"Un fatto di costume", questa è
la definizione che si è incollata addosso al Salerno film festival-Linea
d'ombra in questi anni. La rassegna non è mai spiccata per la qualità dei
film proposti in concorso, ma almeno capitava che si ancorasse agli incontri
con registi come Kiarostami, i f.lli Dardenne, Gillo Pontercorvo, Citto
Maselli, Giuliano Montaldo...che permettevano di toccare con mano i metodi
dei maestri del cinema. E' vero che il più delle volte gli incontri erano
funestati da incaute introduzioni di professori e esperti di turno, ma
davano almeno l'occasione di sfuggire al lato para-spettacolare del festival
che occorre agli organizzatori per richiamare il grosso del pubblico e
soddisfare così le richieste dei finanziatori.(Un autentico attentato agli
appassionati di cinema fu, anni fa, la premiazione nella stessa serata, con
conseguente ressa, dei Dardenne e Ligabue). Quest'anno è sfuggita anche
l'occasione di mettere in programma degli incontri del genere e il festival
s'è poggiato su un concorso lungometraggi molto deludente (in una ipotetica
medietà si segnalano solo Remake e Jonny Vang) e su rassegne collaterali che
o presentavano cose come i corti della "Sacher", già visti nei passaggi
televisivi di rai tre e tele+, o una rassegna di cosiddetto Expanded Image,
che qualche ragazzino avveduto non ha tardato ad associare con le immagini
del Winamp che usa per ascoltare i suoi mp3, o le solite urlate
anticipazioni di video di Madonna (già visti su MTV) e laboratori di
scrittura per le immagini curate da persone che non hanno mai sceneggiato
nulla (e non alludo ai partecipanti al laboratorio tra i quali ci sono
comunque Paolo Sorrentino e Carlo Lucarelli).

(FRANCESO PATIERNO)
La manifestazione, per fortuna, è
stata aperta dal film Pater Familias
di Francesco Patierno tratto dall'omonimo romanzo di Massimo
Cacciapuoti. Il film può rientrare pienamente in quel filone di cinema
italiano che finalmente rifiuta la presunta classicità di codici espressivi
del passato per aprirsi a un altro tipo di rapporto con le immagini.
Pater familias mette in scena l'interland napoletano, la violenza
delle periferie, l'animo sanguigno e a suo modo poetico dell'emarginazione.
Il personaggio dietro il quale ci intrufoliamo all'interno di questo pianeta
fatto di luci al neon, colori sgargianti, collericità ostentata, é Matteo.
In permesso dal carcere per la possibile morte del padre, Matteo ci fa
percorrere un viaggio nel passato e nel presente delle strade e quartieri di
Giugliano. Gli inseguimenti, gli omicidi, i maltrattamenti delle donne
passano come in un sogno-incubo che non si vorrebbe mai fare, e che è
purtroppo realtà. Parlando col regista ho scoperto che la fonte
d'ispirazione principale per questo tipo di regia è venuta direttamente da
In the mood for love di Wang
Kar-wai. Il continuo uso del ralenty, l'esasperazione del colore hanno la
loro naturale filiazione in quell'onda lunga del cinema dell'estremo oriente
che sta ribaltando completamente la concezione e la consapevolezza delle
forme cinematografiche. Stupisce apprendere la trafila del regista che, al
contrario di quanto si può immaginare, è completamente fuori dal giro della
nuova onda di registi napoletani anni'90 e si è affidato a una produzione
completamente indipendente del coraggioso Umberto Massa (La
Capagira). "Quello che mi premeva" precisa Francesco Patierno " era
non fare un film che eccedesse nella rappresentazione del locale, interland
napoletano, camorra...ma andare oltre...volevo fare un film che mostrasse
una realtà dura e che non sia necessariamente identificabile con un luogo,
ma piuttosto volevo dare l'idea che questo tipo di situazioni sono possibili
dovunque, in ogni posto dove c'è emarginazione, violenza e tutto quello che
ne segue..." L'attenzione per uno sguardo più ampio ha quindi richiesto
anche l'apporto di musiche di gruppi con sonorità tutt'altro che melodiche e
solari. "Sono un grande appassionato di musica,", racconta il regista,"
ascolterei musica sempre, dovunque, e per questo film ho scelto le musiche
elettroniche dei Lamb e del gruppo islandese dei Mum. Credo che questo tipo
suoni corrispondano meglio al tipo di lavoro che ho fatto e diano un respiro
in più alla pellicola".

(FEDERICO ZAMPAGLIONE)
Altre due presenze abbastanza fuori fuoco rispetto al festival sono
state Federico Zampaglione dei Tiromancino (logico richiamo per il
pubblico), che presentava il nuovo video del gruppo e Donatella
Finocchiaro, bravissima attrice di
Angela di Roberta Torre, ma
della quale non si è visto assolutamente niente. Comunque è stato bello
ascoltare gli aneddoti della sua recitazione in
Angela, ma sarebbe stato
ancora meglio vedere il film per capire meglio l'esperienza.

(DONATELLA FINOCCHIARO)
La Finocchiaro ha raccontato del provino " Ho conosciuto la vera Angela
e per tre ore sono stata davanti alla telecamera con Roberta Torre a
raccontare la mia vita e ad ascoltare la vita di questa persona incredibile,
che nonostante tutto ciò che gli era successo, sprizzava un energia e una
vitalità travolgenti". Ha spiegato dei problemi che potevano presentarsi per
lei di origine catanese nell'interpretare una donna palermitana, ma ridendo
ha detto che dopo una profonda frequentazione della vera Angela si è risolto
tutto e che "poi in fondo, sempre siciliana sono.", con tutta la sicilianità
insita nella cadenza. Hanno sorpreso i suoi nuovi progetti. Ha appena
terminato le riprese di un film di Valerio Jalongo, ma nel quale
interpreterà la proprietaria di un caseificio di Battipaglia che dà lavoro
ad un ex detenuto con tutto quello che ne può seguire (cadendo forse in un
clichet), e il film di Franco Battiato DEL
Perduto amore.
Film in concorso
I lungometraggi in concorso sono accomunati generalmente da atmosfere cupe e
in molti casi sono danno l'idea di corti dilatati in lungometraggi. Dei tre
film tedeschi ½ Miete di Marc
Ottiker, è girato in digitale e si occupa d'alienazione con uno sguardo che
vorrebbe puntare all'entomologia alla maniera di Haneke e forse anche
all'incomunicabilità dei personaggi d'un Tsai Ming Liang;
Sophiiie! di Micheal Hoffman,
anche se a momenti vira sullo smaccatamente poetico e il disturbante,
recupera piccoli frammenti e atmosfere di
Poor Cow di Loach, ma senza
coglierne lo spessore di critica sociale, e
Paule und Julia di Torsten
Lohn ritrae il disagio adolescenziale e le bande che si scontrano per le
strade di Berlino. Mulher Policia
di Joachim Sapinho, affronta il tema dell'emarginazione, caro a molti
film portoghesi contemporanei come
Os Mutantos di Teresa Villaverde o
Gloria di Manuela Viegas, ma
manca della stessa carica e verosimiglianza. La slovena Hanna A.W. Slak con
Slepa Pega mette in scena il
dramma della tossicodipendenza, cadendo molto nel film di maniera e non
uscendo mai dal puro bozzetto della cupa disperazione.
Tra quelli che si distaccano da questa tendenza ci sono: il film ceco
Devcatko di Benjamin Tucek ,
ex-studente del FAMU di Praga, che si ricollega alla tradizione della scuola
dove sono cresciuti negli anni Kusturica, Nemec , Forman, Ivan Passer e
gioca su un registro più di rottura e d'esplorazione dei personaggi, non
indugiando troppo sull'autocommiserazione.
Remake del bosniaco Dino
Mustafic che tratta del dramma della guerra, costruendo con una buona
sapienza tecnica un piano di rimandi temporali che creano un film giocato
sul filo della memoria delle tragedie che hanno sconvolto la Jugoslavia. E
il vincitore del festival Jonny Vang
del norvegese Jens Lien, l'unica commedia e l'unico film che presenta una
maggiore dinamicità di montaggio e narrazione. I toni leggeri del film
trascolorano presto in una follia surreale fatta di vangate e bottigliate in
testa, balli allucinati, storie d'amore e di pietà, d'evirazioni e strani
legami familiari.
Per la rassegna dei cortometraggi notevole sorpresa ha destato l'opportunità
di vedere il corto Premio Oscar This
Charming man del danese Martin Strange-Hansen, girato con una accorta
sapienza stilistica e mette in evidenza con una comicità caustica e
corrosiva un certo razzismo latente dei suoi connazionali. E si segnala per
la regia anche il vincitore del festival, il francese
Paraboles di Remì Besançon,
che in dieci minuti di grottesca inventiva racconta la scoperta, la crescita
agonistica, la gara di una promessa del "lancio della pantofola".
Antwone Fischer story
Il film di Denzel Washington, presentato al festival in anteprima nazionale,
è un film maturo, con qualche lungagine di troppo, lontano dalle tematiche
razziali del suo amico Spike Lee, e più puntato sull'introspezione e le
conflittualità dei rapporti di coppia e familiari. La prima regia di
Washington racconta la storia di Derek, un marinaio, che dopo aver avuto
problemi in servizio, viene mandato in cura da uno psichiatra che lo aiuta a
riconsiderare i suoi legami e il suo passato.
Parlando con gli organizzatori
La sfavorevole accoglienza riservata a molti lungometraggi e ad alcune delle
rassegne collaterali (tra le quali si salva lo sperimantalismo e
l'esasperata bellezza delle performance di Videodanza) ha indotto uno degli
organizzatori a chiarire alcune delle scelte artistiche e tematiche, nonchè
di budget, che hanno per così dire circoscritto l'ambito delle opere
presentate.
Come scelta artistica si è voluto tenere fuori tutte le filmografie
dell'estremo oriente. Non per la recente epidemia di Sars, ma per il solo
motivo che film del genere non sono voluti. Eppure un film, appena uscito
nelle sale, come il taiwanese
Incrocio d'amore di Yee Chin-yen ci sarebbe stato bene nella
rassegna.
Una scelta artistica vuole che in concorso ci siano solo opere prime e
seconde, ma ciò non ha impedito, anni fa, di avere una pellicola dello
spagnolo Fernando Colomo che aveva la sua ventina di film alle spalle.
La scelta tematica vuole che sia rispettato il tema della linea d'ombra, del
passaggio adolescenziale, della crescita o quanto meno di una riflessione
che guida a una mutazione caratteriale, ma dov'erano questi temi nei film
italiani I nostri anni di
Gaglianone e L'uomo in più di
Paolo Sorrentino, presentati l'anno scorso. C'è senz'altro del cambiamento
in questi film, ma faticano ad entrare pienamente all'interno di quei
criteri e vincoli posti.
Ecco allora che questi criteri e vincoli vengono aggirati o forzati ogni
volta che si vuole, e quindi perchè non tener presente
Giovani di Luca e Marco
Mazieri, film apprezzatissimo dalla critica ma ignorato dalla distribuzione,
o Eccomi qua di Giacomo
Ciarrapico, o il campione d'incassi tedesco
Goodbye Lenin di Wolfang
Becker (uscirà a maggio nei cinema, ma un anteprima così non avrebbe
guastato), che avevano tra l'altro tutte le caratteristiche per essere
scelti nel concorso.
Cosa si può obiettare, dunque, problemi di budget e allora perchè finanziare
laboratori di scrittura che non hanno nessuna utilità, prendere i clip di
Madonna e i film della Sacher che si vedono in televisione, spacciare per
animazione digitale l'animazione in flash possibile con un programmino per
il computer.
Lo spreco si rileva ancora più irritante vedendo gli esiti del
Laboratorio di scrittura e immagini curato da De Silva e al quale
partecipavano Vicentini Orgnani (regista di
Ilaria Alpi-Il più crudele dei
giorni), Paolo Sorrentino, Carlo Lucarelli, Simona Vinci e Valerio
Jalongo.
Il laboratorio è stata la solita chiacchierata fatta di luoghi comuni, che
dopo dieci minuti di conversazione su libri e scrittura è sfociata in una
serie di futilità sulla televisione che si è protratto per due ore, con
Lucarelli che parlava dei suoi problemi con i capi-struttura rai e i
partecipanti che volevano fare interventi da persone intelligenti cadendo in
infelici sproloqui e chiarendo, purtroppo, che la cultura dominante ha
prodotto tanti e tali guasti che neanche i registi e scrittori, che si
arrogavano il diritto di criticarla si rendevano conto che sono essi stessi
frutto dello stesso humus. In fondo i vari Jalongo, Vicentini Orgnani,
Vinci, De Silva, e soprattutto Lucarelli sono dei lavoratori culturali del
contingente. Film su Ilaria Alpi, libri sugli omicidi della falange armata o
i serial killer di Bologna, la violenza definita "amorale" dalla stessa
Vinci nel suo "Dei bambini non si sa niente" (tra l'altro libro con tutte le
risonanze McIwaniane messe al posto giusto, e quindi roba già vista, già
letta in forme di ben altro spessore), e i bambini emarginati e criminali di
un De Silva rispondono ad un gusto, a un discorso che la cultura mainstream
impone e vuole vendere in quelle forme che non intaccano e non rompono le
logiche sulla quale si regge.
In queste opere non c'è ricerca linguistica, non c'è slittamento in avanti,
ma un appiattimento non solo
sui temi che richiede il mercato, ma anche sulle forme che pretende
l'industria dei consumi.
L'unica certezza che si è avuta dalla discussione e che non si parlava di
letteratura e cinema perchè nessuno legge libri e nessuno vede film che non
siano quelli hollywoodiani o della grossa distribuzione, ma tutti guardano
la televisione e sono tutti in grado, fortuna loro, di formulare un pensiero
completamente libero.
Il problema di questo tipo di incontri dibattito è che riescono a provocare
nella platea più danni che altro, perchè come la televisione gli si regala
solo l'illusione di pensare, ma per il resto si finisce per scadere negli
argomenti più triti e ritriti.
Si è affrontato un discorso sul rapporto tra televisione e
spettatori-consumatori, senza parlare mai del problema della cultura di
massa e del mutamento antropologico della società, si è parlato di rapporto
scrittura immagini, e più in generale di rapporto letteratura-cinema, senza
mai toccare un esempio concreto d'inesprimibile nei due campi, e arrivando a
dire bestialità come "...ma Proust scriveva per immagini..."... e il frasare
che sostiene quelle immagini, il periodare che permette quella forza
evocativa dove le mettiamo, affermando cose del genere cosa dovremmo fare,
prendere i saggi di Gerard Genette e bruciarli.
Salerno ha bisogno di manifestazioni come Linea d'Ombra, perchè è
fuori dai circuiti cinematografici indipendenti e perchè non si ha voglia di
vedere solo il cinema delle major, ed è per questo che merita una
manifestazione che abbia il coraggio di mostrare opere innovative e
provenienti dal più vasto panorama possibile, ed è giusto che dia
l'opportunità, come in passato, di far conoscere autori che abbiano davvero
qualcosa da insegnare.
::: Il programma di
quest'anno ::: |