Dopo un anno di tribolazioni,
Bug ha raggiunto finalmente anche le sale americane. Presentato
al
Festival di Cannes dello scorso anno, il film aveva già fatto
parlare di sé dando luogo a pareri discordanti, ma non era stato ancora
presentato al grande pubblico. Accolto positivamente dai più, in realtà
l’ultima fatica di Friedkin, regista dell’ormai storico The
Exorcist (1973), film cult per quasi 3 generazioni di amanti del’horror
e non, aveva tutti gli ingredienti per riaffermare la validità di un
autore spesso bistrattato e relegato ai b-movies, irrimediabilmente
legato a quella “R” di rating che nel sistema americano significa
pubblico esclusivamente adulto. Il punto è che il film non arriva alla
fine. Tentiamo di spiegarci meglio. A una prima superficiale occhiata la
storia sembrerebbe contenere gli elementi esatti per ripercorrere
l’ansia imperante e implacabile del nobile precedessore (pur racchiusi
in una storia del tutto diversa).
Comincia infatti nel migliore dei modi: una stanza di motel logora, una
giovane donna affascinante e sfatta, un locale di dubbia reputazione
dove lei lavora. Con cupo realismo il regista abilmente dipinge la
squallida esistenza di una cameriera annoiata dalla dura e frustrante
routine quotidiana in chissà quale abbandonata provincia americana.
Agnes (Ashley Judd) divisa tra lavoro, whisky e sigarette, più qualche
pausa galante con la sua giovane amica e collega di lavoro, conosce una
sera Peter, timido dai modi gentili, la cui amicizia interviene a
rompere l’equilibrio della coppia e a cambiare in modo irreparabile la
vita della protagonista.
Tutta la prima parte del film è un’ottimo, convincente esercizio di
stile e bravura in cui Friedkin ci dimostra la sua innata dimestichezza
col mezzo cinematografico e la sua abilità nel manovrare intricati fili
visivi e narrativi. Da un nucleo originario piuttosto semplice,
arriviamo quasi a un’ora dalla fine col fiato sospeso, la gola secca e
la voglia di capire cosa sta succedendo alla coppia di sciagurati.
Ma arrivati sin qui, questa fantomatica ultima ora di narrato diventa
qualcosa di amorfo, inconsistente, ridicolo. Mentre la follia dei due
amanti si fa sempre più assurda e impraticabile, il film assume i
connotati deviati di una parodia degli stessi avvenimenti che prima
avevano intrigato, per condurci all’epilogo finale che si dipana come
apoteosi di un delirio collettivo, coronamento di un incubo paranoico di
autodistruzione.
Con questo non si vuole dire che il film non raggiunga ottimi momenti di
tensione e soprattutto che non sia portavoce di ansie fondate in tempi
come quelli recenti.
Il film analizza metaforicamente le angosce di una società fiaccata dal
perdurare di guerre inutili, quella del Golfo citata nel film è solo la
prima di una serie di conflitti iniziata nei novanta di cui portiamo
ancora cicatrici. Ma è anche una feroce e significativa testimonianza
del clima di terrore psicologico che il popolo americano ha subìto e di
cui è (suo malgrado) portavoce, reso ancor più gravoso da quel fatidico
11 settembre in cui il castello di finte certezze crollò in un colpo
solo.
Tornano in mente particolari memorabili dall’intera storia del genere,
che ha sempre inscritto in sé i traumi storici del suo periodo di
appartenenza, (a partire dall’indimenticabile
Invasion of the Body Snatchers,
a The Thing from another World
a mille altri film che hanno iniziato la sci-horror fiction al cinema).
Il leitmotiv del complotto politico ordito con i mezzi più invasivi si
tramuta da paura del fuori a terrore endemico, una tragedia consumata
fino alla fine tra le quattro spoglie mura di una camera privata.
Imperdibile l’interpretazione dei due attori protagonisti (la Judd già
menzionata e Michael Shannon, alias Peter), parte indelebilmente
essenziale degli effetti - in alcuni casi sconcertanti - della visione.
Quando a Cannes Friedkin aveva spiegato la necessità di vedere la Judd
nel ruolo di Agnes, per via del suo passato infelice e abusato in una
famiglia del Kentucky, probabilmente già sapeva che il suo ruolo avrebbe
rappresentato metà del coinvolgimento dello spettatore sullo schermo. E
così è stato senz’altro.
15:06:2007 |