kinematrix intervista

claudio giovannesi
regista de alì ha gli occhi azzurri

di Azzurra SOTTOSANTI

 

29/30

 

recensione

A un anno di distanza dall’uscita in Italia di ALì HA GLI OCCHI AZZURRI (da pochi giorni nelle sale spagnole), Premio Speciale della Giuria al VII Festival Internazionale del Cinema di Roma e Premio come Miglior Lungometraggio all’Est Film Festival di Montefiascone, facciamo due chiacchiere con il regista Claudio Giovannesi.

 

KINEMATRIX Ciao Claudio. Innanzitutto grazie di aver accettato quest’intervista e complimenti per il film.  ALì HA GLI OCCHI AZZURRI  può essere considerato il seguito artistico del documentario "Fratelli d'Italia", del 2009, nel quale la storia di Nader veniva raccontata insieme alle storie di altri due adolescenti, Alin e Masha. Com’è nata l’idea di sviluppare una delle tre storie in un film? E cosa ti ha portato a scegliere proprio la vicenda di Nader?

 

CLAUDIO GIOVANNESI "Fratelli d'Italia" raccontava le storie di tre adolescenti di origine non italiana che frequentavano la stessa scuola. Il protagonista del terzo episodio, Nader, in quanto egiziano nato a Roma, era l’unico che rappresentava la seconda generazione. La forza e la complessità della storia di Nader non era esauribile nei 35 minuti di montaggio del suo episodio: Nader, adolescente egiziano nato a Roma e cresciuto ad Ostia, è innamorato di una ragazza italiana contro il volere della propria famiglia, che desidera per il figlio un matrimonio islamico, per non perdere la propria cultura di appartenenza. Mi trovavo di fronte ad una storia di amore contrastato, romantica e classica, ma vissuta nell’Italia del 2012, in un paese che, a differenza della maggior parte dell’Europa e del resto dell’occidente, non ha ancora un’identità multietnica e multiculturale e fatica a comprendere che in essa,  per naturale e inevitabile progresso storico, consiste la ricchezza del suo presente. Raccontando l’adolescenza di Nader osservavo da vicino, nel privilegio della quotidianità, un aspetto del futuro del mio paese. Al di là di queste considerazioni tematiche, che rendevano Nader  protagonista inconsapevole di un emblematico conflitto culturale, quello che continuava ad emozionarmi, e che ha determinato il passaggio da "Fratelli d'Italia" ad Alì ha gli occhi azzurri, era la sua vitalità di adolescente e il suo talento nell’essere libero e incosciente di fronte alle telecamere. Durante la lavorazione del documentario a Nader chiedevo solo di non guardare in macchina e di comportarsi come se le telecamere non ci fossero, senza esasperare alcun atteggiamento o comportamento; gli spiegavo che si trattava di un documentario e che era il contrario di un reality televisivo, dove ogni azione si compie e si esibisce in funzione delle telecamere. Al termine del lavoro però ho sentito il desiderio di continuare e approfondire il racconto accennato nel terzo episodio di "Fratelli d'Italia": ho chiesto a Nader di interpretare un vero e proprio personaggio, identico a lui, alla sua esperienza e alla sua visione del mondo. Si trattava per Nader di passare dalla massima incoscienza richiesta durante il lavoro del documentario, alla coscienza della propria storia personale, del proprio vissuto e delle proprie emozioni, che avrebbe dovuto mettere in scena durante le riprese del film, come un attore che si relaziona con il proprio personaggio.

 

Qualche tempo fa (in occasione del Tuscia Film Festival di Viterbo, se non vado errata) hai dichiarato: «Avevo un fortissimo desiderio di raccontare l’adolescenza per capire l’Italia del futuro. I protagonisti del film, Nader e Stefano, hanno sedici anni: l’età del cambiamento. Ho voluto raccontare l’età del cambiamento in un’Italia che cambia».
In quale direzione pensi stia cambiando e in quale dovrebbe cambiare l’Italia? Qual è, dal tuo punto di vista, l’Italia del futuro?  E soprattutto, è ancora possibile una rivoluzione culturale nel nostro Paese?   
 

Ho girato questi film perché l’Italia, al mio sguardo, è un paese che fa ancora difficoltà ad avere un’identità multietnica, si nasconde dietro un’illusione di orgoglio nazionale e non vuole conoscere il valore positivo della multicultura. Considero fondamentale ed emozionante ogni forma di melting pot: il crogiolo, l’amalgama, all’interno di una società di esseri umani, delle culture e delle religioni. La popolazione che chiamiamo immigrata è in realtà il nostro nuovo tessuto sociale, una ricchezza che va accolta nella sua complessità e nelle sue contraddizioni, senza paura ma anche senza retoriche buoniste.

 

Il tema dell’immigrazione-cittadinanza e della multietnicità pare essere molto sentito dai cineasti in questi ultimi anni: si pensi non solo ai tuoi film (da WELCOME BUCAREST a "Fratelli d'Italia" fino ad A, passando, in qualche modo, anche per LA CASA SULLE NUVOLE), ma anche, ad esempio, al film di Francesco Amato, COSIMO E NICOLE (anche lui in concorso sia al Festival di Roma che all’Est Film Festival) o al meno recente TERRAFERMA di Emanuele Crialese, tanto per restare in Italia. Quanto pensi che valga ancora  la pena di sviscerare questo argomento nel cinema?
 

I film che hai citato rappresentano uno sguardo sul presente, in maniera più o meno poetica o personale. In questo senso il tema e l’argomento nascono dall’osservazione e dal sentimento della realtà e dei nostri giorni. L’argomento immigrazione-cittadinanza in realtà si nutre di un tema universale: la ricerca della propria identità, la comprensione di sé. Un tema che coinvolge in egual misura i migranti, i loro figli e gli italiani.

 

Il titolo del film (nonché l’ambientazione) è un esplicito omaggio a Pier Paolo Pasolini, ai suoi ragazzi di vita, ma soprattutto a tutti quei «figli dei figli» che lui stesso aveva profetizzato e osservato scendere da Algeri per sbarcare in Italia. Che rapporto hai con Pasolini e con la sua poetica?

 

Quando ho conosciuto Nader, prima di girare "Fratelli d'Italia" lui indossava davvero lenti a contatto azzurre, per sembrare occidentale, per piacere alle ragazze. In virtù di questa coincidenza ci siamo permessi di evocare Pasolini, e la sua Profezia, nel titolo.
 

A proposito di Pasolini e della funzione sociale del cinema, come la prenderesti se qualcuno definisse il tuo cinema come l'evoluzione e te come l'erede del Neorealismo italiano? Credi sia una definizione pertinente? Se invece non la ritieni congrua, in che cosa ti discosti dallo stile e dalla cinematografia neorealista?      
 

Il neo-realismo è legato al secondo dopoguerra: per la prima volta si usciva dai teatri di posa, si girava in presa diretta, si raccontava la Storia nel momento stesso in cui accadeva. Oggi cerco di lavorare sul racconto della realtà, cercando di andare oltre la divisione, spesso troppo limitante, tra documentario e cinema di finzione.

 

Qual è la tua idea di documentario oggi? Come interpreti la necessità del cinema di farsi testimonianza del suo tempo? Mi pare di capire che tu sia a favore di un cinema che integri etica ed estetica.

 

Il cinema diventa un incontro e un’esperienza umana: si incontra la realtà, la si attraversa e si prova a darle la forma di un racconto, che comunque già è contenuto in essa. Lo stile, o la personalità di chi filma e di chi racconta, deve rendersi il più possibile non visibile.

 

Uno degli aspetti formali che più sorprende di ALì è la labilità del confine che separa la fiction dal documentario: nonostante la finzione sia presente, infatti, la realtà dei personaggi dialoga fitta con quella dello spettatore; la macchina da presa rimane discreta, e talvolta è quasi invisibile, nonostante segua il ritmo ipervitale dei protagonisti. Come hai lavorato dal punto di vista registico per ottenere questo effetto di realtà?

Il realismo è sempre il risultato di un metodo, di una precisa costruzione estetica. Si fa in modo di dare alla scena la massima impressione di realtà, ma questo non vuol dire che non ci sia una costruzione, anzi. Il lavoro con i personaggi è lungo ed inizia prima ancora di scrivere la sceneggiatura.

 

Sappiamo che un’altra delle tue grandi passioni è la musica e che sei musicista e compositore (le musiche di ALì, sono, come quelle di "Fratelli d'Italia", per l’appunto tue). Come nasce questa passione per la musica e come si è sviluppata negli anni? È sempre stata parallela all’amore per il cinema?    
 

Sempre stata parallela, solo che ora mi piacciono sempre di più film in cui la musica è assente oppure utilizzata con molta parsimonia, quindi vado un po’ contro me stesso.

 

Domanda di rito: progetti per il futuro?

 

Ho appena finito un documentario, il cui titolo è "Wolf". È la storia di un rabbino accusato di collaborazionismo dopo la seconda guerra mondiale per aver contribuito ad organizzare le deportazioni nei campi di sterminio. Suo figlio oggi è vivo, ha più di 70 anni, ed è ossessionato dalla memoria del padre. Racconto soprattutto il rapporto del figlio con uno psicoanalista. Poi sto iniziando a scrivere, quindi a raccogliere incontri e documentazioni, il mio prossimo lungometraggio, che sarà in parte ambientato nella sezione femminile del carcere minorile di Roma.

 

Grazie mille Claudio.

 

Roma, 17 novembre 2013

alì ha gli occhi azzurri (Italia 2012,100')

di Claudio Giovannesi, con Nader Sarhan, Stefano Rabatti, Brigitte Apruzzesi, Marian Valenti Adrian I fotografia Daniele Ciprì I montaggio Giuseppe Trepiccione I  musiche Claudio Giovannesi I produzione Acaba Produzioni I distribuzione BIM Italia 2012

alì ha gli occhi azzurri
Italia 2012, 100'
DUI: 15/11/2012

Drammatico