IL PROFETA

di Jacques Audiard

con Tahar Rahim, Adel Bencherif

di Marco GROSOLI

 

25/30

 

Maggiorenne da poco, Malik è condannato a sei anni di prigione. Lì dentro, non riuscirà a fare comunella con i conterranei nordafricani, ma verrà invece più o meno costretto ad appartenere al clan dei Corsi (di cui imparerà persino la lingua), capeggiato da un potentissimo boss non più giovane.
Nella più ovvia delle maniere, con questo boss Malìk istituirà un complesso rapporto di paternità putativa (sarà lui a costringerlo a uccidere per la prima volta) e non si fa certo “spoiler” dicendo che alla fine riuscirà a detronizzare la figura paterna. Una cornice scontata per uno sviluppo assai abile, e impeccabile nell'intrecciare molte storie, molti rivoli narrativi, un intricato dentro-fuori dal carcere per gestire gli affari dei Corsi ma anche per conquistarsi una cospicua autonomia, che diventerà prestigio, che diventerà potere. La precisione della scrittura nel documentare questa lenta maturazione in un ambiente tanto difficile quanto simbolicamente universale (le sue dinamiche sono quelle, amplificate, che reggono anche molti ambiti del mondo esterno) è inaffondabile, ammirevole persino, ma innegabilmente piuttosto pedante. Come pedante è l'aderenza fedele al punto di vista del protagonista (con tutte le sue lacune e opacità), che non è scelta di messa in scena, ma indice di rigidità – e se ci fossero dubbi, le maldestre parentesi visionarie (gli anni scanditi dalle apparizioni del suo primo uomo ucciso, un cervo che gli appare in sogno e che in seguito, quando meno se lo sarebbe aspettato, piomba dal nulla a salvargli la vita) confermano quanto la sua perizia narrativa lo porti a zoppicare vistosamente a livello visivo.
In definitiva, si tratta di televisione di lusso. Nulla di male, per carità: però la decisione di costruire un grosso (anche in termini di durata) evento cinematografico sfruttando meccanismi di narrazione seriale (perché la complessità ramificata di prodotti come questo è lì che guardano: alla grande serialità televisiva americana contemporanea), lascia quantomeno perplessi. Per abile che sia, il gioco di intrecciare uno scheletro elementare (un ragazzo che diventa uomo) con un florilegio ipertrofico di variazioni (che è il magmatico ambiente a produrre) funziona meglio in televisione. E funziona davvero alla grande: a cosa serve, allora, un prodotto come Un prophète?

 

14:05:2009

pubblicata originariamente in Cannes.62

Un prophète
Regia Jacques Audiard

Francia 2009, 150'

DUI: 19 marzo 2010
BIM

Drammatico