torino film festival

30.ma edizione

 

Torino, 23 nov  / 01 dic 2012

 

 

INTERVISTA DOPPIA a
Mario Balsamo (regista) e Guido Gabrielli
ideatori e interpreti di

noi non siamo come james bond

 

di Claudia CASSOTTI

KINEMATRIX  Com’è stato il processo di elaborazione per raccontare in un film le vostre malattie?

 

GUIDO Tutto è partito da un’esigenza di Mario, per raccontare il suo disagio post-malattia: un tumore allerta inevitabilmente tutta una sfera esistenziale a cui è difficile dare un senso. Il nostro era un vecchio progetto, di quelli che si dicono a vent’anni e che poi si perdono nella memoria. Un giorno ero al telefono in cucina e gliel’ho ricordato: l’effetto sul suo umore è stato immediato e non mi potevo più tirare indietro. Io ho raccontato la mia storia emotiva, la trasformazione; mi sono concentrato, senza pudore e senza rivedere o ascoltare nulla per tutto il girato. La prima volta che ho visto un pre-montato è un momento che è stato inserito anche ‘nel film’, dove mi sono arrabbiato per aver visto delle scene che credevo non fossero state girate. Ho passato la notte pensando che avrei voluto far saltare tutto perché mi sentivo ingannato. La mattina dopo ho visto Mario e ho capito che era meglio accontentare un amico e lasciare tutto così com’era. è stato faticoso, ma sono felice così.
MARIO
è l'unica cosa che so fare, raccontare storie. Ho cominciato a raccontarla a me stesso, la vicenda del mio tumore. Seduto sul divano di casa mia, con la sacca del drenaggio post-operatorio ancora infilata nella coscia. All'inizio ho cercato di trovargli un nome. Il primo era sbagliato: disco volante. No. Un cancro maligno non viene da un altro pianeta. è roba interna. Pulsante. Gli facevo delle domande, per aiutarmi a narrare la sua/mia storia, ma mi rispondeva poco.  Così ho pensato di girarle a Guido, che è il mio amico più vicino, forse il fratello maggiore che non ho mai avuto. Perché Guido un tumore ce l’aveva già avuto, nel ’95: una leucemia fulminante, da cui i medici per primi si erano stupiti fosse sopravvissuto. Al telefono, come sovrappensiero, gli ho detto: e se ci facessimo un film, sulle nostre malattie? E lui, per tutta risposta: “... Un film l’avremmo già dovuto realizzare… Ce l’eravamo detti in Islanda, nel viaggio del 1985. Ricordo perfino il titolo: Noi non siamo come James Bond. In quegli anni Bond (per noi, inevitabilmente, Sean Connery) sembrava che ci guardasse dall’alto del suo smoking ingualcibile e dalle stanze d’hotel piene di stelle, che non sarebbe bastata la nostra fatiscente tenda canadese a contenere, né le nostre magliette sozze. Avevamo vent’anni, andavamo all’avventura e l’agente segreto di Sua Maestà (che incrociavamo nei cinema di mezz’Europa) sembrava deriderci. Io credo nelle coincidenze. Allora, finita la telefonata con Guido, è bastato un attimo per rendermi conto che Noi, ancor più adesso, non siamo come James Bond. Lui ringiovanisce, noi invecchiamo; lui è immortale, noi siamo (stati?) a braccetto con la morte. Così è partito l'On the Road, ventisei anni dopo, mettendomi in scena insieme a Guido: a guardare i soffitti della sala Tac come fossero un tramonto al mare; un affettato misto in trattoria; le onde irresistibili di Sabaudia; suonando (lui) e raccogliendo i soldi (io) per le strade di Perugia durante Umbria Jazz; condividendo le telefonate folli a Sir Sean…
 

A un certo punto hai iniziato a credere che la tua malattia potesse essere la tua forza?

 

G Non nel film. La mia malattia in un certo senso è un continuum quotidiano, fa parte della mia famiglia, è il mio maestro.
M
Senza dubbio. L'ho pensato soprattutto durante questo viaggio sghembo. Ed è così! Molti (che non hanno passato la malattia) pensano che il 'dopo' sia una passeggiata. Che una volta uscito dalle cure, il peggio sia finito. Non è così. Anzi, spesso è il contrario.
è lì che ti ritrovi di fronte a un puzzle che era in fase (bene o male) di avanzata realizzazione e su cui si è scatenata una bufera. Poi guardi meglio e quei pezzi ti suonano conosciuti: sono i frammenti della tua vita, sparsi per ogni dove. Comunque modificati. Alcuni anche spariti! Di fronte a tale 'visione' avevo due strade: deprimermi o dire: "Vediamo che mosaico nuovo e, al tempo stesso familiare, viene fuori ora". Ho scelto la seconda via. Certo, ho avuto degli ottimi accompagnatori: il mio migliore amico Guido, l'imprendibile Sean e il film in cui tutto questo (senso) si componeva...

Nel film avete inserito momenti di discussione, ma anche momenti in cui si vede una sincera serenità e complicità in quello che state vivendo. In sostanza quanto vi siete divertiti a girare questo film?

 

G Esattamente come nel film, nella nostra vita. La forza del racconto sta nella autenticità e nella forte affettività, non potrei immaginare un amico più diverso da me e più complice.

M Io mi sono molto divertito, e credo anche Guido (anche se non lo ammetterà mai!). Ma ci sono stati molti momenti di acuta tensione, perché io e Guido, caratterialmente, insieme, produciamo invisibili, ma tangibili scintille: nella stessa misura di quando andavamo in viaggio da giovani. Gemelli a tutti gli effetti diversi, opposti direi. Per esempio, quando ci sono passaggi di frizione, io tendo a litigare e a gridare tutto fuori, lui invece ammutolisce e prende delle fastidiosissime, silenti, distanze! Insopportabile! Il problema è che questa volta io non potevo gridare. Sono uno di quei registi che la storia la vuole assolutamente raccontare con tutti i conflitti drammaturgici del caso, ma riconducendoli dentro un percorso narrativo unico, appianando i problemi che inevitabilmente sorgono. Ma le mie rivincite nel film me le sono prese, e le ho anche montate, ma per scoprirle s'ha da vedere la pellicola! (strizza l’occhio) Però ho anche ingoiato parecchi rospi. Uno per tutti: nel primo viaggio insieme, da adolescenti, io e Guido giocammo a rigori, trovando un pallonaccio sgonfio in un campo di calcio semi-abbandonato e malmesso in Scozia. Io vinsi (la prima volta che vincevo una competizione sportiva con lui) ma lui ha sempre negato la mia vittoria! Incredibile! Una delle scene del film è stata: ripetere quei rigori. E, indovina? Ho vinto di nuovo io! Giustizia è fatta... Poi, però, per motivi di filo narrativo, il regista Mario ha detto al protagonista Mario: questa scena non ci sta!! E così l'ho tagliata e la si vedrà solo negli extra del dvd. (sorride)

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Torino, 23 nov / 01 dic 2012