MAREMETRAGGIO
Festival Nazionale de Cortometraggio

Trieste 4-9 Luglio 2001

a cura di Loris SERAFINO



INCANTESIMO TRIESTINO
Intervista a Luca Miniero regista,
insieme A Paolo Genovese, di
PICCOLE COSE DI VALORE NON QUANTIFICABILE

Per qualche secondo il pubblico è ammutolito, poi è scattato un applauso lungo e caloroso. Questo è l’effetto provocato dalla proiezione del corto PICCOLE COSE DI VALORE NON QUANTIFICABILE di Luca Miniero e Paolo Genovese. Tra le tante belle cose viste al Festival di Trieste, l’opera dei due giovani napoletani ha incantato la platea, nel vero senso della parola.

Questa è la storia di una ragazza che si reca in una stazione dei carabinieri per denunciare il furto dei propri sogni. Si, proprio così. Con gli occhi lucidi ed una recitazione sentita la giovane (interpretata da Fabrizia Sacchi) inizia a descrivere le circostanze del furto, difficilmente quantificabile, dei sogni depositati fin da quando era ragazzina in una piccola parte del suo cuore, dando il via ad un dialogo apertamente surreale, in cui a tratti anche si ride soprattutto quando la cinepresa passa sul maresciallo dei carabinieri (interpretato da Gianni Ferri) intento a scrivere il verbale sul furto con meticoloso mestiere e puntiglio burocratico ma anche dimostrando una “paterna” comprensione per le sorti della giovane. Cosi tra il serio e il faceto si sviluppa il corto per quasi tutta la sua durata che è di circa dieci minuti, fino ai pochi secondi di un finale tanto inaspettato quanto chiarificatore. Perché pochi secondi bastano ai due bravi autori per esaltare le doti espressive di un genere che fa della sua brevità il suo punto di forza e perché questo è il lasso di tempo necessario al maresciallo per leggere il verbale finale e per gettare luce su chi e come abbia perpetrato con violenza il furto ai danni della ragazza, realtà ancora più tragica perché consumata all’interno delle mura domestiche.

Appostati davanti all’Hotel Continental siamo riusciti ad incontrare e ha fare una chiacchierata con uno dei due registi del corto, Luca Miniero. Napoletano di 34 anni, di professione pubblicitario, tre anni fa ha deciso di dedicarsi anche al cinema, insieme al suo amico e collega Paolo Genovese con cui ha ideato e realizzato tre corti e un lungometraggio. Porta bene i suoi anni e dietro lo sguardo sicuro e l’atteggiamento accomodante non riesce a camuffare quel pizzico di controllata modestia di chi sa di aver realizzato un’opera capace di conquistare. “Non eravamo interessati a realizzare un film di denuncia su questo tipo di violenza, quanto piuttosto mostrare un confronto, il contrasto tra il sogno rappresentato da lei e la realtà rappresentata dal maresciallo”. Sarà, ma è altrettanto vero che i due conoscono bene il mestiere di manipolare le emozioni dello spettatore con il mezzo cinematografico. “Volevamo fare in modo che lo spettatore in un certo senso si vergognasse, prima facendolo ridere e poi mettendolo di fronte alla realtà, ma allo stesso tempo non volevamo prenderlo in giro. Quando si crea un dialogo con lo spettatore è giusto dare dei segnali affinché esso sia in grado di presagire la conclusione del “giallo”. E questo era il senso di alcuni passaggi della prima parte del film, quella del dialogo tra i due nella stazione dei carabinieri. Non volevamo che la gente se ne accorgesse troppo facilmente e troppo presto però allo stesso tempo eravamo intenzionati a dare delle indicazioni perché ci interessava costruire una dialettica sottile tra il film e chi lo guarda e quindi fare in modo che i segnali non fossero né troppo coperti né troppo scoperti o troppo sottili”. Niente male per due registi al loro terzo corto, e ora si profila davanti l’esordio con il lungometraggio dal titolo INCANTESIMO NAPOLETANO, film appena presentato alle Giornate Professionali di Cinema di Sorrento. Paolo e Luca hanno chiuso con i corti, quindi? “I corti ci piacciono e siamo consci delle potenzialità espressive di questo genere, come dimostra l’alta qualità delle cose viste in questa rassegna ma in Italia, a differenza di altri paesi come la Francia, il corto non ha un mercato, è visto più come una palestra, una possibilità di prepararsi per poi passare al lungo e se il film che abbiamo appena finito di girare andrà bene, girare altri corti significherebbe togliere spazio e visibilità ad altri autori emergenti”. Che il ragazzo fosse un tipo schietto lo si era capito fin da subito e non si smentisce nemmeno quando gli chiediamo un commento sui Festival in generale e su quello di Trieste in particolare. “Ci sono molte differenze tra Festival e Festival. Ce ne sono di buoni e di meno buoni, per la qualità delle cose che propongono e dell’organizzazione. La vera distinzione è tra i festival che pongono al centro il prodotto cinematografico ed altri che lo trascurano dando maggiore spazio al glamour o a eventi mediatici che hanno poco a che fare con il cinema e tanto meno con quello dei corti. Trieste non mi ha dato, se devo essere sincero, una bellissima impressione, ma è anche vero che questo è un Festival che deve crescere, e possiede una formula interessante che gli permette di far vedere il meglio del corto italiano in circolazione”. Ci piacerebbe continuare a parlare per ore ma la serata della premiazione incalza e Luca deve andare a prepararsi. Una stretta di mano e ci congediamo dal giovane regista, fermamente convinti però che Lui e Paolo non tarderanno a regalarci altri incantesimi. Al cinema.


Loris SERAFINO



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