THE FURY/ LUST FOR LIFE:
RE-FINDING DOUGLAS
Si potrebbe, con una certa dose di crudeltà, fare un film sulle celebrazioni
in vita di attori e registi malati, paralizzati, impossibilitati ad esprimersi
con l'arte che fu. Un film "muto" girato da qualche wenders di passaggio,
che allinei gli sguardi spenti o gli "impacci" deambulatori di personaggi
surgelati dalla nostra memoria nel frigidaire irreale dell'eterna salute,
bellezza ed efficienza.
Alcuni direttori di festival si ostinano a spettacolarizzare la fine imminente
di star del passato. E così molti hanno parlato dell'agomentare incerto
di Kirk Douglas in conferenza stampa e di quanta pena ciò generasse tra
i presenti.
Eppure, molto più triste è stato verificare come alcuni dei film presentati
per celebrare l'attore non abbiano retto al trascorrere del tempo, ancora
meno di quanto stiano facendo il corpo e il cervello di Douglas.
Sorprendente la delusione nel rivedere THE FURY, di De Palma, che ci è
sembrata un'accozzaglia informe di intere sezioni di altri film di quegli
anni e di temi, tra l'altro, già affrontati dallo stesso regista. Si è
avuta la sensazione che il successo di CARRIE [di due anni precedente]
e dell' ESORCISTA avesse convinto produttori e regista a mettere insieme
un'operazione calcolata e confusa allo stesso tempo. Sta di fatto che
la splendida Amy Irving [già presente in CARRIE], in un ruolo identico
a quello di Sissy Spacek, ricorre ad un repertorio di sguardi e ad una
gestualità da fiction televisiva , che ingigantiscono ulteriormente i
meriti della Spacek nel film precedente, terrorizzante nella sua semplice
immobilità. L'intreccio non è chiarissimo e, quel che è peggio, non sviluppa
nessuna delle premesse. La parte in cui il figlio di Douglas, anch'egli
dotato di speciali poteri, viene rapito dai governativi rimane un mistero
per lo spettatore: quale lo scopo di tale "cura Ludovico" [altra maldestra
citazione]? perché il ragazzo soffre durante la reclusione, se in realtà
vive in una splendida villa e intreccia un affair di sesso con la dottoressa
vamp? perché ce l'ha col padre?
Imbarazzante la levitazione con avvitamento della dottoressa e quella,
statica, del ragazzo: sembrano appesi per il collo e, da soli, ci fanno
benedire, almeno in questo caso, l'avvento della computer graphic nel
campo degli effetti speciali [il film è del 1978].
Manca il "testo", che due anni prima era stato quello, eccezionale, di
Stephen King. De Palma esegue il compitino senza intuizioni degne di nota,
ralenti compresi, che qui sono inutili, e le scene migliori sono dei doppioni
di quelle presenti in CARRIE [durante quella del sanguinamento della liceale
incinta, abbiamo notato una giovanissima Daryl Hannah, diciassettenne,
sicuramente all'esordio]. Douglas da comunque il meglio di sé, insieme
ad un Cassavetes, cui basta piazzare qualche sguardo per terrorizzarci.
Poco da dire su LUST FOR LIFE, di Vincent Minnelli. Con schematismo didascalico
tipicamente hollywoodiano, Van Gogh diventa il buon pastore votato alla
causa dei bisognosi e dei perdenti. Un buon selvaggio dai tratti sommari,
salvato solo dalla buona volontà e dall'applicazione di Douglas. Da potenziale
spunto per lo scavo di una psicologia che passava dagli abissi della depressione
all'esaltazione creativa, il film trasmuta in una galleria di visi e luoghi
pittorici noti a tutti. Il pubblico del Cinestar sghignazzava senza ritegno
ogni volta che una delle tele di Van Gogh diventava immagine in movimento:
il postino, il caffè di notte, i girasoli, il ponte sul fiume, il cielo
con i corvi. Fino all'apoteosi dell'autoritratto dopo il taglio dell'orecchio!
Anche Anthony Quinn non ci impedisce di sorridere di fronte alla sua caratterizzazione
svogliata di un pesante e fisicamente ingombrante Paul Gauguin.
Gabriele FRANCIONI
berlinale
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