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WEISER
è il nome di un bambino decisamente particolare, un bambino che è già
un adulto, come il piccolo protagonista de IL SESTO SENSO e che, come
lui, è circondato da un'aura magica (se non da veri e propri poteri soprannaturali).
In più Weiser è ebreo, in una Polonia di fine anni sessanta dove l'antisemitismo
spicciolo e quotidiano era diffuso anche fra i più piccoli. E come gli
adulti Weiser non sorride quasi mai, tutto assorto dalle sue responsabilità,
quelle di una sorta di Messia, un Eletto, il portavoce della Verità. Eppure
la gioia e la spensieratezza dell'infanzia nascono proprio dall'ingenuità,
dal non porsi troppe domande a proposito della vita e della morte, da
quel velo di Maya che dovrebbe essere lacerato solo quando il tempo dei
giochi è finito. Il film vuole innanzitutto raccontare una storia di bambini
dai colori vivaci e luminosi (riassunti dal vestitino rosso della fidanzatina
di Weiser), una storia che però ha dei risvolti dolorosi ed oscuri, perché
l'infanzia, come aveva già dimostrato Freud, non è pura innocenza ed i
bambini, come dimostrano le cronache contemporanee, possono essere anche
diabolici. Weiser è anomalo anche nei divertimenti: il suo passatempo
preferito è far esplodere cariche di tritolo in luoghi disabitati. Durante
una di queste esplosioni il piccolo scompare lasciando dietro di sé un
alone di mistero e tanti sensi di colpa. Le immagini dei bambini un po'
infangati e laceri a zonzo per le campagne si alternano ad un presente
dai toni decisamente più freddi e malinconici, dove un uomo lotta con
i fantasmi del passato, cercando, invano, di risolvere l'enigma della
sua infanzia: la fine di Weiser, un mistero che ha condizionato tutta
la sua vita ed anche quella degli altri compagni di giochi. Come in QUARTO
POTERE anche qui la chiave di lettura per il presente è nascosta nel passato,
ma, a differenza del capolavoro di Welles, WEISER ha un finale aperto,
irrisolto, ed il mistero non viene svelato neanche dalla macchina da presa.
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Elena SAN PIETRO |
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