LA SOUFRIERE
di Werner Herzog (1977)
Per la retrospettiva di Herzog, e` inevitabile
ormai cominciare con un breve antefatto, narrato dall'ottimo curatore
(il nome del quale vifaro` sapere al piu` presto). Nel 1976 Herzog
viene a sapere, pare da un servizio televisivo (sic), che il vulcano
La Soufriere, nell'ex colonia francese di Guadaloupe, sta per esplodere
con una violenza immane, da 5 a 8 bombe atomiche. Telefona al suo
produttore di fiducia e gli chiede finanziamenti per un documentario
da girare sul posto. Il produttore accetta, Herzog chiede un contratto,
la risposta del produttore e`: torna vivo da laggiu` e ti faro`
firmare un contratto. Non mi e` chiaro quanto di leggenda ci sia
in questo, ma sono abbastanza pronto a scommettere che sia vero.
E ancora una volta, dopo LAND DES SCHWEIGENS UND DER DUNKELHEIT
e FATA MORGANA, un film bellissimo. 45 minuti di immagini folgoranti,
dritte dritte dall'inferno: fumo che esce dalla roccia e nubi di
gas tossico incombenti sulla testa degli operatori, mentre la voce
off dello stesso Herzog (in inglese e con accento tedesco) commenta
luoghi e dati con la massima nonchalance. Attento alla drammatizzazione
fatti almeno quanto al dovere di cronaca (anzi, forse piu` alla
prima che al secondo), Herzog prepara lo spettatore raccontando
inizialmente l'ultima grave esplosione di un vulcano vicino, a Martinica,
nel 1902. L'intera popolazione di un'isola spazzata via da una nube
di gas tossico rovente, un solo sopravvissuto: un galeotto che era
stato messo in isolamento la sera prima. Diverra` un fenomeno da
baraccone.
Il film ci regala inoltre un lungo shot per le strade deserte della
capitale dell'isola: intendo dire completamente deserte, tutti sono
scappati lasciando campo libero ai cani randagi e alle cartacce.
Sembra di essere in un episodio di UFO INTERCEPTOR. Restano sull'isola
tre persone, una delle quali viene intervistata ed esibisce un fatalismo
disarmante: non ha paura di morire? no, e` la volonta` di Dio.
Nota ovvia: e` un dialogo che farebbe ridere per l'ingenuita` in
qualsiasi film di finzione; qui, supportato dal fatto
di essere assolutamente vero, assume un tono epico, talmente gigantesco
da sfiorare il grottesco. Esattamente come il fatto che quei tre
tedeschi folli (Herzog e i due operatori, intendo) rischiarono di
morire sul serio... e poi il vulcano non esplose. Ma questo non
ci interessa, in fondo.
LEKTIONEN IN FINSTERNIS
(Lessons of darkness / Apocalisse nel deserto)
di Werner Herzog (1992)
Che spettacolo meraviglioso. Esco dal
cinema letteralmente a bocca aperta, negli occhi e nelle orecchie
ancora le immagini di questo film superbo.
Si tratta di un documentario sulla devastazione lasciata in Kuwait
dopo il ritiro degli iracheni nel 1991. Commissionato dalla TV tedesca
e poi praticamente lasciato in un cassetto, LEKTIONEN IN FINSTERNIS
e` pero`, piu` che un documentario, uno show-off di cinematografia
--- ed e` per questo che non e` piaciuto ne' ai tedeschi, ne' tantomeno
ai kuwaitiani. Pare addirittura (altra voce riportata dal curatore)
che qualcuno a suo tempo abbia sputato in faccia a Herzog, dopo
avere visto il film.
LEKTIONEN e` composto per buoni tre quarti da riprese aeree mozzafiato,
realizzate in stretta collaborazione col direttore della fotografia
(dovrebbe essere Rainer Klausmann ma mi tengo il beneficio del dubbio).
Vedere questo film sul grande schermo rasenta l'esperienza metafisica
e non sto esagerando.
Herzog abbina la musica classica lungo un arco di due secoli (Arvo
Paert, Grieg, Verdi, Wagner, Schubert) a sequenze che sembrano provenire
da un altro pianeta: cieli completamente neri dal fumo, spiagge
e boschi ricoperti dal petrolio, attrezzature e manufatti umani
ridotti a scheletri infradiciti dal greggio. La voce over a un certo
punto, mentre sorvoliamo quella che sembra essere una regione lacustre:
"tutto quello che vedete per terra e che sembra acqua, e` petrolio.
Il petrolio e` ingannatore, cerca di travestirsi da acqua e riflette
il cielo".
Il risultato e` straordinario e davvero ci porta piu` vicini a quell'ideale
herzoghiano di cinema come rappresentazione di una verita` "piu`
profonda" di quella reale. In particolare: godetevi il "Recordare,
Jesu pie" dal Requiem di Verdi che ci accompagna a 50 metri
da terra lungo le installazioni petrolifere di Kuwait City completamente
distrutte e nere. Indimenticabile.
Altro paio di maniche, l'intervista ad una donna il cui figlio ha
smesso di parlare dopo che i soldati sono penetrati nella loro abitazione;
un lungo shot in una camera di tortura; una donna che non riesce
piu` a formulare un discorso coerente in seguito al massacro dei
suoi due figli davanti ai suoi occhi. Tutto senza compiacimento
alcuno, senza pathos, senza voler commuovere lo spettatore.
E infine: gli omini della compagnia che spengono i pozzi facendo
esplodere cariche di dinamite sulla fiamma per sottrarle l'ossigeno.
Schiacciati da un teleobiettivo contro i getti di greggio e i bracci
mastodontici delle escavatrici, sembrano proprio finti, specialmente
quando guardano in camera sorridendo e vantandosi del loro lavoro!
Un ulteriore esempio del sottile umorismo deforme che ho trovato
in tanto altro Herzog. Un regista che mi si colloca, man mano che
lo conosco, davvero su un piano di eccellenza. Cappello.
LA CIENAGA
di Lucrecia Martel (2001)
Un gruppo di borghesi argentini in campagna,
ubriachi, viziosi, inetti e stupidi; ragazzini di tredici anni col
fucile in mano; incesti potenziali e passioni nascoste, condite
dal disprezzo che i bianchi d'Argentina ancora portano per gli Indios.
Questi sono gli elementi principali di LA CIENAGA, interessante
ritratto di classe contemporaneo cui forse un po' piu` di ritmo
non avrebbe nociuto.
Pare proprio non succeda nulla, nella tradizione minimalista piu`
classica, e invece dal nulla emergono miserie, attriti, odii e razzismi
striscianti. Il merito piu` grande del film e` forse proprio quello
di lasciare trasparire tutto il brutto che una middle class viziata
e
inetta come questa riesce a esprimere, piuttosto che consegnarcelo
gia` pronto. Tanta camera a mano e luci al naturale - puo` essere
che Lucrecia Martel miri a scomparire dietro la macchina da presa
in un rigurgito dogma-like.
Le sue armi sono i bambini (gia` tutti minati dal vizio e dalla
decadenza) e la coppia dei padroni della Cienaga ("la palude",
luogo ove si trova la villa attorno cui ruota la vicenda). Mai visti
due imbecilli tali, immersi vita natural durante nel far nulla,
lamentarsi della servitu` (india) e trascinarsi fra un bicchiere
a l'altro. Bel lavoro, anche se, come ho gia` detto, un poco piu`
di azione avrebbe certo giovato. E` un'ora e quaranta, ma fa un
po' fatica a passare.
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