tribeca film festival
25:04/06:05:2007 new york |
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Fondato l’anno dopo l’attentato alle Twin Towers, grazie all’opera di personaggi del calibro di Robert De Niro, Craig Hatkoff e Jane Rosenthal e con lo scopo dichiarato di recuperare fondi per la ricostruzione, il Tribeca Film Festival non poteva che diventare un evento assolutamente imperdibile, un momento in cui, al solito in USA, arte e merchandising si fondono alla perfezione generando qualcosa di ibrido tra cuore pulsante di creatività e disincantato manifesto pubblicitario. Basti pensare all’imponente presentazione americana dell’ultimo arrivato in casa Spiderman 3, che ha previsto un evento già in sé straordinario: l’elargizione gratuita da parte di un centinaio di ristoranti in tutta Manhattan di porzioni di pizza in onore del prossimo nascituro. Questo a patto che i suddetti siano stati tappezzati di posters, immagini e quant’altro abbia sponsorizzato il film ai suoi consumatori. Questo sì che vuol dire fare marketing. E noi che pensavamo di aver capito tutto di retorica e strategia pubblicitaria.
A parte trovate peculiari come questa, il Tribeca pulsa davvero di arte e sangue cinefilo. Non per nulla in poco più di cinque anni è diventato il festival più importante di tutti gli States. Una selezione di più di 150 lungometraggi e più di 80 corti, film importati dal nostro festival romano nuovo di zecca (Napoleon and Me di Paolo Virzì, The Orchestra Of Piazza Vittorio di Agostino Ferrente, The True Legend Of Tony Vilar di Giuseppe Gagliardi, The Golden Door di Emanuele Crialese, per citare i nostri) e poi interviste con attori (Forrest Whitaker, Andy Garcia, Rosario Dawson, Lucy Liu, Eva Mendes, Monica Bellucci, Hope Davis, Luke Wilson, Sarah Michelle Gellar, Ben Kingsley, Robert Downey Jr. e Jean-Pierre Darroussin), registi e produttori da ogni parte del mondo (Michael Apted, John Dahl, Patrice Leconte, Shane Meadows, Goran Paskaljevic e Carlos Sorin), Special Events tra cui immagini e filmati inediti di Marlon Brando ed eventi musicali come quello con DJ Spooky (che ha intrattenuto la platea con uno spettacolo intitolato, in un revival griffithiano, Rebirth of a Nation). Ma probabilmente la sorpresa più gradita del festival di quest’anno è stata proprio la presenza italiana, e con la proiezione di film tutti accolti in maniera entusiastica da un pubblico eterogeneo eppur compatto (per non parlare dell’esibizione dell’Orchestra di Piazza Vittorio, gruppo musicale che con la sua multiforme composizione –immigranti da tutto il mondo- ben riassume quello che è anche lo spirito più intimo della Big Apple, convivenza, mescolamento e platealità), e per quanto riguarda la presenza di un coro di differenti voci italiane, vedi quella sintomatica nella sua originalità di Paolo Cherchi Usai. Il critico, di cui ricordiamo “L’ultimo Spettatore”, manualetto di poche (ma buone) pagine volte a sintetizzare il trend attuale del cinema al tempo della “morte del cinema”, è intervenuto al festival con la sua ultima creazione, un film sperimentale nato proprio dalle suggestioni del libro e particolarmente incline alle linee d’avanguardia visive e sonore. Un film suggestivo, PASSIO, anche in virtù del luogo dove è stato proiettato (la cattedrale di St. John The Divine i primi due giorni, la Trinity Church l’ultimo) dove la presenza di una orchestra dal vivo ha fatto il resto. Come lo ha definito il regista, il film vuole essere un unico “oratorio for moving image and sound”, oltre che una drammatica meditazione sull’intimo, puro atto del vedere. Girato in 35 mm e b/n, il film con la musica della Passione di Arvo Pärts (acclamata come uno dei capolavori musicali del ventesimo secolo) ha la dichiarata ambizione di manifestare la “neglected or repressed memory of the human race during this era”. Un obiettivo non da poco.
Sfogliando il programma cartaceo del festival alla prima pagina troviamo il “Tribeca Puzzle”, simpatico quanto beffardo modo per tastare il proprio IQ in fatto di Movie Lovers. Il centinaio di film che segue il manualetto confonde e complica la già di per sé dura decisione di cosa andare a vedere, non tralasciando di considerare la distanza dei vari movie theatres gli uni dagli altri. I quartieri coinvolti dal festival infatti, oltre al famoso Tribeca che vi dà il nome, sono quelli adiacenti la zona sud di Manhattan, ovvero Chelsea, Upper West Side, East Village, e Midtown. Impossibile cambiarne più di due a giornata, previa accurata mappatura del percorso via subway. Per questo probabilmente si tratta di una manifestazione da seguire quotidianamente, dall’inizio alla fine; il rischio di dispersione tocca anche il più incallito cinèfile.
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