THE CLAIM
di Michael Winterbottom
con Peter Mullan, Sara Polley,
Nastassia Kinski e Milla Jovovich
Un po' come per Mike Leigh, risulta abbastanza incomprensibile la tendenza
di alcuni cineasti inglesi "impegnati" e votati alla causa dell'approfondimento
dei casi umani in un contesto "sociale", a cadere prima o poi nella trappola
del film in costume, alla tentazione da studios di entrare in un campo
che può darti successi commerciali imprevisti o delusioni senza fine.
Non capiamo neanche il senso di un cast confuso, dove la parlata incomprensibile
di Mullan (Scozia) si sovrappone al canto portoghese della slava Jovovich
(?!?!?) e alla suadente cadenza yankee della ninfetta Polley… Ancora meno
plausibile che il periodo storico preso in considerazione sia quello del
fine secolo e della corsa all'urbanizzazione "guidata" dalla invenzione
e dalla diffusione del treno. Una cittadina di montagna nei pressi di
Boston ha il destino segnato, perché non si trova su quella che, un po'
distante, è la zona destinata al passaggio della nuova ferrovia. Il boss
impersonato da Mullan, che ebbe una figlia (Polley) dalla sfiorita e malatissima
Kinski, sta ora con la maitresse slavo-lusitana Jovovich, ma, presentendo
la fine del proprio piccolo regno annunciata dall'arrivo dei "colonizzatori"
(guidati dal Wes Bentley di AMERICAN BEAUTY, impacciato come Maguire in
CAVALCANDO COL DIAVOLO, ragazzini inadatti alle ricostruzioni storiche),
riaccoglie in casa le due donne del suo passato. Polley non sa di averlo
come padre, peraltro.
Tra amorazzi sfiorati (Milla/Bentley), corteggiamenti insipidi (ancora
Bentley/Polley), affetti senza amore (Mullan/Kinski) e sesso che arriva
allo scopo (Jovovich/Mullan), la storia non parte mai, nessuna vicenda
secondaria viene adeguatamente sviluppata, tutti inciampano in dialoghi
sommari. Non si capisce dove si voglia andare a parare, se nel pietismo
indotto dalla condizione di salute della Nastassja dewendersianizzata
o se nel "sociale" della comunità distrutta dalla modernità. Noi abbiamo
visto solo dei volti noti ficcati dentro vestiti impossibili e una sola
discreta scena degna di nota: il cupio dissolvi finale, con Mullan vedovo
che da solo brucia la vecchia cittadina, mentre a valle un matrimonio
celebra i cicli vitali sotto le travi fresche della nuova chiesa in costruzione.
Voto: 20. Niente Orso d'oro, per Winterbottom, ma solo gli orsi delle
montagne americane.
Gabriele FRANCIONI
berlinale
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