A MA SOEUR! (FAT GIRL)
di Catherine Breillat
con Anaïs Reboux, Roxane Mesquida,
Libero de Rienzo e Arsinée Kha
Come enuncia l'ingenuo titolo inglese, FAT GIRL racconta la storia di
un'adolescente sovrappeso in vacanza con la sua famiglia. Il titolo francese
è chiaramente più interessante in quanto introduce subito un rapporto,
quello fra due sorelle: Anais ha dodici anni e sua sorella Elena quindici,
ma questa è sicuramente la differenza minore fra le due ragazze; la prima,
infatti, è serrata in un corpo grasso, poco attraente, ingombrante; sta
sempre mangiucchiando qualcosa, a morsi lenti e regolari, perché quando
mastica non pensa ad altro… Non pensa ai ragazzi che non avrà mai, ai
genitori severi e distanti, alla sorella che, pur essendo la creatura
al mondo che dovrebbe esserle più simile, in realtà non le assomiglia
per niente. Elena ha quella bellezza da donna-bambina che stordisce nella
sua grazia e semplicità: capelli lunghi e lucenti, un visino dolce e malizioso,
un corpo perfetto. Quei tratti fusi in una delicata armonia di movimenti
che facevano di Liv Tayler la creatura quasi angelica di IO BALLO DA SOLA.
Una bellezza, possibile solo nell'adolescenza, che dovrebbe essere venerata
e protetta, ma la vita ne fa oggetto di mille sguardi (consapevoli e contraccambiati)
volti ad un unico fine: possedere, toccare, sfruttare, usare. Ovvero lo
scopo di ogni ragazzo "normale", giovane, che ha bisogno di sfogarsi e
soddisfare i richiami ormonali; questa figura è incarnata da Fernando,
il latin-lover che riesce a far breccia nel cuore di Elena e che la trascina
in una serie di avventure sessuali sotto gli occhi di Anais ( la casa
è piccola, le due sorelle devono dormire insieme, basterebbe che la piccola
si girasse dall'altra parte…). Le due sorelle fanno una vita molto diversa
eppure, sotto sotto, condividono un dolore inevitabile : il confronto
con il mondo, un mondo sordo ed aggressivo, indifferente ai sentimenti,
ai sogni, all'innocenza. La violenza quotidiana attraverso cui passa il
percorso di crescita genera mostruose paure: l'odio verso un corpo brutto,
disprezzato, oppure troppo bello, desiderato, smembrato, separato dall'anima.
Anais e Elena, due volti dell'adolescenza, due prodotti della spietata
logica dell'immagine che porterà la prima alla bulemia e la seconda alla
frigidità. Eppure quello che accade sullo schermo ci è famigliare, non
sembra nulla di particolarmente tragico, "problemi di ragazzi" , storie
quotidiane di una famigliola borghese in vacanza al mare, con il primo
amore di Elena ed i soliti litigi fra sorelle. Un pubblico non troppo
sensibile, che ha rimosso i fantasmi dell'adolescenza, rimarrà scioccato
solo dal finale, un colpo di scena improvviso, che vira radicalmente rispetto
al tono generale del film (e chi non vuole rovinarsi la sorpresa non legga
le righe seguenti): durante una pausa nel viaggio di ritorno, un pazzo
fracassa il cranio di Elena, strangola la madre delle ragazze e violenta
Anais. Una scena velocissima, una violenza nei confronti dello spettatore
se accettiamo la regola d'oro di Hitchcock, secondo cui il protagonista
è coperto da un manto d'invulnerabilità che permette di identificarsi
in lui senza paura di soffrirne la perdita. Ed in effetti, ad una lettura
superficiale, la "protagonista" del film sembra proprio Elena, perché
è l'unica che agisce, è l'unica che vive delle avventure e dei cambiamenti
che hanno un peso enorme nella realtà stilizzata di una quindicenne, ma
decisamente meno nel bilancio di un adulto. Eppure la vera violenza arriva
già molto prima del finale, l'assassinio è solo la materializzazione dei
desideri di Anais: sbarazzarsi di una sorella vincente e di una madre
repressiva per cominciare a vivere la sua vita, a modo suo. Una desiderio
che, considerando gli ultimi episodi di violenza tra consanguinei (Erika
e co.) non si distacca poi molto dalla realtà. La vera violenza è nello
sguardo selvatico, carico d'odio di una dodicenne molto intelligente,
troppo intelligente, perfettamente cosciente della realtà del mondo e
dell'amore, ma pur sempre una ragazzina che bacia gli oggetti fingendo
che siano dei fidanzatini. La vera violenza sta nella morbosità a cui
ti spingono gli adulti, morti viventi che massacrano le speranze di chi
è ancora capace a sognare.
A MA SOEUR si chiude proprio con lo sguardo in macchina di Anais, uno
sguardo fortissimo, crudele, inappellabile: la ragazza è appena stata
recuperata nel bosco dalla polizia e nega di essere stata violentata.
C'è una sorta di fascinazione, di dipendenza nei confronti del carnefice,
ma, in questo caso Anais si sente ancora più legata all'assassino poiché
sono entrambi due reietti, due esclusi; lo strano legame che li unisce
ha portato l'uomo a scegliere il corpo di Anais, snobbando la bellissima
sorella; Anais è anche l'unica superstite e rielabora lo stupro come un
incontro d'amore, l'incontro che ha vissuto attraverso gli occhi di Elena
e che altrimenti non avrebbe mai potuto vivere in prima persona. Il titolo
francese, allora, si può anche interpretare come la sprezzante dedica
di Anais nei confronti della sorella morta o forse come un episodio autobiografico
della Breillat che nella scena dell'omicidio, peraltro, si è ispirata
ad un fatto di cronaca. Dopo ROMANCE Catherine, una delle poche donne
che è riuscita a farsi notare come regista, continua a sondare gli aspetti
più nascosti della sessualità, e della femminilità, affermando che "si
tratta di un argomento che ci condiziona profondamente e di cui continuiamo
ad avere paura". L'immagine da cui è partita, le cosiddette ossa che biancheggiano
al sole, è quella di una ragazzina in piscina, un'adolescente a cui non
è ancora cresciuto il seno, che aveva uno sguardo incredibilmente intenso
ed aggressivo. La tredicenne che interpreta questo ruolo si chiama proprio
Anais, Anais Reboux e forse è così convincente proprio perché sta vivendo
il cuore dell'adolescenza. Per le scene più difficili la Breillat si è
preoccupata di non forzare eccessivamente la sensibilità delle sue giovani
attrici, ma alle critiche risponde: "No m'interessano i film digestivi
e ricreativi, ma quelli perturbanti ed ambigui perché la vita è così".
Elena SAN PIETRO
berlinale
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