FINDING FORRESTER
di Gus Van Sant
con Sean Connery, F. Murray Abraham,
Robert Brown e Anna Paquin


Siamo in un GOOD WILL HUNTING ancor più corretto, adattato alle mutate circostanze, e cioè alla presunta "multirazzialità" del racconto, con tutto ciò che potremmo aspettarci da uno scontro morbido tra il precocissimo genio letterario del ragazzino (che gira ovunque con un pallone da basket e palleggia fin dentro gli appartamenti) e la selettivissima e yankeeissima scuola privata alla quale viene instradato. Ma il centro vero del film è l'interfacciarsi di due generazioni distanti anni luce: l'una ancorata al minimalismo "analogico" del buon fare, dell'artigianato primitivo e puro dell'art & crafts applicato alla letteratura, nonché convinta assertrice di un eremitismo ideologico accompagnato ad una massiccia dose di misantropia autodistruttiva; l'altra tranquillamente (forse troppo tranquillamente) appoggiata ai pochi ma eticamente saldi principi di una comunità nera a dire il vero molto poco simile a quello che ci aspetteremmo dalla realtà!!! La Scrittura, il recupero alla WONDER BOYS di una Cultura e di un mondo che vanno scomparendo, quelli proprio non sono presenti nel film, che ha, anzi, una sorta di predecessore meglio riuscito nel citato lavoro di Curtis Hanson. Difficile immaginarsi un ragazzino di colore che nella New York odierna alterna Mark Twain ai Knicks o una classe scolastica in cui si parla dei Baltimore Ravens come della prima squadra che abbia preso il proprio nome da una poesia di Rimbaud (regolarmente letto a scuola...)!!!!!!!!
L'impressione è che Gus Van Sant abbia definitivamentre venduto l'anima al diavolo, dopo averci fatto credere di essere diavolo lui stesso. Dalle convulsioni estreme di MALA NOCHE (1986), dalle sincopi visive ed emotive del capolavoro DRUGSTORE COWBOY (1989), ma anche dai tempi di MY OWN PRIVATE IDAHO (BELLI E DANNATI, con River Phoenix e Keanu Reeves, nonché Chiara Caselli!!!, 1991) e EVEN COWGIRLS GET THE BLUES (1993, prima prova di Joaquin Phoenix), troppo e' cambiato nell'orizzonte stilistico e nelle scelte dei soggetti da parte di un talento ormai del tutto disperso. TO DIE FOR (DA MORIRE, 1995, massima interpretazione di Nicole Kidman in un ruolo perfetto per lei) e' stata l'ultima prova di valore di Van Sant, forse per certi versi anche superiore a Drugstore Cowboy, perché più compatta, consapevole, controllata e dove ogni componente - musica in prima linea - contribuiva in egual misura alla definizione di un universo sospeso tra una permanente sensazione onirica di crimine incombente e il mondo a due dimensioni della provincia americana. Avanziamo l'ipotesi che il regista, con quella prova, avesse creduto di poter superare gli enormi problemi vissuti due anni prima con la produzione di EVEN COWGIRLS (tagliato e cambiato nel titolo infinite volte, per colpa della natura "allucinogena" e hyppie dei contenuti e per alcune scene con Uma Thurman) e di poter accontentare un po' tutti, tra critica e pubblico. Cosi non è stato e il definitivo cambio di registro e l'appalto della propria anima agli Studios la si ebbe poco dopo, con GOOD WILL HUNTING, cui è seguito l'indefinibile PSYCHO/remake e, ora, questo piatto e inutile FINDING FORRESTER. Buono Connery per ruoli ormai definitivamente da intellettuale statico che cita Burroughs (?!?!?) e ottimo il ragazzino del Bronx scelto tra la folla incazzata e sempre più nera dei partecipanti al provino d'ammissione del film.



Gabriele FRANCIONI


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