IL REGISTA DI MATRIMONI

di Marco Bellocchio
Con S. Castellitto, D. Finocchiaro

di Marco GROSOLI


Il Maestro Fausto Elica (Castellitto) sta girando un film su "promessi sposi", quando sente della morte in un incidente del collega Orazio Smamma (un redivivo Gianni Cavina) in Sicilia. Ci va, e trova un anacronistico principe in rovina che vuole fargli girare il filmino matrimoniale della figlia promessa controvoglia a un abbiente avvocato. Così, il Maestro Fausto Elica, che nel frattempo viene accusato di abusare sessualmente delle aspiranti Mondelle nel suo ufficio durante i provini, si innamora della bella principessa infelice.
Una trama così delirante, trapelata nei mesi scorsi rumors dopo rumors, aveva fatto sognare molti. Il risultato è a dir poco spiazzante: se gli ultimi film di Bellocchio erano contraddistinti da un inedito (per lui) voler parlare con energia e partecipazione al pubblico, fermo restando il ricco corpus di forme da lui inventate e sempre riproposte, questo Il regista di matrimoni si rituffa in una voluta afasia (che è poi uno dei suoi temi più classici). Al posto della pronosticata strutturazione dei temi messi in gioco, questo suo nuovo film butta lì le idee come tizzoni roventi, senza neanche toccarli, chiedendo alle spettatore un enorme coinvolgimento intimo e emotivo affinché i legami e il senso derivante comincino a emergere e a tracciarsi. Il regista di matrimoni è un film molto, molto esigente (non per forza “difficile”), ma a ragion veduta: è tutta una questione, come vedremo, di rinuncia al potere (e dunque all'”autorità” retorica sul pubblico).
Fausto Elica non è il Picciafuoco di L'ora di religione, non è in alcun modo un eroe alle prese con un mondo di assurdità che gli si para davanti. È un personaggio apertamente contraddittorio, lui per primo assurdo, un sedicente oppositore del potere che si scopre in prima persona un minuscolo Don Rodrigo che approfitta delle attricette, oltre che, in seguito, un possibile Innominato che si porta via Lucia Mondella per vivere felici insieme in un finale alternativo dei "Promessi Sposi".
Ma le cose non vanno così: in Italia comandano i morti, come si ripete spesso nel film. Il testo (“morto” ma più vivo e attuale che mai) che volenti o nolenti sta alla base del senso etico di generazioni intere torna sempre fuori e si ripropone proprio lì dove pensavamo di poterci opporre. Elica abbandona il film sui "Promessi Sposi", ed ecco che si trova a vivere la stessa storia. Tenta di dire “questo matrimonio non s'ha da fare” ma si scontra coi Bravi ingaggiati da chi ha deciso che Renzo e Lucia debbano sposarsi anche senza amore. Anche se li si capovolge, se li si stravolge fino al loro esatto contrario, gli Sposi che si sposano sono sempre e solo quelli Promessi. Elica non può sposare la figlia del principe perché l'accusa di stupro è lì bell'e pronta: non si possono battere "I Promessi Sposi" perché il potere che si avversa è lo specchio del proprio potere. Nel romanzo, la Provvidenza, inizialmente un'isola di salvezza dall'incubo del potere, coincide di fatto con l'ordine costituito. Il potere e il suo opposto si mordono la coda.
Elica è schiacciato da ogni parte del potere, ma è tenuto in scacco in primo luogo dal proprio (a differenza della “vittima” Picciafuoco). Tutto Il regista di matrimoni sarà quindi il disperato, sincerissimo, balbettante tentativo di svellersi dal proprio potere. Da Maestro del cinema a anonimo regista di filmini, da “metteur en scène” di un inseguimento tra sposi e parenti sulla spiaggia che cita Entr'acte alla constatazione che Entr'acte è già lì nella surrealtà pullulante della Sicilia (la scena della corsa nei sacchi). Non c'è bisogno di deformare grottescamente la realtà (il simultaneo pregio e limite dello stesso Bellocchio), perché la realtà è già di per sé deformata, è deforme costitutivamente, in partenza: il paesaggio siciliano è lì a dimostrarlo, oltre al suo barocco “tranquillo”, così disinvolto e lontano dall'esibizionismo di quello (recentemente più “à la page”) leccese. Elica, da voyeur vampiresco della figlia che si sposa (il clamoroso incipit iniziale, che butta tutto verso l'onirismo), in Sicilia diventa prigioniero di una bellezza trasudante che lo assorbe come una pianta carnivora – e infatti non è più lui dietro la macchina da presa, ma è invischiato in una pluralità impazzita di visioni (digitale, pellicola, bianco e nero, colore...). Le tumescenze della realtà non sono più messe in posa davanti alla macchina da presa (ancora la scena della spiaggia) ma infestano disordinatamente il campo visivo, in modo che la macchina da presa stavolta sia “davvero” messa lì per caso (che è poi in generale la forza della visionarietà di Bellocchio, così poco schiava delle costrizioni grafiche dell'inquadratura), invece che “per finta” come sulla spiaggia.

Il regista di matrimoni si lascia così ingolfare da una miriade di piccoli abissi visivi, di spunti smozzicati e non oltre sviluppati, di simboli e corrispondenze buttate lì e subito rimosse, di sussulti sensoriali dal respiro mozzato. Esemplare la lunga sequenza in cui Elica insegue l'ombra (sia mentale che concreta) della principessa nel suo palazzo, tra i cani, i cancelli che si aprono “magicamente”, in un susseguirsi di tracce cieche e sospese. Oppure il viso, ricorrente e enigmatico, della moglie del (vero) regista di matrimoni che lo ospita in casa, che ogni tanto fa capolino tra le inquadrature e non significa niente, segnala soltanto un corpuscolo di alterità qualsiasi. Corpuscoli che in questo film esplodono come i fuochi d'artificio finali.
L'immagine è la forma della rinuncia al potere, l'atto formalizzato di rinuncia alla cosa filmata. Elica all'inizio cede in sposa la figlia ma si prende con la forza la sua immagine, e il principe fa la stessa cosa. Elica, sulla spiaggia, vagheggia precisamente l'immagine della scissione tra i due sposi e il codazzo che li guarda, insomma la scissione tra gli sposi e l'immagine stessa. Ma questa stessa rinuncia al potere è un atto stesso di potere (Elica, artefice di immagini, esercita il potere sulle attricette, e proprio su questo viene ricattato), come guardacaso (ancora) dicono "I Promessi Sposi", fondazione epocale di una forma mentis cattolica in cui il potere coincide con la deviazione dal potere stesso. Perciò in Italia comandano i morti (cioè chi è definitivamente alieno dal potere): Orazio Smamma diventa un colosso del cinema quando rinuncia per sempre al cinema. Immagine e potere sono collusi proprio nel momento in cui la prima si scansa dal secondo.
Qual'è allora l'unico atto di ribellione che spetta ancora ad Elica? Rinuciare a dare al potere la propria immagine, rinunciando al contempo a illudersi di poter sfruttare il potere dell'immagine per contrastare il potere effettivo (cioè: sfruttare le riprese delle nozze per fuggire con la principessa). Rinunciare all'immagine che già di per sé è rinuncia rispetto al potere: ciò che Elica mette in pratica alla fine è la rinuncia alla rinuncia del potere (rinuncia ad essere come Orazio Smamma, e rinuncia a fare il filmino, a dare al potere costituito la propria immagine, e a rappresentare "I Promessi Sposi" come fece il film di Camerini che Elica e Smamma concordano nel definire ormai improponibile). Una posizione che ha tutta l'ambiguità e la forza del paradosso: dopo che per tutto il film, a forza di supporti sfalsati (“non è il supporto che conta, è il film” si illude il principe) e cellule impazzite di realtà che impantanano la pellicola, si è resa l'idea di una realtà pullulante e polimorfa, è il film stesso che si fa polimorfo, e mette in scena nel caleidoscopico finale un labirinto di percorsi alternativi e indecibili, gli universi paralleli di un'unica e sola realtà.
Un finale che anziché illustrare e documentare il potere (il matrimonio) mostra come coesistenti il potere e il suo contrario (cioè l'immagine, il carattere “finto”, perché impossibile, delle raffigurazioni del potere-matrimonio), la fuga e il matrimonio e mille altre possibilità contradditorie che si mordono la coda. In questo modo, il matrimonio tra immagine e potere è per sempre sconfessato, perché viene meno non la fedeltà dell'uno rispetto all'altra, ma proprio la compatibilità profonda: l'immagine dà del potere immagini contradditorie, e non semplicemente contrarie come Elica sulla spiaggia. Il regista sorride alla sua donzella immaginaria, ormai sicuro della polivocità costitutiva dell'immagine finalmente libera dal potere.
 

La Conferenza Stampa a cura di Mauro RESMINI


Voto: 23/30

25:04:2005

IL REGISTA DI MATRIMONI

Regia: Marco Bellocchio
Anno: 2006
Nazione: Italia
Data uscita in Italia: 21:04:2006
Genere: Commedia