Un altro buon esempio di cinema intermediale: TRANSEUROPAE
HOTEL di Luigi Cinque, musicista di fama mondiale dallo stile “transgenico e
post-contaminato”, alle prese con il suo primo lungometraggio di fiction,
mescola pensiero magico e pensiero razionale, in un vortice di meraviglia e
orrore, di paura e desiderio.
Un viaggio attraverso territori inesplorati della musica. Una storia di
coincidenze, che coincidenze non sono, ma sono esempi di sincronicità.
TRANSEUROPAE HOTEL è la storia di una trans-izione, un viaggio iniziatico
attraverso il quale riscoprire i veri e molteplici sensi dell’arte e della
musica, in un tempo dominato dalla disillusione, dall’anestetizzazione delle
coscienze, dall’incredulità. Storia di transizioni e di "scomparizioni",
come le ha definite lo stesso regista. A scomparire è il percussionista
Darcy Do Jongo, trasferito per una strana magia in una dimensione parallela
alla nostra. A cercarlo un quartetto di personaggi composto, tra gli altri,
dallo stesso Luigi Cinque e da Pippo del Bono. Ma è la musica la vera
protagonista del film, che è stato non a caso, composto come una partitura
musicale. Scritto e diretto da Luigi Cinque, con la collaborazione di
Valerio Magrelli e Rossana Campo, il film vede nel cast interpreti
d’eccezione quali Peppe Servillo, il già citato Pippo Del Bono, Ilaria
Drago, Marina Rocco, oltre a musicisti internazionali quali, oltre allo
stesso Luigi Cinque, Alex Balanescu, Sal Bonafede, Petra Magoni, Antonello
Salis, Badara Seck.
Una vicenda magica eppure teoricamente spiegabile, che si snoda lungo l’asse
Sicilia-Brasile, tra le saline di Trapani e le favelas di Rio de Janeiro.
Un film sulla musica, sul valore dell’arte come scoperta e come rivoluzione,
che lascia intravedere l’essenziale tensione tra terra e mondo, tra
sensibile e sovrasensibile che è all’origine di ogni opera d’arte.
Luigi Cinque arrischia visivamente là dove nessuno s’è mai arrischiato,
nella terra di mezzo tra musica e scienza, tra suono e magia. E lo fa non
soltanto mettendosi sulle tracce dell’amico scomparso, ma lavorando su
quello spazio intermedio tra il dato e il senso che emerge nel dialogo tra
immagini di repertorio e immagini di fiction. Dando vita a un film “di
generi”, al confine tra fiction e testimonianza, tra film musicale, noir,
thriller, road movie, melodramma.
Un film che, nel tentativo di superare l’impasse, qualcuno ha definito
sperimentale e che sperimentale è senza dubbio, poiché si fa carico di una
precisa disciplina creativa in cui è la forma, e non solo il contenuto, ad
avere un altissimo valore etico e politico.
Un’opera costruita su sentieri che si biforcano. Un’opera che apre dei
mondi, intesi non solo come orizzonti di senso, ma anche come orizzonti di
vita possibili.
Perché, come ebbe a dire Nietzsche (e come il film giustamente conclude),
“La vita senza musica sarebbe un errore”. |