MORTEL TRANSFERT
di J.J. Beineix
L´autore di DIVA e BETTY BLUE, ma anche dell'inutile IP5, che chiuse
carriera e vita di Yves Montand, non faceva film da otto anni, probabilmente
anche a causa di un'esperienza personale così drammatica. La stampa lo
ha attaccato per anni, incolpandolo di aver costretto Montand a compiere
sforzi impossibili per la sua età: il problema è che Beineix, spento il
fuoco degli inizi, costringe il pubblico a seguirlo nei territori di un
talento incerto, che giustappone suggestioni psicanalitiche assai poco
invitanti, incandescenti intuizioni visive e una struttura narrativa stranamente
ipercontrollata, frutto sicuramente dell'aspirazione [legittima, povero
lui] ad un po' di successo commerciale e ad un "tot" di generoso perdono
da parte dei critici.
Beineix, ragazzo vecchio e non uomo giovane nello spirito, è anche pittore
nella vita reale e piazza i suoi quadri nel film, facendoci capire in
quale confusione mentale stia tuttora tentando di produrre "arte" e "opere".
Guardate quelle tele e capirete perché il protagonista è uno psicanalista
in analisi da un collega, cui capita di ammazzare, nel sonno, la comune
paziente ninfo/cleptomane [e poi, che altro?], poi tumulata in un cimitero
frequentato da dementi necrofili, dopo giorni di situazioni tra il comico
e il macabro aventi come protagonista il cadavere di quella.
Il film funziona nelle gag più deliberatamente stupide, che non sappiamo
se dovute a Beineix o al testo di riferimento, capaci di rivelare un Anglade
perfetto e mai sopra le righe di una prova completa, sfiorata talvolta
da pause di meditazione o perlomeno di "serietà" occasionale.
Come si diceva, poi, "funziona" anche l'incastro tra le sezioni del film
e il ritmo e´oggettivamente la cosa migliore del film: ma dove vada a
parare il tutto e cosa voglia veramente dirci il regista, questo rimane
un mistero profondo.
Gabriele FRANCIONI
berlinale
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