Johnnie To regola i conti
con Melville. I due si conoscono bene: Melville conosceva il cinema di
Johnnie To molto prima che esso esistesse, e non è lecito avere dubbi sul
fatto che il grande hongkonghese in seguito conoscesse il francese. Perché
Melville è stato “cineasta hongkonghese” prima di To; prima di lui (e prima
dei vari Kirk Wong, Tsui Hark, John Woo e compagnia bella) ha preso un
modello cinematografico (americano) e l’ha trapiantato in un territorio
straniero (francese, prima che hongkonghese).
Se mai fossero esistiti dubbi su questo parallelismo, To chiama ora il suo
protagonista Francis Costello, come quello che Alain Delon interpretava in
Le samourai del maestro
francese, e gli dà il volto di quel Delon spaesato e fuori posto che è,
oggi, Johnny Hallyday.
Che sia spaesato, è obbligatorio. Perché il suo eroe è un eroe che per una
pallottola in testa di anni prima è destinato a perdere la memoria. Il
Costello odierno gestore di ristorante si ricorda del suo passato da killer
non grazie alla sua coscienza, ma sparando per un riflesso involontario a un
piatto lanciato in aria. Ma che la sua memoria vacilli lo impariamo solo
avanti nel film, quando questo è invece tutto instradato in una direzione
ironicamente opposta: la vendetta. Opposta perché la vendetta fa di tutto
per tracciare una linea retta tra passato e presente, per consacrare la
legge secondo cui ogni azione ha una causa e una conseguenza. E l’amnesia,
ovviamente, questa linea la spezza.
Ma non c’è tempo per l’amnesia: Costello deve vendicare la morte violenta
della figlia (e della sua famiglia). Finisce così per assoldare
involontariamente i sicari gestiti dallo stesso mandate dell’omicidio che fu
fatale alla figlia. Ma ormai è una questione d’onore e loro si schiereranno
dalla sua parte, in nome di una quanto mai melvilliana amicizia virile.
L’azione sospesa in calligrafia stilistica, fu già il marchio forte
melvilliano. Ora, To esaspera questo tratto facendo vivere all’azione che
mette in scena una vera e propria sindrome amnesica. A questo fine, dà via
libera al suo intero arsenale: scene innaturalmente dilatate, contrasto tra
la precisione dell’azione inquadrata e l’arbitrarietà della traiettoria che
pone in essere (grazie al montaggio, che complica le cose senza
ingarbugliarle), gusto manierista di una coreografia seguita passo dopo
passo. Tempo che di tanto in tanto si ferma e sospende la situazione nel
gelo. L’azione si fa così automatica che diventa dimentica di sé, ridotta al
suo solo guscio splendente - proprio come Costello si ritrova sempre più
parodicamente passivo e assente, e persino regredito a una beata infanzia
innocente. Per tre o quattro volte, il film si perde nella stasi e si
ritrova appena prima di ripiombare in un nuovo efferato scontro armato.
Ma in fondo la centralità dell’amnesia è chiara sin dall’inizio, anche
quando ancora lo spettatore non sa che Costello tende a perdere la memoria:
quando i personaggi visitano il luogo del massacro iniziale in cui morì la
ragazza, sullo schermo vediamo una serie di flashback di nessuno in
particolare di come le cose erano andate quel giorno. Ovvero: se memoria ha
da essere, che sia memoria di nessuno. Che sia l’automatismo impersonale,
che è appunto l’oggetto di questa grandissima elegia che fa quadrare i conti
tra gli opposti incompatibili di azione e contemplazione, memoria (=
vendetta) e oblio. Come già Melville, e come ora To.
24:05:2009
pubblicata originariamente in
cannes.62 |