Linea d’Ombra

SalernoFilmFestival, VIII edizione
Salerno, 22 - 26 aprile 2003

"Un fatto di costume", questa è la definizione che si è incollata addosso al Salerno film festival-Linea d'ombra in questi anni. La rassegna non è mai spiccata per la qualità dei film proposti in concorso, ma almeno capitava che si ancorasse agli incontri con registi come Kiarostami, i f.lli Dardenne, Gillo Pontercorvo, Citto Maselli, Giuliano Montaldo...che permettevano di toccare con mano i metodi dei maestri del cinema. E' vero che il più delle volte gli incontri erano funestati da incaute introduzioni di professori e esperti di turno, ma davano almeno l'occasione di sfuggire al lato para-spettacolare del festival che occorre agli organizzatori per richiamare il grosso del pubblico e soddisfare così le richieste dei finanziatori.(Un autentico attentato agli appassionati di cinema fu, anni fa, la premiazione nella stessa serata, con conseguente ressa, dei Dardenne e Ligabue). Quest'anno è sfuggita anche l'occasione di mettere in programma degli incontri del genere e il festival s'è poggiato su un concorso lungometraggi molto deludente (in una ipotetica medietà si segnalano solo Remake e Jonny Vang) e su rassegne collaterali che o presentavano cose come i corti della "Sacher", già visti nei passaggi televisivi di rai tre e tele+, o una rassegna di cosiddetto Expanded Image, che qualche ragazzino avveduto non ha tardato ad associare con le immagini del Winamp che usa per ascoltare i suoi mp3, o le solite urlate anticipazioni di video di Madonna (già visti su MTV) e laboratori di scrittura per le immagini curate da persone che non hanno mai sceneggiato nulla (e non alludo ai partecipanti al laboratorio tra i quali ci sono comunque Paolo Sorrentino e Carlo Lucarelli).

 

(FRANCESO PATIERNO)

 

La manifestazione, per fortuna, è stata aperta dal film Pater Familias di Francesco Patierno tratto dall'omonimo romanzo di Massimo Cacciapuoti. Il film può rientrare pienamente in quel filone di cinema italiano che finalmente rifiuta la presunta classicità di codici espressivi del passato per aprirsi a un altro tipo di rapporto con le immagini. Pater familias mette in scena l'interland napoletano, la violenza delle periferie, l'animo sanguigno e a suo modo poetico dell'emarginazione. Il personaggio dietro il quale ci intrufoliamo all'interno di questo pianeta fatto di luci al neon, colori sgargianti, collericità ostentata, é Matteo. In permesso dal carcere per la possibile morte del padre, Matteo ci fa percorrere un viaggio nel passato e nel presente delle strade e quartieri di Giugliano. Gli inseguimenti, gli omicidi, i maltrattamenti delle donne passano come in un sogno-incubo che non si vorrebbe mai fare, e che è purtroppo realtà. Parlando col regista ho scoperto che la fonte d'ispirazione principale per questo tipo di regia è venuta direttamente da In the mood for love di Wang Kar-wai. Il continuo uso del ralenty, l'esasperazione del colore hanno la loro naturale filiazione in quell'onda lunga del cinema dell'estremo oriente che sta ribaltando completamente la concezione e la consapevolezza delle forme cinematografiche. Stupisce apprendere la trafila del regista che, al contrario di quanto si può immaginare, è completamente fuori dal giro della nuova onda di registi napoletani anni'90 e si è affidato a una produzione completamente indipendente del coraggioso Umberto Massa (La Capagira). "Quello che mi premeva" precisa Francesco Patierno " era non fare un film che eccedesse nella rappresentazione del locale, interland napoletano, camorra...ma andare oltre...volevo fare un film che mostrasse una realtà dura e che non sia necessariamente identificabile con un luogo, ma piuttosto volevo dare l'idea che questo tipo di situazioni sono possibili dovunque, in ogni posto dove c'è emarginazione, violenza e tutto quello che ne segue..." L'attenzione per uno sguardo più ampio ha quindi richiesto anche l'apporto di musiche di gruppi con sonorità tutt'altro che melodiche e solari. "Sono un grande appassionato di musica,", racconta il regista," ascolterei musica sempre, dovunque, e per questo film ho scelto le musiche elettroniche dei Lamb e del gruppo islandese dei Mum. Credo che questo tipo suoni corrispondano meglio al tipo di lavoro che ho fatto e diano un respiro in più alla pellicola".
 

(FEDERICO ZAMPAGLIONE)


Altre due presenze abbastanza fuori fuoco rispetto al festival sono state Federico Zampaglione dei Tiromancino (logico richiamo per il pubblico), che presentava il nuovo video del gruppo e Donatella Finocchiaro, bravissima attrice di Angela di Roberta Torre, ma della quale non si è visto assolutamente niente. Comunque è stato bello ascoltare gli aneddoti della sua recitazione in Angela, ma sarebbe stato ancora meglio vedere il film per capire meglio l'esperienza.
 

(DONATELLA FINOCCHIARO)


La Finocchiaro ha raccontato del provino " Ho conosciuto la vera Angela e per tre ore sono stata davanti alla telecamera con Roberta Torre a raccontare la mia vita e ad ascoltare la vita di questa persona incredibile, che nonostante tutto ciò che gli era successo, sprizzava un energia e una vitalità travolgenti". Ha spiegato dei problemi che potevano presentarsi per lei di origine catanese nell'interpretare una donna palermitana, ma ridendo ha detto che dopo una profonda frequentazione della vera Angela si è risolto tutto e che "poi in fondo, sempre siciliana sono.", con tutta la sicilianità insita nella cadenza. Hanno sorpreso i suoi nuovi progetti. Ha appena terminato le riprese di un film di Valerio Jalongo, ma nel quale interpreterà la proprietaria di un caseificio di Battipaglia che dà lavoro ad un ex detenuto con tutto quello che ne può seguire (cadendo forse in un clichet), e il film di Franco Battiato DEL Perduto amore.

Film in concorso

I lungometraggi in concorso sono accomunati generalmente da atmosfere cupe e in molti casi sono danno l'idea di corti dilatati in lungometraggi. Dei tre film tedeschi ½ Miete di Marc Ottiker, è girato in digitale e si occupa d'alienazione con uno sguardo che vorrebbe puntare all'entomologia alla maniera di Haneke e forse anche all'incomunicabilità dei personaggi d'un Tsai Ming Liang; Sophiiie! di Micheal Hoffman, anche se a momenti vira sullo smaccatamente poetico e il disturbante, recupera piccoli frammenti e atmosfere di Poor Cow di Loach, ma senza coglierne lo spessore di critica sociale, e Paule und Julia di Torsten Lohn ritrae il disagio adolescenziale e le bande che si scontrano per le strade di Berlino. Mulher Policia di Joachim Sapinho, affronta il tema dell'emarginazione, caro a molti film portoghesi contemporanei come Os Mutantos di Teresa Villaverde o Gloria di Manuela Viegas, ma manca della stessa carica e verosimiglianza. La slovena Hanna A.W. Slak con Slepa Pega mette in scena il dramma della tossicodipendenza, cadendo molto nel film di maniera e non uscendo mai dal puro bozzetto della cupa disperazione.

Tra quelli che si distaccano da questa tendenza ci sono: il film ceco Devcatko di Benjamin Tucek , ex-studente del FAMU di Praga, che si ricollega alla tradizione della scuola dove sono cresciuti negli anni Kusturica, Nemec , Forman, Ivan Passer e gioca su un registro più di rottura e d'esplorazione dei personaggi, non indugiando troppo sull'autocommiserazione. Remake del bosniaco Dino Mustafic che tratta del dramma della guerra, costruendo con una buona sapienza tecnica un piano di rimandi temporali che creano un film giocato sul filo della memoria delle tragedie che hanno sconvolto la Jugoslavia. E il vincitore del festival Jonny Vang del norvegese Jens Lien, l'unica commedia e l'unico film che presenta una maggiore dinamicità di montaggio e narrazione. I toni leggeri del film trascolorano presto in una follia surreale fatta di vangate e bottigliate in testa, balli allucinati, storie d'amore e di pietà, d'evirazioni e strani legami familiari.

Per la rassegna dei cortometraggi notevole sorpresa ha destato l'opportunità di vedere il corto Premio Oscar This Charming man del danese Martin Strange-Hansen, girato con una accorta sapienza stilistica e mette in evidenza con una comicità caustica e corrosiva un certo razzismo latente dei suoi connazionali. E si segnala per la regia anche il vincitore del festival, il francese Paraboles di Remì Besançon, che in dieci minuti di grottesca inventiva racconta la scoperta, la crescita agonistica, la gara di una promessa del "lancio della pantofola".

 

Antwone Fischer story
Il film di Denzel Washington, presentato al festival in anteprima nazionale, è un film maturo, con qualche lungagine di troppo, lontano dalle tematiche razziali del suo amico Spike Lee, e più puntato sull'introspezione e le conflittualità dei rapporti di coppia e familiari. La prima regia di Washington racconta la storia di Derek, un marinaio, che dopo aver avuto problemi in servizio, viene mandato in cura da uno psichiatra che lo aiuta a riconsiderare i suoi legami e il suo passato.

Parlando con gli organizzatori

La sfavorevole accoglienza riservata a molti lungometraggi e ad alcune delle rassegne collaterali (tra le quali si salva lo sperimantalismo e l'esasperata bellezza delle performance di Videodanza) ha indotto uno degli organizzatori a chiarire alcune delle scelte artistiche e tematiche, nonchè di budget, che hanno per così dire circoscritto l'ambito delle opere presentate.
Come scelta artistica si è voluto tenere fuori tutte le filmografie dell'estremo oriente. Non per la recente epidemia di Sars, ma per il solo motivo che film del genere non sono voluti. Eppure un film, appena uscito nelle sale, come il taiwanese Incrocio d'amore di Yee Chin-yen ci sarebbe stato bene nella rassegna.
Una scelta artistica vuole che in concorso ci siano solo opere prime e seconde, ma ciò non ha impedito, anni fa, di avere una pellicola dello spagnolo Fernando Colomo che aveva la sua ventina di film alle spalle.
La scelta tematica vuole che sia rispettato il tema della linea d'ombra, del passaggio adolescenziale, della crescita o quanto meno di una riflessione che guida a una mutazione caratteriale, ma dov'erano questi temi nei film italiani I nostri anni di Gaglianone e L'uomo in più di Paolo Sorrentino, presentati l'anno scorso. C'è senz'altro del cambiamento in questi film, ma faticano ad entrare pienamente all'interno di quei criteri e vincoli posti.
Ecco allora che questi criteri e vincoli vengono aggirati o forzati ogni volta che si vuole, e quindi perchè non tener presente Giovani di Luca e Marco Mazieri, film apprezzatissimo dalla critica ma ignorato dalla distribuzione, o Eccomi qua di Giacomo Ciarrapico, o il campione d'incassi tedesco Goodbye Lenin di Wolfang Becker (uscirà a maggio nei cinema, ma un anteprima così non avrebbe guastato), che avevano tra l'altro tutte le caratteristiche per essere scelti nel concorso.
Cosa si può obiettare, dunque, problemi di budget e allora perchè finanziare laboratori di scrittura che non hanno nessuna utilità, prendere i clip di Madonna e i film della Sacher che si vedono in televisione, spacciare per animazione digitale l'animazione in flash possibile con un programmino per il computer.
Lo spreco si rileva ancora più irritante vedendo gli esiti del Laboratorio di scrittura e immagini curato da De Silva e al quale partecipavano Vicentini Orgnani (regista di Ilaria Alpi-Il più crudele dei giorni), Paolo Sorrentino, Carlo Lucarelli, Simona Vinci e Valerio Jalongo.
Il laboratorio è stata la solita chiacchierata fatta di luoghi comuni, che dopo dieci minuti di conversazione su libri e scrittura è sfociata in una serie di futilità sulla televisione che si è protratto per due ore, con Lucarelli che parlava dei suoi problemi con i capi-struttura rai e i partecipanti che volevano fare interventi da persone intelligenti cadendo in infelici sproloqui e chiarendo, purtroppo, che la cultura dominante ha prodotto tanti e tali guasti che neanche i registi e scrittori, che si arrogavano il diritto di criticarla si rendevano conto che sono essi stessi frutto dello stesso humus. In fondo i vari Jalongo, Vicentini Orgnani, Vinci, De Silva, e soprattutto Lucarelli sono dei lavoratori culturali del contingente. Film su Ilaria Alpi, libri sugli omicidi della falange armata o i serial killer di Bologna, la violenza definita "amorale" dalla stessa Vinci nel suo "Dei bambini non si sa niente" (tra l'altro libro con tutte le risonanze McIwaniane messe al posto giusto, e quindi roba già vista, già letta in forme di ben altro spessore), e i bambini emarginati e criminali di un De Silva rispondono ad un gusto, a un discorso che la cultura mainstream impone e vuole vendere in quelle forme che non intaccano e non rompono le logiche sulla quale si regge.
In queste opere non c'è ricerca linguistica, non c'è slittamento in avanti, ma un appiattimento non solo sui temi che richiede il mercato, ma anche sulle forme che pretende l'industria dei consumi.
L'unica certezza che si è avuta dalla discussione e che non si parlava di letteratura e cinema perchè nessuno legge libri e nessuno vede film che non siano quelli hollywoodiani o della grossa distribuzione, ma tutti guardano la televisione e sono tutti in grado, fortuna loro, di formulare un pensiero completamente libero.
Il problema di questo tipo di incontri dibattito è che riescono a provocare nella platea più danni che altro, perchè come la televisione gli si regala solo l'illusione di pensare, ma per il resto si finisce per scadere negli argomenti più triti e ritriti.
Si è affrontato un discorso sul rapporto tra televisione e spettatori-consumatori, senza parlare mai del problema della cultura di massa e del mutamento antropologico della società, si è parlato di rapporto scrittura immagini, e più in generale di rapporto letteratura-cinema, senza mai toccare un esempio concreto d'inesprimibile nei due campi, e arrivando a dire bestialità come "...ma Proust scriveva per immagini..."... e il frasare che sostiene quelle immagini, il periodare che permette quella forza evocativa dove le mettiamo, affermando cose del genere cosa dovremmo fare, prendere i saggi di Gerard Genette e bruciarli.
Salerno ha bisogno di manifestazioni come Linea d'Ombra, perchè è fuori dai circuiti cinematografici indipendenti e perchè non si ha voglia di vedere solo il cinema delle major, ed è per questo che merita una manifestazione che abbia il coraggio di mostrare opere innovative e provenienti dal più vasto panorama possibile, ed è giusto che dia l'opportunità, come in passato, di far conoscere autori che abbiano davvero qualcosa da insegnare.
 

::: Il programma di quest'anno :::

Donato SICA