63ma mostra del cinema di venezia

 

WHEN THE LEVEES BROKE

di Spike Lee

 

Orizzonti

 

di Gabriele FRANCIONI

US versus the U.S.
CAPITOLO 2

"When the LEVEES", non "when the LEAVES", innanzitutto. Anche il programma ufficiale e definitivo ripropone ostinatamente la versione scorretta, che è semplicemente omofona di "leaves", foglie, ma basta conoscere un paio di canzoni (dei Led Zeppelin, di Don Mc Lean) per sapere che si tratta di argini, barriere.
Barriere spezzate, fiumi umani che tracimano verso un altrove che qualcuno provvede a rendere inaccessibile o a preparare come una trappola per topi. Topi scuri, incazzati, pronti a mordere qualunque cosa e a saccheggiare i resti di una città abbandonata, certo, dal destino, ma principalmente vittima di un difetto di fondo: New Orleans, come ogni altro piccolo o grande ghetto nero, non porta voti alla destra repubblicana, non è funzionale a nulla, non serve e, nel momento del bisogno, ritorna ad essere pezzo d'Africa sovrapposto, giustapposto al territorio dei bianchi.
Seguendo un ragionamento paradossale potremmo dire che l'uragano Katrina ha fatto più danni (morali, s'intende) alla white culture che a quella nera, ridefinendo, al contempo, l'onda emotiva causata dal 9/11.
Mentre, infatti, migliaia di colored morivano anche per colpa di argini mal costruiti dalla municipalità bianca, nonostante un progetto vecchio di 40 anni, l'amministrazione Bush si preoccupava di inviare nuovi contingenti in Iraq, lanciando un chiaro segnale al mondo e agli statunitensi allibiti: esiste anche un'America povera che non c'interessa perché non è forza lavoro trainante e, se vota, pende dalla parte dei democratici, quindi risolva la situazione da sola o al massimo con l'aiuto dell'amministrazione locale (anch'essa sorda e cieca), ma non conti sulla Guardia Nazionale e sull'esercito.
Spike Lee, in una fase di straordinaria sintesi creativa dopo l'impasse di qualche anno fa, separa scientemente prodotto di massa zeppo di sottintesi (INSIDE MAN) e dissezionamento chirurgico del cadavere StatiUniti, sottoposto a una lucida e spietata autopsia condotta attraverso l'approccio docu-fiction dello straordinario SUCKER FREE CITY (San Francisco) o il taglio indagativo, serrato, spietato di questa indagine thriller sul disastro di New Orleans, montata in un anno scarso di lavoro.
La divisione del lavoro in due settori ben definiti ha fatto chiarezza all'interno della sua produzione: quando ha tentato, sempre in tempi recenti, l'intersezione tra i due piani di attività, ha prodotto un capolavoro (THE 25TH HOUR) e una pellicola irrisolta (SHE HATE ME).
Grazie anche alla HBO, che insieme a VH1 nel caso di THE US vs JOHN LENNON (vedi recensione,
N.d.R.) rappresenta ormai la nuova frontiera, o salvezza, per i registi indipendenti, Lee ha avuto carta bianca realizzando quello che è, insieme a AN AMERICAN FAMILY e UN'ORA SOLA TI VORREI, il capolavoro tra i documentari di nuova generazione.
Il taglio è quello dell'incalzante inchiesta, che riporta la scena agli ultimi giorni dell'agosto 2005, sdoppiando i piani percettivi del disastro: l'obscaenitas, la pornografia visiva della morte in azione che va costruendosi in dettagli insostenibili, ma straordinariamenti evocativi, emozionanti, necessari, e che è contenuta nei footage più o meno amatoriali versus la gelida ricomposizione, da teatro di posa, del dramma nei vari telegiornali locali e nazionali, colpevoli di aver cancellato le immagini sgranate color seppia (i corpi dei neri, l'acqua fangosa, il legno degli alberi) con i blu e i gialli acidi di Katrina in fase di formazione e poi crescita sui monitor dei computer, o con l'insopportabile split screen tipicamente american-Tv dei collegamenti con gli inviati sul posto.
In questo contrasto sta il senso della contraffazione messa in atto dal cinema e dalla televisione, capaci addirittura di spacciare uno
studio di posa illuminato male per la superficie lunare di un'impresa mai avvenuta (e il vero intento non era tanto battere sul tempo i sovietici, quanto distrarre l'attenzione dal Viet Nam), e quindi abilissimi a seppellire la scomoda tragedia dell'enorme
ghetto di New Orleans sotto un'altra ondata, altrettanto nefasta, fatta questa volta di schermi elusivi, false verità, ipertrofia della narrazione giornalistica che copre con le parole la colpevole, progettata assenza d'immagini.
Spike Lee monta in pochi mesi una quantità di materiali che bruciano, tanta è la forza contenuta, realizzando una specie di reportage a posteriori, ma ancora attualissimo, sugli eventi di 12 mesi fa.
Il regista è convinto, a ragione, di poter tener sveglia l'attenzione sulle tappe delle via crucis iniziata allora, garantendo un'ininterrotta catena di aiuti a chi è rimasto sul posto e a chi è stato dislocato altrove (in genere i più giovani) per trovarsi una qualche occupazione e che, integrato a tappe forzate, non vuole tornare indietro. La televisione definì refugees gli sfollati, quasi fossero stranieri in patria, figli di un dio dannatamente e reiteratamente minore, discendenti degli schiavi e come quelli trattati nel nuovo esodo, questa volta dal Sud verso il Nord del nuovomondo.
Il mondo nuovo non è Crialese, è Katrina, sono i bianchi di discendenza francese preoccupati per il loro pick-up e non della marea nera che abitava sotto il livello del mare; è Condoleeza Rice che fa shopping di scarpe mentre il suo popolo cammina scalzo sul letto d'asfalto di un fiume che prima non c'era; il mondo nuovo è l'immondo presidente di 2/3 di americani, che si merita un'altra Katrina mentre è in volo con l'Air Force One o un altro uragano, magari soprannominato"Lady Vengeance", che faccia piazza pulita del suo ranch mentre è lì che caccia anatre.
 

Voto: 30++/30

09:09:2006

63ma mostra del cinema di venezia

 

WHEN THE LEVEES BROKE

di Spike Lee