cous cous

di Abdellatif Kechiche

con Habib Boufares, Hafsia Herzi

premio speciale della giuria

64mo festival di venezia

di Gabriele FRANCIONI

 

30/30

 

Il “Leone d’Oro del pubblico in sala” è senza dubbio la terza pellicola del franco-tunisino Abdellatif Kéchiche, del quale erano già passati a Venezia 2000, Miglior Opera Prima, TUTTA COLPA DI VOLTAIRE (si veda recensione su Kinematrix) e a Torino 2004, Premio per la regia, LA SCHIVATA (idem). Nessuno come K. sa dirigere attori non professionisti, prendendoli dalla strada o dalle scuole superiori - il suo è un cinema dove la componente giovanile gioca un ruolo primario - e trasformandoli in campioni del live acting, facendoci credere a un’assenza di metodo tradizionale nella recitazione.Invece i suoi sono dialoghi molto scritti, provati e riprovati all’infinito, sino al raggiungimento di una trance in cui l’attore trova quasi il terreno ideale per sciogliere la tensione interiore e liberarsi del testo.

Kéchiche incalza gli attori da vicino, togliendo loro l’aria e lo spazio, salvo restituirglieli al momento opportuno, una volta trascorso il climax dell’azione, con movimenti di allontanamento della m.d.p. dai corpi. Parallelamente al metodo applicato alla recitazione, il regista si autoimpone decine di ciak, fino all’ottenimento di una fluidità straordinaria nell’uso della handy-cam.

Come i due film precedenti - tre sole pellicole in 8 anni sono la conferma dei lunghissimi periodi di preparazione - anche LA GRAINE ET LE MULET è il risultato di un montaggio di singole storie e personaggi sulla solidissima base di una coralità multietnica, ma che ha sempre il suo centro nell’analisi del sistema comportamentale di franco-tunisini e franco-algerini nella terra d’adozione.

Lontanissimo dall’indagine sociale e da un cinema programmaticamente politico, Kéchiche è abilissimo nel veicolare messaggi sottotestuali, disseminati un po’ ovunque, ma sempre rivolti ad una complessa e tesa autoanalisi da parte del micro-macrocosmo maghrebino ancora in fase di assestamento nella Francia post-post-coloniale, piuttosto che a scontate contrapposizioni tra l’universo dell’immigrazione e la nazione che si predispone ad accoglierlo.

è un cinema alto, che  suggerisce strade alternative allo scontro frontale e che predilige semmai le vie della cultura (il Teatro ne LA SCHIVATA) alla denuncia.

Al di là del diverso assunto, pellicole come LA HAINE scompaiono di fronte al trittico di Kéchiche, che in futuro non tradirà una poetica già personale e compiuta, a differenza di chi è passato dall’ODIO ai FIUMI DI PORPORA.

Slimane è un maghrebino sessant’enne licenziato dal cantiere navale dove lavora da 35 anni (ma solo 15 contabilizzati), impegnato nel tentativo di riciclarsi come ristoratore.

L’idea è quella di coinvolgere la famiglia, raccolta intorno alla prima moglie Souad e coesa, ma percorsa da problematiche di coppia. Il protagonista vive con la più giovane Latifa e la figlia di quest’ultima, Rym (Hafsia Herzi, un’assoluta rivelazione), amato e rispettato da tutti per l’indole dimessa ma non sottomessa. Come un ragno, Slimane tessa una tela ricompositiva delle dinamiche familiari, che dovrebbe realizzarsi nella gestione del ristorante sull’acqua, impresa costosa e impegnativa (notevole il segmento dedicato alla ricerca dei permessi per avviare l’attività, vero terreno di scontro, ancora, verbale tra immigrati e francesi). Tra banchetti della domenica, in cui viene sublimato il senso di condivisione ed elaborazione collettiva di gioie e dolori della comunità maghrebina, e flash più privati, ci si avvia verso l’ampio finale, dopo aver assistito allo sfogo di Lilia, tradita dal figlio di Slimane, Hamid. Più che un vero e proprio finale, i quaranta minuti della festa d’inaugurazione si costituiscono a mo’ di film nel film, grazie anche ad un montaggio alternato molto efficace.

Se Slimane, prima del ristorante, si limitava a portare compulsivamente gran quantità di mulet ai parenti (pesce che dà sapore al pasto familiare, mera spezia), ora è il momento della sostanza, del grano, che una o più mani femminili impasteranno nell’esaltante sublimazione del couscous.

 

L'intervista all'attrice rivelazione Hafsia Herzi

 

31/08/2007

 

Tutte le recensioni di Venezia  2007

La Graine et le mulet
Regia: Abdellatif Kechiche
Francia 2007, 151'
DUI: 11 gennaio 2008
Drammatico