queste attenzioni anche da parte dei produttori, perché è uno dei pochissimi registi realmente trasversali, amati incondizionatamente da ogni tipo di pubblico e critica, in grado da sempre di spaziare dalla profondità delle indagini introspettive (prima di BIG FISH, il cosiddetto film “della maturità”, c’erano già stati EDWARD SCISSORHANDS e ED WOOD) al blockbuster alternativo (BATMAN I & II, PLANET OF THE APES) sino alla fiaba solo apparentemente adolescenziale (FRANKENWEENIE, CHARLIE & THE CHOCOLATE FACTORY) alla animazione filosofeggiante (THE BRIDE CORPSE, NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS).

Il film appena rieditato, tanto per fare un esempio da veri fan del culto burtoniano, viene da anni proiettato ad Halloween nello storico “El Capitan Theatre” di Hollywood.

A nemmeno 50 anni Burton è una rara summa di generi e ispirazioni, che in altre epoche del cinema s’incarnavano in vari registi, mentre a noi è concesso il privilegio di viverli tutti insieme, “in diretta” e in film singoli.

L’arte di questo frankenstein del cinema, lui stesso collage vivente, va costruendosi da sempre su alcune tra le pulsioni primarie dell’essere umano: su tutte, il desiderio di paura, la voglia d’intrattenimento puro come catarsi e l’“outing vicario” del lato freak che è in tutti gli esseri umani. Sulla natura gothic del suo cinema, meglio, sulla presunta dominante di questo elemento, invece, ci sarebbe da discutere e il dibattito è aperto, perché c’è chi vuole vederlo ovunque e a tutti i costi.

 

è vero che anche SWEENEY TODD sembra tornare a un arredo/ambientazione gotici, anche se in misura molto minore rispetto a SLEEPY HOLLOW, ma è altrettanto inconfutabile che, proprio dal film del 1999, Burton abbia aperto la sua arte a nuovi ragionamenti, o rimuginamenti interiori, che sembrano portarlo ancor più indietro, oltre la sua personale natura di artista peterpan, ben oltre la sua “memoria adolescenziale”, sino a una più estesamente condivisa tradizione del racconto fiabesco (CHOCOLATE FACTORY, non a caso un remake) o, come sottolineato da Franco La Polla, addirittura sino al primordiale folklore americano delle tall tales (le balle, le panzane presenti nella tradizione orale), che sarebbe alla base di BIG FISH.

NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS è diventato in breve tempo il film-monolito per la nuova generazione di autori di anime occidentali, inaugurando il ritorno d’interesse per l’animazione (in generale) e la tecnica dello stop motion (in particolare).

ALADDIN uscì appena prima, LION KING venne dopo e già sembravano (entrambi Disney) preistoria rispetto a N.B.C. Nessuno può dire di NON dovere qualcosa a quest’opera d’arte, che ha sicuramente ispirato o confermato nella loro vocazione molti dei talenti della Pixar (ex-costola disneyana) e forse anche qualcuno della famiglia “Dreamworks”.

Come JESUS CHRIST SUPERSTAR è il film che si vede (o perlomeno passa in tv) a Pasqua, così N.B.C. è diventato appuntamento imprescindibile ad Halloween, costituendo con quello di John Carpenter una coppia di titoli per certi versi complementari. Come Carpenter, anche Burton è un artigiano del cinema, nell’accezione alta del termine, e uno dei pochi, se non l’UNICO ad essere difeso e protetto dalla propria Major.

Nella visione 3-D il film acquista una profondità che non è solo di campo, come ovvio (le vertiginose altezze delle scalinate in pietra, la fisicità degli alberi, i personaggi disposti su piani quasi sempre differenti, le scene di massa etc.), ma di senso, poiché lo ri-vediamo e ri-analizziamo, a posteriori, tenendo presente il cinema più recente del genio americano.

La profondità del 3-D dà corpo e realtà ai personaggi: ora tendiamo a considerare Jack Skeletron un parente stretto di Willy Wonka, il pifferaio magico, il Virgilio che ci introduce entro nuove dimensioni percettive o, più in generale, nel nuovo mondo della nostra psiche vista sub specie fantastica.

Come semplice ispirazione visiva, poi, N.B.C. ha senza dubbio ispirato l’albero di SLEEPY HOLLOW, antropomorficamente piegato come le decine di alberi visti nel film del ’93.

 

 

2.SWEENEY  TODD

 

L’estratto da SWEENEY TODD, mostrato in Sala Grande dopo un favoloso montaggio di altri exempla dall’intera filmografia di Burton (se ne dovrebbe ricavare un mini-dvd), è di per sé sufficiente per confermare la variabile e multiforme continuità delle sue fonti d’ispirazione. Trattando gli sviluppi più recenti del suo cinema avevamo dimenticato di citare la passione per il musical, che dopo essersi palesata in N.B.C., THE CORPSE BRIDE e CHOCOLATE FACTORY, qui costituisce l’essenza del film: un horror-musical a 360 gradi.

Depp e Bonham-Carter, nella breve scena immersa in un cupo, magistrale color seppia e piena, qui sì, di atmosfere gothic, prima dialogano sull’elemento cardine del film (la vendetta per l’ingiustizia subita dal barbiere Todd, accusato e imprigionato senza motivo), quindi si lanciano in un fantastico duetto cantato, che in breve diventa a solo di Depp, già cantante in CRY BABY, mentre per la moglie di Burton si tratta di un esordio assoluto.

Immerso in una lugubre soffitta, il protagonista impugna una coppia di rasoi, immediatamente identificati come fratelli delle mani di forbice, e a loro chiede di partecipare alla vendetta: non si era mai vista, ma in Burton queste invenzioni sono consuetudine, una preghiera cantata a dei rasoi !

Stupefacente e, subito dopo, sorprendentemente citazionista: lo zoom all’indietro, che grazie a un effetto della computer graphic ci fa uscire dal lucernaio posto sul tetto, è del tutto simile agli analoghi movimenti a entrare e uscire dagli appartamentini bohémienne di MOULIN ROUGE, in particolar modo all’inizio di quel film.

Nessun altro regista riuscirebbe a convincere i propri produttori a far uscire il giorno di Natale un “horror” su un barbiere che si trasforma in serial-killer, con moglie cuoca intenta a preparare cannibaliche torte ripiene di carne umana…

Nessun altro regista sarebbe in grado di affrontare una serie consecutiva di remake (WILLY WONKA dopo PLANET OF THE APES e, volendo, questo stesso SWEENEY, preceduto da una versione cinematografica del 1936 e due recenti riduzioni televisive) o adattamenti da musical (come in questo caso: “Sweeney Todd, the Demon Barber of Fleet Street”, lo spettacolo musicato nel 1979 da Stephen Sondheim) che avrebbe annullato le capacità espressive e l’inventiva di chiunque.

Non la sua, elastica, plastica, polimorfa, in grado di possedere ogni materia e piegarla ai desideri del suo genio.

Nessun altro regista sarebbe capace di piegare, ancora, un Sacha Baron Cohen ad esigenze artistiche precise destinate a relegarlo in un ruolo non da (debordante) protagonista.

Ogni cosa, ogni attore, ogni soggetto in mano a Burton diventa plastilina, pongo per infinite ri-creazioni fantastiche.

 

08/09/2007

VOTO: 30/30 e lode

 

 

PS.: La premiazione

 

Immersi tra una non indifferente quantità di persone che nulla c’entrano col cinema (è vero, gli eventi serali in Sala Grande hanno sempre questo sapore ed è giusto lasciar spazio anche ai ragazzini e ai Soliti Noti, ma questa volta, tra pameleprati bardate a festa - che c’azzecca ??? - e imbucati veneziani con blocchetto di inviti per mogli e parenti vari, si è superato il limite!), pensiamo ai giornalisti esclusi dalla premiazione del Leone d’Oro e ai veri appassionati di Burton che stazionavano davanti al Palazzo del Cinema e non sono potuti entrare.

Urge il nuovo Palazzo, con 12, 20 sale e un’enorme Nuova Sala Grande, in stile Auditorium del Parco della Musica a Roma, se non altro per evitare queste figuracce.

Johnny Depp esibisce la consueta timidezza nervosa e dichiara candidamente, anche se indirettamente, il suo segreto desiderio di trovarsi altrove.

Fugge appena dopo aver consegnato, ma senza ritualità alcuna, il Leone a T.B., per il quale ha parole importanti: “Il regista che stimo di più e sicuramente anche il mio miglior amico”.

Burton, dal canto suo, freakeggia con stile: i capelli ricordano tanto i rami torti di N.B.C. e il viso ha effettivamente un che di J. Skeletron…

Entrambi molto sottotraccia, se la svignano in un attimo.

 

L'intervista a Tim Burton