WEISER
di Wojciech Marczewski
con Marek Kondrat, Juliane Köhler e Krystyna Janda


 

WEISER è il nome di un bambino decisamente particolare, un bambino che è già un adulto, come il piccolo protagonista de IL SESTO SENSO e che, come lui, è circondato da un'aura magica (se non da veri e propri poteri soprannaturali). In più Weiser è ebreo, in una Polonia di fine anni sessanta dove l'antisemitismo spicciolo e quotidiano era diffuso anche fra i più piccoli. E come gli adulti Weiser non sorride quasi mai, tutto assorto dalle sue responsabilità, quelle di una sorta di Messia, un Eletto, il portavoce della Verità. Eppure la gioia e la spensieratezza dell'infanzia nascono proprio dall'ingenuità, dal non porsi troppe domande a proposito della vita e della morte, da quel velo di Maya che dovrebbe essere lacerato solo quando il tempo dei giochi è finito. Il film vuole innanzitutto raccontare una storia di bambini dai colori vivaci e luminosi (riassunti dal vestitino rosso della fidanzatina di Weiser), una storia che però ha dei risvolti dolorosi ed oscuri, perché l'infanzia, come aveva già dimostrato Freud, non è pura innocenza ed i bambini, come dimostrano le cronache contemporanee, possono essere anche diabolici. Weiser è anomalo anche nei divertimenti: il suo passatempo preferito è far esplodere cariche di tritolo in luoghi disabitati. Durante una di queste esplosioni il piccolo scompare lasciando dietro di sé un alone di mistero e tanti sensi di colpa. Le immagini dei bambini un po' infangati e laceri a zonzo per le campagne si alternano ad un presente dai toni decisamente più freddi e malinconici, dove un uomo lotta con i fantasmi del passato, cercando, invano, di risolvere l'enigma della sua infanzia: la fine di Weiser, un mistero che ha condizionato tutta la sua vita ed anche quella degli altri compagni di giochi. Come in QUARTO POTERE anche qui la chiave di lettura per il presente è nascosta nel passato, ma, a differenza del capolavoro di Welles, WEISER ha un finale aperto, irrisolto, ed il mistero non viene svelato neanche dalla macchina da presa.
Parlando di attori bambini viene subito in mente un film molto simile anche per l'atmosfera frammista di gioco, libertà e morte: TRI BRATA, il lungometraggio del kazachistano Serik Aprymov che ha vinto il premio Holden per la miglior sceneggiatura al 18° Torino Film Festival. A questo proposito Aprymov aveva dichiarato di aver adattato la sceneggiatura al naturale modo di muoversi e di parlare dei bambini. Così Marczewski sottolinea di aver faticosamente cercato bambini senza nessuna esperienza di recitazione: "Mi sembra che anche le esperienze teatrali possano viziare il modo di esprimere i sentimenti proprio dei bambini costringendoli entro canoni stereotipati. Nel mio film quando i bambini giocano si divertono davvero, io mi sono limitato a dare poche istruzioni ed ho lasciato che gli attori si muovessero liberamente: li abbiamo fatti vivere non recitare. Forse è un impatto un po' aggressivo, ma la cinepresa rivela subito se i sentimenti sono troppo costruiti".


Elena SAN PIETRO



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