Il Maestro Fausto Elica (Castellitto) sta girando un film su
"promessi sposi", quando sente della morte in un incidente del
collega Orazio Smamma (un redivivo Gianni Cavina) in Sicilia. Ci va, e trova
un anacronistico principe in rovina che vuole fargli girare il filmino
matrimoniale della figlia promessa controvoglia a un abbiente avvocato.
Così, il Maestro Fausto Elica, che nel frattempo viene accusato di abusare
sessualmente delle aspiranti Mondelle nel suo ufficio durante i provini, si
innamora della bella principessa infelice.
Una trama così delirante, trapelata nei mesi scorsi rumors dopo
rumors, aveva fatto sognare molti. Il risultato è a dir poco spiazzante:
se gli ultimi film di Bellocchio erano contraddistinti da un inedito (per
lui) voler parlare con energia e partecipazione al pubblico, fermo restando
il ricco corpus di forme da lui inventate e sempre riproposte, questo
Il regista di matrimoni si
rituffa in una voluta afasia (che è poi uno dei suoi temi più classici). Al
posto della pronosticata strutturazione dei temi messi in gioco, questo suo
nuovo film butta lì le idee come tizzoni roventi, senza neanche toccarli,
chiedendo alle spettatore un enorme coinvolgimento intimo e emotivo affinché
i legami e il senso derivante comincino a emergere e a tracciarsi.
Il regista di matrimoni è un
film molto, molto esigente (non per forza “difficile”), ma a ragion veduta:
è tutta una questione, come vedremo, di rinuncia al potere (e dunque
all'”autorità” retorica sul pubblico).
Fausto Elica non è il Picciafuoco di
L'ora di religione, non è in alcun modo un eroe alle prese con un
mondo di assurdità che gli si para davanti. È un personaggio apertamente
contraddittorio, lui per primo assurdo, un sedicente oppositore del potere
che si scopre in prima persona un minuscolo Don Rodrigo che approfitta delle
attricette, oltre che, in seguito, un possibile Innominato che si porta via
Lucia Mondella per vivere felici insieme in un finale alternativo dei
"Promessi Sposi".
Ma le cose non vanno così: in Italia comandano i morti, come si ripete
spesso nel film. Il testo (“morto” ma più vivo e attuale che mai) che
volenti o nolenti sta alla base del senso etico di generazioni intere torna
sempre fuori e si ripropone proprio lì dove pensavamo di poterci opporre.
Elica abbandona il film sui "Promessi Sposi", ed ecco che si trova a vivere
la stessa storia. Tenta di dire “questo matrimonio non s'ha da fare” ma si
scontra coi Bravi ingaggiati da chi ha deciso che Renzo e Lucia debbano
sposarsi anche senza amore. Anche se li si capovolge, se li si stravolge
fino al loro esatto contrario, gli Sposi che si sposano sono sempre e solo
quelli Promessi. Elica non può sposare la figlia del principe perché
l'accusa di stupro è lì bell'e pronta: non si possono battere "I Promessi
Sposi" perché il potere che si avversa è lo specchio del proprio potere. Nel
romanzo, la Provvidenza, inizialmente un'isola di salvezza dall'incubo del
potere, coincide di fatto con l'ordine costituito. Il potere e il suo
opposto si mordono la coda.
Elica è schiacciato da ogni parte del potere, ma è tenuto in scacco in primo
luogo dal proprio (a differenza della “vittima” Picciafuoco). Tutto
Il regista di matrimoni sarà
quindi il disperato, sincerissimo, balbettante tentativo di svellersi dal
proprio potere. Da Maestro del cinema a anonimo regista di filmini, da
“metteur en scène” di un inseguimento tra sposi e parenti sulla spiaggia che
cita Entr'acte alla
constatazione che Entr'acte è
già lì nella surrealtà pullulante della Sicilia (la scena della corsa nei
sacchi). Non c'è bisogno di deformare grottescamente la realtà (il
simultaneo pregio e limite dello stesso Bellocchio), perché la realtà è già
di per sé deformata, è deforme costitutivamente, in partenza: il paesaggio
siciliano è lì a dimostrarlo, oltre al suo barocco “tranquillo”, così
disinvolto e lontano dall'esibizionismo di quello (recentemente più “à la
page”) leccese. Elica, da voyeur vampiresco della figlia che si sposa (il
clamoroso incipit iniziale, che butta tutto verso l'onirismo), in Sicilia
diventa prigioniero di una bellezza trasudante che lo assorbe come una
pianta carnivora – e infatti non è più lui dietro la macchina da presa, ma è
invischiato in una pluralità impazzita di visioni (digitale, pellicola,
bianco e nero, colore...). Le tumescenze della realtà non sono più messe in
posa davanti alla macchina da presa (ancora la scena della spiaggia) ma
infestano disordinatamente il campo visivo, in modo che la macchina da presa
stavolta sia “davvero” messa lì per caso (che è poi in generale la forza
della visionarietà di Bellocchio, così poco schiava delle costrizioni
grafiche dell'inquadratura), invece che “per finta” come sulla spiaggia.
Il regista di matrimoni si
lascia così ingolfare da una miriade di piccoli abissi visivi, di spunti
smozzicati e non oltre sviluppati, di simboli e corrispondenze buttate lì e
subito rimosse, di sussulti sensoriali dal respiro mozzato. Esemplare la
lunga sequenza in cui Elica insegue l'ombra (sia mentale che concreta) della
principessa nel suo palazzo, tra i cani, i cancelli che si aprono
“magicamente”, in un susseguirsi di tracce cieche e sospese. Oppure il viso,
ricorrente e enigmatico, della moglie del (vero) regista di matrimoni che lo
ospita in casa, che ogni tanto fa capolino tra le inquadrature e non
significa niente, segnala soltanto un corpuscolo di alterità qualsiasi.
Corpuscoli che in questo film esplodono come i fuochi d'artificio finali.
L'immagine è la forma della rinuncia al potere, l'atto formalizzato di
rinuncia alla cosa filmata. Elica all'inizio cede in sposa la figlia ma si
prende con la forza la sua immagine, e il principe fa la stessa cosa. Elica,
sulla spiaggia, vagheggia precisamente l'immagine della scissione tra i due
sposi e il codazzo che li guarda, insomma la scissione tra gli sposi e
l'immagine stessa. Ma questa stessa rinuncia al potere è un atto stesso di
potere (Elica, artefice di immagini, esercita il potere sulle attricette, e
proprio su questo viene ricattato), come guardacaso (ancora) dicono "I
Promessi Sposi", fondazione epocale di una forma mentis cattolica in cui il
potere coincide con la deviazione dal potere stesso. Perciò in Italia
comandano i morti (cioè chi è definitivamente alieno dal potere): Orazio
Smamma diventa un colosso del cinema quando rinuncia per sempre al cinema.
Immagine e potere sono collusi proprio nel momento in cui la prima si scansa
dal secondo.
Qual'è allora l'unico atto di ribellione che spetta ancora ad Elica?
Rinuciare a dare al potere la propria immagine, rinunciando al contempo a
illudersi di poter sfruttare il potere dell'immagine per contrastare il
potere effettivo (cioè: sfruttare le riprese delle nozze per fuggire con la
principessa). Rinunciare all'immagine che già di per sé è rinuncia rispetto
al potere: ciò che Elica mette in pratica alla fine è la rinuncia alla
rinuncia del potere (rinuncia ad essere come Orazio Smamma, e rinuncia a
fare il filmino, a dare al potere costituito la propria immagine, e a
rappresentare "I Promessi Sposi" come fece il film di Camerini che Elica e
Smamma concordano nel definire ormai improponibile). Una posizione che ha
tutta l'ambiguità e la forza del paradosso: dopo che per tutto il film, a
forza di supporti sfalsati (“non è il supporto che conta, è il film” si
illude il principe) e cellule impazzite di realtà che impantanano la
pellicola, si è resa l'idea di una realtà pullulante e polimorfa, è il film
stesso che si fa polimorfo, e mette in scena nel caleidoscopico finale un
labirinto di percorsi alternativi e indecibili, gli universi paralleli di
un'unica e sola realtà.
Un finale che anziché illustrare e documentare il potere (il matrimonio)
mostra come coesistenti il potere e il suo contrario (cioè l'immagine, il
carattere “finto”, perché impossibile, delle raffigurazioni del
potere-matrimonio), la fuga e il matrimonio e mille altre possibilità
contradditorie che si mordono la coda. In questo modo, il matrimonio tra
immagine e potere è per sempre sconfessato, perché viene meno non la fedeltà
dell'uno rispetto all'altra, ma proprio la compatibilità profonda:
l'immagine dà del potere immagini contradditorie, e non semplicemente
contrarie come Elica sulla spiaggia. Il regista sorride alla sua donzella
immaginaria, ormai sicuro della polivocità costitutiva dell'immagine
finalmente libera dal potere.
La Conferenza Stampa
a cura di Mauro RESMINI
Voto: 23/30
25:04:2005 |